Dieci anni fa, quando morì Franco Califano, il giornalismo era molto diverso da quello di oggi, quasi non esisteva l’immediatezza del pezzo sul web che scrivi la mattina e dopo un’ora lo trovi pubblicato in attesa dei commenti dei lettori. Quando morì il Califfo mi ricordo di aver chiamato Moreno Pisto che allora era caporedattore di Riders per proporgli un pezzo commemorativo dedicato all’autore che nel tempo avevo sentito più vicino per quell’indubbia capacità di far coincidere arte e vita. Appena poche ore prima era scomparso Enzo Jannacci, altro grande della musica italiana, due tipi umani che più diversi non avrebbero potuto essere, cominciando dal fatto che Enzo era medico e Franco al massimo un paziente, e pure indisciplinato. E poi le città: Jannacci era Milano, Califano era Roma e anche nel momento dell’addio esprimono due modi diversi di stringersi attorno ai propri figli. Ci sono momenti, da ragazzo, in cui ti senti filosofo esistenzialista, “Tutto il resto è noia”: questa frase l’ha scritta Franco Califano nel 1977 e sembra scritta per te. Non fosse stato romano fino al midollo, non ci fossero stati i Ragazzi di vita di pasoliniana memoria a riportarlo verso le periferie e le borgate della Capitale dove si sopravvive di espedienti e disincanto, potremmo parlare del Califfo come del più autentico punk italiano, quello che in fondo è stato Serge Gainsboroug a Parigi, con quel carico di esistenzialismo amaro, di vita al limite rincorrendo sempre i soliti errori e con questi alimentando il proprio mito. Una vita che il Califfo ha sempre preso a calci nei coglioni, trattandola con sprezzo e sufficienza, cinismo e disincanto, ma anche tanto amore. E l’amore, dal Vangelo secondo Franco, alla fine è sempre e solo noia. Routine. Abitudine. Tanto vale restare da soli, a inseguire i propri fantasmi.
Così ogni storia è sempre la stessa storia. All’inizio ti illudi: “Sì, d’accordo l’incontro. Un’emozione che ti scoppia dentro, l’invito a cena dove c’è atmosfera, la barba fatta con maggiore cura”. Conquistare una donna, per un playboy di professione, è questione di talento, un corteggiamento breve per fare subito centro, la sera stessa. Nel repertorio del già visto va in scena il primo bacio, “rifiuti di pensare a un’avventura”, l’eloquio sapiente, “cose giuste al tempo giusto”, e a letto si finisce presto. Sì, d’accordo ma poi? Esperto, scafato, si organizza, lava la macchina, mette ordine in casa per non farla sembrare un bordello. Si fa l’amore la prima volta, poi ancora e ci si mette insieme. Si, d’accordo ma poi? Quell’avventura di una sera, diventata una relazione, un anno dopo è “la brutta copia di quello che era”. Lei è bella, intrigante, forse diversa, tanto che per un momento pensi di riuscire a mettere la testa a posto; niente da fare, la monotonia del quotidiano fa svanire la complicità. Non servono le feste, le cene, gli amici. “Noia, noia, noia. Maledetta noia”. Una condanna che suona come l’autocompiacimento di un uomo impossibile da ingabbiare, cui non importa mettere su famiglia né rischiare di finire i propri giorni da solo, stanco, vecchio e malato. La libertà non ha prezzo. Il piacere quasi quotidiano della conquista, perché qualsiasi donna è degna di attenzione, in fondo è un mestiere. Il mestiere di vivere.
Franco Califano ha scritto testi molto belli - La musica è finita, Una ragione di più, E la chiamano estate, Un grande amore e niente più, Minuetto - affidati alla voce di ottimi interpreti - Ornella Vanoni, Mino Reitano, Peppino di Capri, Mia Martini. Nel frattempo, si è costruito un’eccellente biografia erotica, una “leggenda” cominciata pare a nove anni con la mamma di un compagno di classe; mai pagato una donna, neppure nei bordelli, tanto è bello. Bello e dannato, ha scelto di vivere pericolosamente; nel 1970 è coinvolto nell’arresto di Walter Chiari per uso di stupefacenti, sconta un anno di carcere pur risultando assolto con formula piena. Sarà la prima ma non l’ultima volta. Le donne, sempre e comunque. “Ne ho frequentate tante, ne ho scopate di più, ne ho studiate le reazioni e credo di poter dire che non c’è una categoria di donna che io non conosca”. Dispensando massime a chi crede nel suo verbo, per esempio trattare la sciampista come una principessa e la principessa come una puttana. La carriera di un libertino, peraltro, ha alti e bassi e spesso Califano si è trovato senza un soldo, mitizzando le situazioni più assurde, come il prostituirsi con donne belle e ricche per un tetto. E poi i “buffi”, le cambiali firmate per comprare abiti di sartoria, macchine sportive e moto di grossa cilindrata, giusto per acchiappare di più.
