Un tour nei teatri, ma anche il sogno degli stadi. Oggi i Fast Animals and Slow Kids vivono un lungo periodo di gloria, come un gruppo in controtendenza, cioè con una lunga gavetta prima della ribalta. Attivi da 15 anni, sono una delle rock band più seguite e amate in Italia. Vengono da Perugia, devono il loro nome a una battuta del cartone “I Griffin” e si completano a vicenda nella formazione originale. Vale a dire: Aimone Romizi (voce, chitarra, percussioni), Alessio Mingoli (batteria, seconda voce), Jacopo Gigliotti (basso) e Alessandro Guercini (chitarre). Anche nell'affrontare uno dei capitoli più interessanti della loro storia, che li vede impegnati a presentare le canzoni in una nuova veste, insieme a un'orchestra da camera, una delle più importanti in Italia, la Corelli.
Alessio, l'hanno eletta portavoce?
“Sono convinti che sia il più capace ad esporre. Convizione loro eh, ma il frontman è sempre il frontman”.
Andiamo al sodo, come definisce questa fase dei Fask?
“Una delle più stimolanti del nostro percorso; ci siamo sempre cimentati col rock and roll, anche se abbiamo spesso desiderato ampliare i nostri orizzonti inserendo una serie di sonorità e strumenti. Un desiderio che lentamente abbiamo espresso, tant'è che il rapporto con Carmelo Patti (direttore d'orchestra) va avanti da due dischi, Animali Notturni e È già domani. La scelta quindi è stata spontanea, e la sfida musicale l'abbiamo portato anche nei live”.
E nel tour con l'orchestra.
“Quello sugli arrangiamenti è stato un lavoro lungo e complesso, e il tour teatrale con l'orchestra ci ha talmente soddisfatto che abbiamo pensato a una degna conclusione con altri due appuntamenti, 22 luglio al Ravenna Festival e il 30 luglio a Cividale del Friuli. Siamo già chiusi a fare le prove, a capire come strutturare il live: cinque elementi della band su 35 complessivi!”
Che effetto fa pensare a quelli incazzati di una volta?
“In realtà la rabbia c'è ancora, forse meno forte, perché siamo cresciuti, siamo andati avanti, ma siamo ancora gli stessi. Il nostro approccio nel fare musica è uguale, ci siamo scelti per stare bene, e da questo benessere è nato tutto il resto”.
Possiamo dire che il singolo con Ligabue (Il tempo è una bugia) non è stato ben accolto dai fan?
“In parte è comprensibile, c'è il desiderio (forse egoistico) di voler vedere l'artista sempre nella stessa maniera. Una cosa che non è possibile perché le nostre vite sono nei dischi, e se cambiano i nostri percorsi personali cambia anche tutto il resto. Per quanto riguarda quel pezzo, poi, non è neppure un cambiamento vero e proprio, ma un confronto con un gigante della musica italiana che a livello mainstream è più vicino al nostro rock”.
Chi fa rock and roll in Italia?
“A livello mainstream ce ne sono pochi, i Måneskin stessi dicono di non essere una rock band. Al contrario c'è un sottobosco ricchissimo, penso a L'Umbria che spacca, che organizza Aimone, dove s'esibiscono anche un sacco di rocker”.
Coi Måneskin e il loro pop-rock s'immagina un feat?
“Sono animali da palco, quello che fanno lo fanno benissimo. A prescindere dai gusti, non si può dire il contrario. Non escluderei un duetto, magari un giorno...”
Uno stadio non si nega a nessuno: e a voi?
“Ve ne avanza qualcuno? (Se la ride). Ci pensiamo, certo, è il sogno di chiunque faccia musica”.
Il vostro nome è stato associato spesso a Sanremo: si farà prima o poi?
“Il Festival ha cambiato i suoi orizzonti, e a maggior ragione è un palco a cui nessuno direbbe di no. Abbiamo visto tanti amici - ex alieni di una volta - muoversi bene, penso agli Zen Circus che ci hanno cresciuti. Quindi è un'occasione, ma con il giusto pezzo”.
Qualcosa bolle in pentola per il 2024?
“Abbiamo molti brani che ci permetteranno di chiudere un disco. Per il resto, valuteremo”.