Lo ha detto Massimiliano Parente su Il Giornale, quindi non mi sento solo. L’insostenibile leggerezza dell’essere non è un granché. Il problema non è che Milan Kundera non sapesse scrivere, ma che spesso non sappiamo davvero leggere, selezionare, capire. Kundera è diventato famoso grazie al suo peggior libro. Una sorta di amalgama indistinta senza storia e senza lo spessore di altri suoi libri. Un titolo che è un trattato ma che resta un titolo. Neanche la migliore delle copertine Adelphi. Come ebbe a scriverne Giovanni Raboni: “La leggerezza è finita tutta nel titolo, mentre nel corpo del testo è stata sostituita da una spocchia aforistica che solo in parte riesce a nascondere un sottofondo di banalità da Baci Perugina”. In altre parole, Kundera è il baby sugar delle influencer di Tik Tok che consigliano a giro lui, Scott Spencer, Peter Cameron, pochi altri. Più per il titolo che per un’effettiva conoscenza: Un amore senza fine, Un giorno tutto questo dolore ti sarà utile e così via. C’è chi mette dentro anche Stoner, a riprova del fatto che non si stia parlando necessariamente di pessimi libri, ma di libri che, bello o brutti, hanno fatto la fortuna di editori e case editrici, e spesso anche di lettori deboli ammaliati dall’idea di avere in casa un libro Sellerio o Adelphi. Ma di Baci Perugina, delle volte, si parla. Nel caso specifico, L’insostenibile leggerezza dell’essere è un testo impraticabile, come un acquitrino spacciato per piscina. Noioso ma efficace. Una raccolta di frasette, alcune delle quali finiscono come esergo di libri, diari e pagine Instagram.
È la grande lusinga della letteratura nei confronti dei gusti. Si dice che Kundera non abbia mai ceduto in favore del facile consenso. Se è vero, allora L’insostenibile leggerezza dell’essere è una caduta di stile, un passo falso, un peccato imperdonabile dal quale ora più che mai non si smarcherà più. Il problema maggiore, però, è che per colpa di questo libro dobbiamo sorbirci i finti seri, i finti profondi (tendenzialmente pubblicati da Einaudi) che imbrattano le stesse collane in cui troviamo Ellis, DeLillo, Roth, Salinger, Wallace, Szabó e così via. Se è falso, allora anche Kundera ha i suoi peccatucci da scrittore. Il ché non solo sarebbe normale, ma persino apprezzabile. Come disse Michael McDowell, cercare di piacere può essere, a buon diritto, l’obiettivo di uno scrittore. Ma allora non dovremmo incensarlo come uomo tutto di un pezzo, una sorta di mormone della letteratura europea. Anzi, dovremmo accertare una delle due possibilità e renderci conto che, soprattutto per alcuni, loro sì i mormoni, è proprio Kundera ad aver dato vita a una serie di mezzi romanzi che tanto ci si spreca a liquidare. Allora perché non farlo con lui. Timore reverenziale?