Sono tempi in cui il playboy ha un ben preciso ruolo sociale, non come oggi che risulta un personaggio decaduto, crepuscolare. Rispetto ad altri colleghi ricchi, impomatati, pettinati, con il foulard al collo e i mocassini scamosciati, Franco Califano scoppia di realtà; dunque, è credibile a partire dal linguaggio vernacolare con cui racconta la borgata, le notti al night, le conquiste, vita e malavita per la strada per il suo autentico romanzo criminale. Tutto assolutamente credibile, spiega Luigi Manconi: “Soldi, donne, droga. Chi ottiene tutto questo, con mezzi legali o illegali, rappresenta esemplarmente un modello di vita. Ma un modello è sempre, per definizione, lontano e irraggiungibile. Califano no: egli è (appare) vicino, prossimo, raggiungibile”. Carcerati - come Johnny Cash anche il Califfo tiene un concerto dietro le sbarre, a Rebibbia, stabilendo con i detenuti un’empatia straordinaria - mascalzoni, casalinghe, ragazzi di periferia e ragazze di vita sono sì i protagonisti delle canzoni di Franco, ma non i veri destinatari. I suoi testi, infatti, sono intrisi di una malinconia che non svanisce, anzi si sedimenta ascolto dopo ascolto e mira ad altre corde: traduce i piaceri di un uomo, le voglie di una donna, le sofferenze di un galeotto, le speranze di un poveraccio, l’ignoranza e la grettezza, persino l’esaltazione di codici criminali risultando sempre assolutamente credibile. L’amore, secondo lui, è un sentimento gaglioffo, disincantato, cialtronesco dove la donna, pur sapendo sempre come andrà a finire, accetta le regole del gioco, ammaliata dalle tecniche raffinate del seduttore e del suo modo evidentemente straordinario di capire il sesso. “Io so quanto è importante la passione, so che richiede applicazione e io, modestamente, mi applico. Se vado a letto con una donna, lascio il segno. Mi sono fatto fama di amatore andando con donne bellissime e facendo quello che dovevo fare”.
Le cronache degli anni Settanta riportano nomi altisonanti nel suo repertorio di conquiste: da Mita Medici, l’attrice con cui vive la relazione più lunga e sofferta, a Dominique Boschero, da Patrizia de Blanck a Marina Occhiena, da Vanessa Heffer a Eva Grimaldi. Si parla addirittura di una suora e di una sposa il giorno del suo matrimonio. Ne ha calcolate, durante una conferenza all’Università di Roma nel 2009, circa 1.700, compreso un trans smascherato all’ultimo momento, come racconta senza esitazioni nello spoken Avventura con un travestito: “La mano mia acchiappò dù cose mosce, mai viste così grosse ’n vita mia, dù palle come li mortacci sua. Sopra la mano mia paralizzata, pè quella ‘nfame meta conquistata, se tanto me dà tanto pensai ar resto e ritirai la mano presto presto”. Nonostante questi invidiabili primati, la noia resta in agguato. Anche questo suo atteggiamento risulta dissonante nell’Italia non solo dei drammatici anni Settanta che non ha tempo di pensare agli amori amari del Califfo, ma anche di un Paese in cui, bene o male, il ruolo della donna si sta finalmente modificando. Nuota davvero controcorrente, non è affatto di sinistra e proprio la politica non gli interessa, eppure vende bene: Tutto il resto è noia tocca il milione di copie.
Non bastasse l’immagine di dissipatore, vizioso e donnaiolo, Califano lancia un’altra sfida, più pericolosa. Sulla copertina dell’album è fotografato con un bel bimbo biondo in braccio. Eros, il figlio del boss Francis Turatello che il cantante ha conosciuto in carcere a Milano e che anni dopo verrà ucciso a morsi nel penitenziario di Nuoro dal più feroce dei gangster, Pasquale Barra. Il retrogusto della provocazione è forte, ma il Califfo ha le idee chiare: “Un’amicizia di una vita, ognuno con le sue scelte, con tutte le differenze, le esperienze e le cose che posso succedere nella vita. Io un amico non lo tradisco”. Dalle stelle alla polvere, cade e si rialza; quando non lo aspetti più si rimette in pista. Impossibile non volergli bene. Paragonando la musica italiana all’arte, Califano ha diverse analogie con Mario Schifano: una settantina d’anni vissuti pericolosamente all’insegna del disordine e della malinconia, dell’eccitazione e dei silenzi, dei capolavori e delle scivolate. Pagando ciò che c’era da pagare, senza lamentarsi, senza dare agli altri le colpe della loro debolezza. Persino l’epigrafe di congedo da questa terra suona beffarda, quanto quella di Marcel Duchamp. Se il francese fa scrivere sulla lapide del cimitero di Rouen: “D'ailleurs c'est toujours les autres qui meurent” (D'altronde sono sempre gli altri che muoiono), il Califfo ha voluto comunque precisare: "Non escludo il ritorno".