Da due giorni il mondo piange uno dei suoi figli prediletti, senza ombra di dubbio il più grande compositore di musica da film di tutti i tempi, il leggendario Ennio Morricone, prematuramente scomparso all’età di 91 anni. Dico prematuramente perché, a me come a tanti, Morricone sembrava eterno e fisiologicamente immutato da decenni: nelle prime foto che vidi di lui nei primi anni 80, quando ero ragazzino, sembrava già anziano, con lo sguardo indagatore protetto da grandi occhiali in acetato, il maglione dolcevita e la giacca (caratteristica, quella del sembrare sempre agè, che ho sempre attribuito anche a Gino Paoli, per il quale Ennio arrangiò Sapore di Sale). Ma il Maestro era eterno anche per via della sua incredibile dedizione al lavoro: non solo era il più bravo ma anche il più prolifico. Sono oltre 420 le colonne sonore per cinema e televisione composte o arrangiate in carriera, senza contare i brani musicali (citerò solo l’incredibile “Se Telefonando”, commissionatagli dalla Rai con un testo scritto da Maurizio Costanzo). I suoi ritmi lavorativi erano serratissimi: il maestro musicò per vent’anni di fila una media di 10 film all’anno (solo nel 1968 ne ho contati 17).
Della sua musica incredibile hanno parlato in tantissimi e ben più referenziati del sottoscritto, molti meno però hanno affrontato un tema per me affascinante quasi quanto la sua sterminata produzione, ovvero il suo carattere spigoloso e riservatissimo (per usare un eufemismo). Uno degli aspetti che più mi incuriosiscono del Maestro è il fatto che, nonostante si tratti probabilmente del compositore da film più famoso della storia, c’è voluta la caparbietà da fan brufoloso e iperentusiasta di Quentin Tarantino per portarlo - ancorché brevemente - alle luci della ribalta internazionale, in occasione dell’assegnazione del suo unico Oscar per la colonna sonora originale di The Hateful Eight nel 2016. Ma anche lì, il suo volto immoto tradisce solo una leggera commozione dopo la lettura del verdetto. Faticosamente raggiunto il podio, tira fuori il pizzino col breve discorso dallo smoking, lo legge - in italiano - e se ne va. Like a boss. Perché Ennio in cinquant’anni ha lavorato con Brian De Palma, Don Siegel, Mike Nichols, Warren Beatty, John Carpenter, Oliver Stone, Barry Levinson, Terrence Malick e Tarantino ma non ha mai imparato mezza parola in inglese. Perché avrebbe dovuto? Le partiture erano il modo in cui si esprimeva. Certo, non è memorabile come il discorso di Joe Pesci vincitore dell’Oscar per Casinò ma dice molto di lui.
Immagino Ennio che, seduto vicino a John Williams, pensa solo a quando potrà tornare a casa sulla sua poltrona in pelle
Immagino Ennio che, seduto vicino a John Williams, pensa solo a quando potrà tornare a casa sua, a Roma, sulla poltrona in pelle dove, quando l’ernia del disco rende il dolore insopportabile, passa anche le notti. La mondanità e gli eventi del resto non lo hanno mai conquistato. “Mi piace stare a casa con mia moglie. Quando devo andare in studio a registrare, mi dispiace”. Nei pochi momenti non dedicati al lavoro si concede una partitella al suo gioco preferito. “Gli scacchi. Prima lo facevo con gli amici. Da quando ho scoperto il computer, gioco da solo: è molto più comodo” (immagino l’allegria dei suoi ex compagni di gioco nel leggere questa dichiarazione). Appare chiaro il suo odio per le interviste, anche se la colpa non è del tutto sua. “Scusi se sembro annoiato, il fatto è che mi chiamano tutti per chiedermi sempre le stesse cose” disse, esausto, a un cronista di Famiglia Cristiana. Negli anni i giornalisti avevano imparato a loro spese a muoversi con la destrezza di ballerini di tip tap in un killing field cambogiano quando si trattava di intervistarlo, memorizzando un elenco di regole non scritte per non incorrere nell’ira funesta del maestro.
