“Abbiamo bisogno di aiuto da parte del Governo, perché nella musica ci sono tantissime persone che hanno seriamente bisogno di lavorare”. Gaia Gozzi ha 23 anni e una vita così trasversale che a cantare libera sul palco di Sanremo proprio non le sembra vero. Per un paradosso, il 2020, l’anno buio per l’Italia, è stata la sua età dell’oro che le ha portato la vittoria ad Amici. Oggi questa consapevolezza mista a un senso di gratitudine la spinge a vivere il Festival di Sanremo come un sogno non più per se stessa: “Abbiamo la fortuna di suonare con sessanta musicisti, io sono privilegiata. Per questo il mio obiettivo è celebrare il sogno nella casa delle persone, di chi è recluso. La musica è anche questo: medicina”.
Ieri sera, Gaia ha duettato con Lous and the Yakuza con una cover di Mi sono innamorato di te di Luigi Tenco. Ancora una volta la contraddizione: note d’amore di un artista che nel ’67 fece proprio del Teatro dell’Ariston il suo sepolcro. “È una canzone che quando l’ascolti, ti tocca inevitabilmente, ti squarcia il cuore in maniera sincera. Perché Tenco non parla di un amore idilliaco sognante, ma di un amore vero”.
Si ha quasi l’impressione che quella di Gaia Gozzi a Sanremo sia una contro-narrazione del festival, lei che vede nella musica un bisogno di elevarsi dalle brutture del mondo, immergendosene appieno. Ne sa qualcosa Lous and The Yakuza, che ha duettato con lei ieri sera. L’artista “dal colore ebano, non nero”, originaria della Repubblica democratica del Congo, formatasi tra le ombre delle “thoiry” di Bruxelles, traduce questa cattività con l’arma più potente: quella del sorriso, che si trova solo nell’abisso dove tutto è perduto. A dispetto della giovane età, lo conosce bene nel ricordo materno della seconda guerra del Congo. Questa sera anche lei sarà il simbolo disarmante di un tempo che associa Congo a morte, come ci ricorda il recente assassinio dell’ambasciatore Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci. Insieme a Gaia anch’ella esploratrice per scelta, cresciuta nella terra dei Gonzaga con le canzoni di Jorge Ben Jor, Marisa Monte, Tribalistas, hanno trovato il match perfetto: entrambe fiere sognatrici libere di un mondo dagli schemi troppo pesanti.
Gaia, hai partecipato a X Factor, poi hai vinto ad Amici. Eppure sei qui al Festival di Sanremo: perché, visto che alcuni lo definiscono come superato?
“Anche se rispetto ogni opinione, credo che sia limitante dare una definizione dei contesti. La musica è bella a prescindere dal contesto. In un luogo come Sanremo va celebrata ancora di più perché abbiamo bisogno di portare il nostro settore il più in alto possibile”.
Eppure, l’Ariston incarna una contraddizione: un concerto della musica popolare in un luogo, il teatro, ormai svuotato dal popolo. Come vedi questa situazione?
“Abbiamo bisogno di aiuto da parte del governo, anche per la questione relativa ai live. Io mi sento agevolata e fortunata, ma ci sono tantissime persone che hanno seriamente bisogno di lavorare: i back liner, i macchinisti, gli insegnanti, lo staff della sicurezza, per esempio. Credo che il Festival di Sanremo sia anche importante per far ripartire questa macchina”.
Però dopo aver raggiunto la popolarità che hai, cosa ti spinge a calcare il palco di Sanremo?
“X Factor e Amici mostrano che ho sempre scelto qualcosa di diverso, anche se all’inizio mi ha messo in difficoltà. Ieri mi hanno molto colpito le parole di Elodie, che ha detto di lasciare dietro di noi tutto quello che ci è stato imposto a livello sociale. Non dobbiamo temere di non essere all’altezza di fare qualcosa, non dobbiamo avere paura delle difficoltà”.
E Sanremo e il luogo adatto per celebrare la musica?
“Oggi la musica ha bisogno di essere celebrata ovunque, sia in un bar che al Festival di Sanremo. Se poi abbiamo la possibilità di farlo nei confronti di un pubblico più vasto, ancora meglio”.