Una performance mediocre che non poteva andare diversamente. La magra figura che avrebbero fatto i nostri Mahmood e Blanco all’Eurovision di Torino si profilava evidente già nei giorni che avevano preceduto lo show, ma tutti, per qualche motivo, abbiamo voluto interpretarne i segnali come sprizzi di quella simpatia pressapochista così squisitamente italiana. E invece no, seguendo l’invito del Vate Funari, “quando uno è stronz* non gli puoi dì che è stupidino, così non lo aiuti, non gli fai un favore”. Ed eccoci pronti a non fare un favore alla coppia di interpreti che ha sciaguratamente rappresentato l’Italia all'evento non sportivo più seguito d’Europa. Prendete pure i campanacci che i vostri nonni scuotevano quando presenziavano nel pubblico della Corrida.
Doverosa premessa: Brividi è una ballad stupenda che, meritatamente, ha vinto l’ultimo Festival di Sanremo, grazie anche all’incredibile capacità di Mahmood nello yodel. Per quanto brutalizzare la gran voce di questo interprete con quintali di autotune sia da considerarsi reato penale e il brano, con annesso criptico coming out da parte dello stesso Mahmood, fosse giusto un filo paraculo, nessuna obiezione sul trionfo all’Ariston: era il pezzo migliore in gara. Amen.
Nel tempo, però, la percezione, il sentiment italico verso Brividi sono andati scemando da “capolavoro” a “musica balcanica” e questo crollo si è registrato anche da parte dei suoi stessi interpreti che, lentamente ma inesorabilmente, se ne sono disinnamorati insieme all’Italia intera. L'impressione è emersa, soprattutto, arrivati alla fase caldissima dell'Eurovision: Blanco salta le prove lasciando il poro Mahmood a yodelare presso se stesso, Mahmood risponde lasciandosi scappare un rutto in conferenza (cosa accettabile solo se sei Richard Benson) e, quasi orgogliosamente, si ostina a non proferir verbo in lingua inglese. Alle domande dei giornalisti internazionali, il cantante risponde gesticolando “all’italiana” e diventando subito meme. Ok, ma... tutto bene? Abbiamo martirizzato Emma all'Eurovision del 2014, solo perché non ci era piaciuto il suo outfit e senza che lei si ponesse, mai, in modo non professionale o poco rispettoso dell'evento.
Proprio come la Marrone all'epoca, tutti gli artisti che si sono esibiti durante la finale hanno dato il 100 % di se stessi su quel palco. Per carità, nel bene e nel male. Mahmood e Blanco, forse sapendo che bissare la vittoria dell’anno scorso sarebbe stato impossibile, hanno steccato malissimo, livello husky che cantano su TikTok. Se la Francia si fosse permessa di stonare la metà, staremmo ancora tutti qui a farne un bel barbecue. Invece, il massimo della critica che questi eroi, per mancanza di eroismo, italiani si sono visti arrivare dai social come dalle principali testate di informazione è: “esibizione non perfetta”, “erano troppo emozionati”. Nientedimeno?
Senza nulla togliere all’emotività artistica e personale di chicchessia, veniamo ai fatti: Blanco ha 19 anni, quindi un’età in cui la massima preoccupazione dovrebbe essere l’Esame di Stato di fronte alla Commissione Esterna, e si è ritrovato in faccia a 24 giurie di qualità da tutta Europa. Questo, però, a fronte di un Everest di dischi venduti, di un Sanremo vinto e di maxi-tour in giro per l’Italia che ai palchi, anche grandi, dovrebbero pur averlo abituato. Per non parlare di Mahmood che all’Eurovision aveva già partecipato, vincendo il Festival di Sanremo da outsider e classificandosi poi secondo in Europa con Soldi. Le sue espressioni incredule mentre tutto ciò accadeva, anno del Signore 2018, sono ancora scolpite nella memoria collettiva come opere d’arte mobile.
Ma poi cosa significa “emozionati”? Certo, un po' di "strizza" può tramutarsi in tassa da pagare durante i live e uno scivolone capita a tutti. Anche ben più d'uno, nel corso di una lunga carriera. Ma pensate un po’ come si sarebbe dovuto sentire allora Sam Ryder, il cantante del Regno Unito, che fino a due anni fa gestiva un chiringuito vegano. Durante la pandemia ha cominciato a postare cover di canzoni famose su TikTok per noia, e boom… oggi è una superstar in patria, sspedita all’Eurovision con un brano, Space Man, scritto dalle sacre mani di Ed Sheeran.
Non ha sbagliato una nota che fosse una, non è parso per nulla teso e si è pure piazzato secondo in classifica finale. Ma, a prescindere dal risultato, questa è la cazzimma che ci vuole. La stessa di Damiano dei Maneskin che, se ne dica tutto e il contrario di tutto, la sera del 14 maggio ha posato le stampelle in camerino ed è salito zoppicando sul palco della finalissima dell’Eurovision, nonostante una brutta distorsione alla caviglia: ha cantato (bene) da fermo, trovato il tempo di tirare una stoccata ironica ai francesi (cosa sempre buona e giusta) pur soffrendo come un cane. Se googlate “Madoninna che piange sangue” - “Immagini”, tra i risultati troverete sicuramente le smorfie di dolore del poro Damiano David che, in buona sostanza, essendolo o meno, ha dimostrato come si comporta un artista.
Al contrario, Blanco e Mahmood si sono presentati alla kermesse come due “arrivati”, la certezza di non vincere in tasca e “siam condendi pe’ fa’ shta shfilada”. Sempre vestiti anche molto chic (e chissenefrega), la loro ambizione è sembrata costantemente quella di risultare “iconici” per Instagram, più che di regalarci di nuovo la performance che avevano così brillantemente proposto all’Ariston. Perché?
Il rispetto del palco è punto cardine di ogni artista, non importa che si esibisca alla sagra della Ciabatta di Curno o alla cerimonia degli Oscar in mondovisione. Forse non ci rendiamo conto che quei due stavano rappresentando un intero Paese, il nostro, e che abbiano scelto di farlo all’insegna della malavoglia, del menefreghismo, del tanto al chilo. Un vero peccato.
Come è un peccato che nessuno osi ammettere serenamente che la loro esibizione durante la finale sia stata, in una parola, mediocre. Certo era inutile aspettarsi di vincere ma, almeno a livello spettacolare, l’Italia avrebbe meritato di meglio, soprattutto nell’anno in cui ha fatto, splendidamente, da padrona di casa dell’intero Eurovision.
A questo punto, stecche per stecche, ad avere una macchina del tempo a disposizione, sarebbe meglio tornare a febbraio, ribaltare la classifica sanremese e spedire a Torino quella testa matta di Tananai: ultimissimo al Festival con una canzone, Sesso occasionale, poi diventata super hit, e un entusiasmo ingiustificato ma contagioso, a dispetto del televoto che l’aveva incoronato re dei perdenti. A Tananai oggi ci sarebbe solo da dire, col capo cosparso di cenere e imbarazzo: “Baby, ma dai! Cosa c’è? Quell’altra non mi è mai piaciuta…”