Primo: Morricone sembra apprezzare il fatto che lo si chiami “maestro”; secondo: non bisogna soffermarsi troppo sul suo lavoro con Sergio Leone (“Mi scoccia un po' che si dica che tutto comincia e finisce con Sergio Leone”); terzo: se proprio si deve parlare del lavoro con Leone, mai usare per descriverlo l’espressione “spaghetti western”, cui il Maestro attribuisce un’accezione dispregiativa. Quarto: evitare categoricamente domande sulla sua vita privata e concentrarsi piuttosto su aspetti legati alla musica e alla composizione, senza però ricercare forzatamente aneddoti mitologici (a una domanda su come fosse nato l’iconico carillon del duello finale in Per Qualche Dollaro in Più e l’urlo del coyote in Il Buono, Il Brutto, Il Cattivo, rispose lapidario: “il carillon c’era già nella sceneggiatura, io non ho inventato niente, mentre per l’urlo del Coyote ho incrociato due voci umane maschili stonate”. Fine.). Quinto: non chiedergli mai di suonare il pianoforte in casa, quello serve solo per comporre. Pare che alcuni inviati di Libération, nel 2016, si attenevano scrupolosamente a questi comandamenti quando uno, forse reo di aver abbassato la guardia dopo le prime risposte collaborative di Morricone, gli chiese: “qual’è il suo rapporto con Roma?”. Pronta la replica sdegnosa del maestro: “Ma… questa è una domanda da turista! Lei rappresenta un giornale serio… non siete venuti qui per sentirmi parlare di Roma!”. E, mentre raccolgono le loro cose, i poveri cronisti vengono mandati chiaramente “a quel paese”.
Poteva pure chiamarlo il padreterno, ma se era occupato era occupato
Di Morricone amo anche l’etica del lavoro che lo portava democraticamente a fornire il proprio contributo in modo ineccepibile anche a pellicole non esattamente eccelse (penso a l’ESORCISTA 2) o ancora quando poteva pure chiamarlo il padreterno, ma se era occupato era occupato. Ho letto recentemente che Kubrick (già profondamente colpito dall’avanguardismo della colonna sonora di “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”) telefonò a Morricone per fargli musicare Arancia Meccanica ma “in quel momento ero impegnato con Leone per Giù la Testa e non se ne fece nulla”. Rimpianti? “Ma no, tutto sommato stavo lavorando”. Leggendario.
A detta di chi lo conosceva bene, Morricone era schietto e tagliente. Da sempre gran tifoso della Roma, quando nel 1964, all’epoca di Per un Pugno di Dollari, un giovane e imberbe Clint Eastwood gli manifesta il desiderio di imparare a giocare a calcio, Ennio si attiva. Gli trova subito una piccola squadra in quella che allora era periferia, vicino allo Stadio Flaminio di Roma ma, alto e goffo com’è, non si integra bene: i suoi compagni di squadra lo bullizzano impietosi. “Ragazzo, concentrati sui film”. Oggi possiamo dire che quello di Morricone fu indubbiamente un ottimo consiglio.
