Ho trovato il Festival insostenibile. Lo guardo ogni anno come 20 milioni di italiani, mi auto giustifico pensando che è come mangiare gli Oreo avvolti nel bacon, un guilty pleasure orrendo e liberatorio, ma so che non è vero. Sanremo è il nostro Super Bowl e io non voglio perdermelo, non voglio sentirmi escluso da questo rito collettivo.
È il nostro Super Bowl nel senso letterale del termine: una mega ciotola dove dentro finisce tutto, musicisti (giovani e vecchi), attori, sportivi, nani, ballerine, super ospiti internazionali, comici, infermieri. C’è tutto anche quest’anno, pure la lunghezza estenuante e allora perché non ce l’ho fatta a superare la mezzanotte? L’ho capito stamattina. Perché mancava il pubblico. Ma come? Quelle file di vecchi, funzionari Rai, commendatori, sciure ingioiellate? Si. oltre a rendere tutto glaciale, il pubblico rappresenta la carta imprevisti del Monopoly, che è il motivo vero per cui alla fine guardiamo il Festival: I mormorii dopo un guasto tecnico, dopo Vasco che si mette il microfono nel taschino, i “boooo” dopo Brian Molko che spacca una chitarra nell’imbarazzo generale, gli applausi a Pippo che sventa un tentato suicidio in diretta, Bugo che se ne va e Morgan che dice di non sapere perché, Crozza che quasi si mette a piangere dopo che un ottantenne in sesta fila gli ha detto “vai via”, Grillo che fa una battuta sui socialisti e viene bandito a vita dalla Rai, Benigni che strizza in eurovisione i coglioni di Baudo e anni dopo, sempre sullo stesso palco, spiega Dante... altro che le canzoni, è la voglia di disastro che ci attacca lì davanti per 6 ore, è lo spettacolo che perde pezzi, l’imbarazzo dei silenzi dopo un numero, le battute che non fanno ridere, la sfilza di premi assurdi, le telepromozioni dei pannelli solari, il video marchetta della “Città di Sanremo”. È una messa alla quale il vescovo officiante è arrivato ubriaco, e noi stiamo lì ad aspettare il momento in cui vomiterà sul leggio o inciamperà cadendo al suolo.
Senza pubblico manca questa tensione, data dall’attesa di un incidente che non arriva mai.