Viene voglia di piangere. Viene voglia di stare in silenzio. Viene voglia di ricominciare a scrivere le poesie che ho smesso di scrivere. Forse ha ragione chi dice che basterebbe insegnare Dante e Petrarca come si dovrebbe per educare all'affettività e alla sessualità. Di sicuro ha ragione Niccolò Contessa de I Cani, di sicuro hanno ragione i Baustelle: ieri hanno tirato fuori un album che per me restituisce alla musica il significato di opera d'arte.
Scusate la volgarità ma neanche poi tanto, perché i Baustelle e i Cani hanno aspettato anni prima di far uscire un album di rottura totale: solo due tracce, Lato A (Nabucodonosor - Essere vivo) e Lato B (Canzone d'autore - L'ultimo animale); costo: venti euro, acquistabile online o in cento negozi per un totale di mille copie e basta; nessun annuncio, nessuna spiegazione, nessuna piattaforma commerciale coinvolta. E poi ci sono loro: i pezzi. Di livello altissimo. Sì, i Baustelle e i Cani hanno cagato in testa a tutto quel rumore che ci riversano adesso e addosso i trapper e a tutto quel mercato discografico che ormai fa vomitare, con le hit estive, i product placement, le canzoni impegnate per marketing e i ritornelli marchetta alla Coca Cola o a Pantene e che ha portato le canzoni ad avere lo stesso valore di un paio di sneaker.
I testi mi fanno commuovere. Ci sono citazioni bibliche, riferimenti a Babilonia, scene pasoliniane, omaggi a Battiato, passaggi di filosofia che nessun critico musicale potrà mai non dico capire ma nemmeno riconoscere. C'è la struggevolezza. C'è un senso ultimo: “Perché il cuore è la cosa che conta, l'unico faro nel buio di questa stagione”. C'è l'auto assolvimento: “E poi che gusto c'è a vivere senza mai farsi del male. Il bello di essere vivo è che c'è un serpente dentro ogni giardino”. C'è il riconoscimento della nostra condizione ontologica (che parolone, eh?): “Intrappolato tra il bene e il male come un essere umano, senza l'istinto di un animale come un essere umano”. C'è la critica più forte che ho sentito da tempo a questa parte all'esistente, a quella spazzatura di cui siamo circondati e che contribuiamo a buttare per strada: “Ma quanto pensiero mediocre in alta definizione, ma quante illusioni banali, fumo spacciato per grande canzone d'autore”. Capite?
Ascoltando le due tracce vengono in mente gli eccentrici, gli irregolari, gli strani. Viene in mente Banhoff, che insegna in una scuola media ed è costretto a discutere con genitori che si lamentano di come si comporta sui social. Caro Banhoff, se solo capissero, quei genitori, che tu sei l'unico che può spiegare ai loro figli Dante e Petrarca e Rimbaud e Michelangelo e Caravaggio così bene da farli innamorare, il mondo forse tra vent’anni avrebbe una possibilità in più. Viene in mente Vincent, il pittore che si è costruito la sua città in Puglia e tutto storpio danza e balza da una parte all'altra della stanza per muovere l'energia nel suo corpo. Per tutti è un pazzo. Invece è un profeta. Viene in mente che mi sono dimenticato di quanto il silenzio possa fare più casino delle urla, come sa bene proprio Niccolò Contessa che ha scelto di sparire in un mondo dove regna l'apparire.
Questo album è un invito all'arte e alla poesia. Poesia deriva da poiein. Poiein significa produrre. Produrre parole. Senza parole non mettiamo ordine nei pensieri. Senza pensieri ordinati non avremmo costruito (prodotto) niente. E per inventare le parole serve il poeta. Che riesce a farlo ma a condizione di toccare la follia, sacrificandosi per tutti noi. Come un Cristo. Ecco: anche di questi tempi senza più riferimenti abbiamo bisogno di salvezza. Ascoltando queste due canzoni ne troviamo un po’, giusto un po’, almeno un po’. È già tanto.