Credo andrebbero fatti dei distinguo. Mi sono sempre stati sul cazzo quelli che fanno i distinguo. Farò dei distinguo, ergo mi starò per qualche minuto sul cazzo. Come fossi un adolescente. O uno che vorrebbe ma non può. Si dovrebbe, cioè, distinguere tra spettacolo, inteso come show pensato per un pubblico televisivo, sempre che esista ancora un pubblico televisivo. Volendo anche per un pubblico lì in Piazza San Giovanni, quelli che sono accorsi dopo due anni di silenzio, con la frenesia del mangiarsi la strada da fare, di abbracciarsi, di cantare e ballare anche su musiche oggettivamente di merda, e, appunto, la musica che è stata proposta, consapevoli che quest’ultima è stata talmente varia e poco riconducibile a un unico genere, a meno che non si intenda per unico genere quello che vive dentro il boschetto della fantasia di chi ha organizzato il tutto, da non essere includibile in un unico discorso senza correre il rischio di scontentare qualcuno. Del resto, converrete, se chi scrive si sta sul cazzo da solo, figuriamoci se gliene frega di scontentare un lettore X, sconosciuto, da qualche parte a leggere, magari coi calzoni arrotolati alle caviglie mentre sta seduto sulla tavola del cesso.
Andiamo al dunque.
Si è tenuto il Concertone del Primo Maggio di Roma, quello teoricamente dei sindacati, cioè, anche non teoricamente, ma è un po’ come quando vai a certe macchinette degli uffici, o in certi spazi pubblici, dove ti trovi a bere una roba da un bicchierino di plastica, magari anche compostabile, figuriamoci, qualcosa che abbiamo scelto su un display sotto il nome “bevanda al sapore di caffè”, mica crederemo davvero di poter dire di aver bevuto davvero un caffè, idem per il Concertone del Primo Maggio di Roma, c’è il banner dei sindacati, ma neanche ci somiglia vagamente a un Concertone del Primo Maggio di Roma dei sindacati, è roba buona per i turisti, gli spaghetti alla bolognese, quella roba lì. Si è tenuto il Concertone del Primo Maggio di Roma, quello teoricamente dei sindacati, e per una volta, vedere un pubblico di fronte a un palco, cosa un tempo talmente naturale da non essere neanche notata, ha commosso, come quando uno che è stato in coma muove un dito, apre un occhio da cui esce una lacrima, fa un movimento che suoni come voluto, e non un riflesso nervoso dettato non si sa bene da cosa.
Certo, commuoversi per un Concertone del Primo Maggio di Roma che presentava quel cast lì è qualcosa che dovrebbe dirci molto sul nostro stato emotivo, e forse anche sul nostro stato mentale. Perché questa è l’altra parte del discorso, e mi rendo conto che, nel tirarla fuori subito, senza essermi soffermato su quanto in effetti il Concertone abbia soddisfatto, vado a occhio, chi era presente in piazza, a vederli festanti dubito ci sia stato chi abbia avuto da ridire sulle scelte artistiche dell’organizzatore, e anche di chi stava di fronte alla televisione, qui parliamo giocoforza di numeri piccoli, irrilevanti, non solo perché i numeri della televisione sono sempre più spesso piccoli e irrilevanti, continuiamo a far finta di niente parlando di “popolo italiano” riferendoci alle percentuali dello share, ma sappiamo bene che la televisione la guardano solo da una certa età in su, e che quasi tutti quelli che la guardano, anziani esclusi, forse, lo fanno usando le piattaforme come Netflix e affini, mica seguono i palinsesti delle reti generaliste, appunto, se uno si è preso la briga di seguire il Concertone in televisione lo avrà fatto perché voleva, non perché si trovava a passare di lì, nessuno si trova più a passare di lì.
Ecco, diciamo che quanto sopra espleta all’applaudire l’organizzazione per aver soddisfatto tutti quelli che voleva evidentemente soddisfare, sindacati o chi per loro, pubblico in piazza, pubblico eventuale a casa, e mettiamoci pure che avrà soddisfatto anche discografici e promoter, lì a fregarsi le mani per aver piazzato qualche artista in una delle rare vetrine televisive, resta che il Concerto del Primo Maggio di Roma, quello etc etc, è stato uno spettacolo musicale di una bruttezza quasi sconcertante. Come è stato anche il resto, la conduzione di Ambra, quest’anno accompagnata inizialmente da Bugo, che almeno è stato spontaneo e soprattutto ci ha regalato il solo momento di tv-verità quando è salito sul palco, chitarra a tracolla, intonando la sua Io mi rompo i coglioni, e poi da tutta una serie di ospiti, non è certo di aiuto, questo parlare a voce alta, quasi gridare, necessaria in piazza ma fastidiosa in televisione, come questo ricorso continuo a una retorica pelosissima, fastidiosa come un dito nel culo per chi trova avere un dito in culo fastidioso, il ripetere allo sfinimento lo slogan “Al lavoro per la pace”, detto talmente tante volte che, giuro, alla centesima volta sono andato a cercare online info su come arruolarsi alla Legione Straniera, ecco tutta questa conduzione sguaiata non è stata certo di aiuto, anzi. Unico motivo che ci ha fatto digerire tutto questo il pezzo in cui Lundini ha praticamente perculato tutto questo, Ambra in testa, con tanto di telefonata finale di Putin a annunciare la fine della guerra, fortuna lui. Poi, con il calare della sera e l’arrivo dei Vip o Big che dir si voglia, l’obbligo di dire minchiate sulla pace è venuta meno, e almeno questo ce la siamo tolta dai coglioni (unica variazione sul tema l’omaggio a Gino Strada con tanto di esecuzione di Il disertore di Boris Vian da parte di Luca Barbarossa, finalmente qualcuno a parlare davvero di pace).