Ennio era un pò come il Cavaliere Nero, nun je dovevi rompe er cazzo. Come racconta Silvia Bizio, su Repubblica, lo sa bene Oliver Stone, che gli commissionò la colonna sonora di U-Turn. Il compositore la consegnò puntualmente ma Stone ne apprezzò solo la prima metà, chiedendo al sommo di scrivere altre cose. Ennio si arrabbiò moltissimo: per lui quello che aveva fatto andava più che bene, saluti e arrivederci. Stone, però, era un reduce dal Vietnam, uno tosto che non si fa intimorire. Marcò stretto il nostro costringendolo a un secondo viaggio in America nel quale discutere delle integrazioni al commento musicale per il film. Morricone, si sarà capito, non amava lasciare Roma. L’umore non era dei migliori e la tensione si tagliava con la motosega. Stone spiegò cosa voleva da lui per il lato più action del film, un commento che mischiasse il be-bop con i cartoni animati di Willy il Coyote e Tom & Jerry. A Morricone fumavano le narici: “Cioè, vuoi che io scriva musica per cartoni animati?”. Alché Stone rincarò la dose: “Esatto. Dopotutto, è proprio quello che hai fatto per i film di Sergio Leone”. Stone rammenta vividamente che il Maestro non la prese bene. Lui lo stava provocando, ma il senso dell’umorismo non era nel menù delle sue molte qualità. Ma, alla fine, per U-Turn scrisse “la musica perfetta, quella che volevo. Ed è una delle preferite tra quelle dei miei film”. Ovviamente, non amando viaggiare, Morricone volle registrare tutto nella città che era la sua casa. Stone dovette mollare la produzione e andare a seguire le registrazioni in uno studio stipato con cento musicisti. “Suonarono meravigliosamente. So che Morricone ha fatto circa cinquecento colonne sonore, una mole di lavoro impensabile, inarrivabile. Leggendaria».
Emblematico, infine, della sua ruvidità caratteriale è il rapporto con Quentin Tarantino, da sempre un estimatore del compositore tanto da considerarlo “al pari di Mozart”. In vari suoi film utilizza composizioni del maestro, che però non sembra particolarmente lusingato, tutt’altro. All’amico Giuseppe Tornatore, che lo intervista nel libro “Ennio, Un Maestro” dice: “Prima di The Hateful Eight, in realtà, con lui non avevo lavorato mai, è lui che aveva lavorato con le mie musiche. Per la verità, ho ammirato alcuni suoi film, e anche il modo in cui usa le mie musiche di repertorio. Lui ha scoperto che preferisce prendere musiche preesistenti, le ascolta, e se gli vanno bene le mette nel suo. È ovvio che se prendi un pezzo da un film, un pezzo da un altro, un pezzo da un altro ancora, una coerenza musicale non l'avrai mai. E forse avrei difficoltà a lavorarci insieme: nei film devo essere coerente, non posso fare uno zibaldone, una fantasia musicale, come se ogni musica che mettiamo va bene. In realtà mi chiamò per le musiche di Bastardi senza gloria, era febbraio e doveva andare a Cannes, avevo due mesi di tempo per scrivere. Ma stavo lavorando per te e rifiutai, non ne avevo il tempo. Alla fine sono stato contento di essermi tirato indietro, ho visto il film e anche lì ha scelto pezzi lontanissimi tra di loro”. Ahia.
Faticosamente raggiunto il podio, tira fuori il pizzino col breve discorso dallo smoking, lo legge, in italiano, e se ne va. Like a boss
In “Django” Tarantino usa una versione di “Ancora Qui” cantata da Elisa che non è quella “giusta” secondo Morricone, che storce il naso. Ahia.
Ma c’è un happy ending: Ennio alla fine cede alla corte ossessiva e spietata di Quentin e tra i due scocca l’amore, anche se i giornali due anni dopo l’Oscar riportano un commento poco lusinghiero attribuito proprio al compositore “Tarantino è un cretino, caotico, parla senza pensare, fa tutto all’ultimo minuto. Non lavorerò mai più con lui”. Il nostro, infuriato, smentisce categoricamente e minaccia azioni legali.
Oggi ci lascia un tesoro sterminato di musica varia e meravigliosa (da spaziose arie sinfoniche alla più estrema avanguardia atonale), della cui grandezza, nel suo costante understatement, non sembra esser mai stato pienamente consapevole (o forse si, boh), tanto da dire, credo ironicamente: “Un musicista sottovalutato del nostro tempo? Non ho dubbi… sono io!”. È quasi consolante che in 91 anni di carriera mitologica, almeno una cazzata Ennio Morricone l’abbia detta. Ciao, maestro.