È rimasto però il brutto. Con sprazzi di bello, è ovvio, non cito gli amici, perché se no poi cagate il cazzo che scrivo bene solo di loro, e a parte Ornella Vanoni che si è presentata, certo non in impeccabile forma vocale, ma interpretando con coraggio una rara e semisconosciuta Construcao di Chico Buarque de Hollanda nella versione tradotta da Jannacci, unica artista a aver portato un brano a tema con la Festa dei Lavoratori, visto che parla di morti bianche, e non cito i pochi altri momenti belli perché non vorrei qualcuno pensasse che nell’insieme il discorso finisca in pari, pure quelli fissati col voler mangiare solo le M&Ms rosse sanno bene che se comprano un pacco da cento ne troveranno almeno una quindicina, ma sanno bene che il resto non fa per loro, figuriamoci, ma che in mezzo a tanta bruttezza è come scomparso, troppe M&Ms dei colori sbagliati, e che diamine. Con sprazzi di bello ma senza fatti eclatanti, gente che tira fuori il pisello, che infila condom ai microfoni, che finge di essere stato censurato dalla Rai a beneficio di social. Solo sprazzi di bello in mezzo a un oceano di bruttezza. Neanche di quella bruttezza capace di fare il giro completo e affascinare, penso a Rossy De Palma, l’attrice picassiana feticcio di Pedro Almodovar, solo e semplice bruttezza che tale rimane, in maniera quasi desolante.
Perché del fermare in maniera plastica, statica, lo stato dell’arte attuale, per di più fermarlo per un numero così lungo di ore non sentivamo alcuna necessità, è vero, stiamo vivendo un periodo di enorme decadenza artistica, indotto dalla crisi ferale del mercato, certo, ma forse endemica, di quelle che ciclicamente arrivano e richiedono, poi, una mossa radicale da parte di chi verrà, incaricato di ricostruire qualcosa su macerie ancora fumanti, ma sottolinearlo con tanta veemenza è sembrato eccessivo anche per chi, io, in genere non lesina entrate a gamba tesa o testate assestate al setto nasale. Della serie, dire a qualcuno che sta morendo non per prepararlo a questo nuovo viaggio quanto piuttosto per perculare il morituro, magari sottolineando come sarà qualcosa di dolorosissimo e che poi, una volta morto, tutta quella faccenda della vita eterna era frutto di fantasie mal comprese, beh, si chiama sadismo, non certo diritto di cronaca. E anche far incarnare a personaggi come Psicologi, Rkomi, Dio santo, Rkomi, Deddy e Caffelatte, che uno si chiede chi cazzo gli ha affibbiato il nome d’arte, uno cui stava evidentemente piuttosto sul culo, Tommaso Paradiso, Mr Rain, Mecna, Fasma, Coez, Bresh, cazzo, ho provato a sentirlo, Bresh, con attenzione e mi è definitivamente passata la voglia di vivere, testi di una banalità sconcertante e di una sciatteria che in confronto gli indie sembravano prog rocker, ne cito alcuni, e so di aver già giocato scorretto, perché stiamo parlando di gente che uno sicuramente non vorrebbe al proprio funerale, ma manco a quello del proprio acerrimo nemico, far incarnare a personaggi come questi il ruolo del becchino, beh, dai, è davvero qualcosa che sembra un volersi accanire sulla salma, roba da 6 Feet Under, necrofilia bella e buona. Io, che potrei fingere di aver visto tutto, ma nei fatti ho guardato a sprazzi, non mi voglio poi così male, meglio far finta che ci sia ancora qualcosa di interessante su Netflix, piuttosto, ho guardato a sprazzi con lo stesso entusiasmo che si riserva allo spillare i voti in una pagella di cui già si conoscete da tempo l’esito, “bocciato”, mi sono sentito e ancora mi sento come certi personaggi che capita di vedere in film dell’orrore, o magari anche in quelli dove a un certo punto l’eroe di turno, si tratti di poliziotto o vigile del fuoco, riesce a arrivare in tempo e salvare il malcapitato, malcapitato che sarei io, uno che viene seppellito vivo dentro una bara, paralizzato ma lucido, a cercare di far segno a chi sta saldando con lo zinco la bara, consapevole che non sarà certo quel micromovimento del mignolo a attirare la sua attenzione, come consapevole che, una volta finito sotto terra, e lì è che son finito, a nulla potrà valere il recuperare la voce e urlare, nessuno potrà venire a salvarmi. Certo, mi sono chiesto su che base Ariete abbia cantato lo stesso numero di canzoni di Max Pezzali, Rancore o Enrico Ruggeri, e, per dire, Coez, Tommaso Paradiso, Luchè (che ha rappato su una base dove era ben ascoltabile la sua voce, un tempo si sarebbe detto sul playback), Mara Sattei, cioè, dico io, Mara Sattei che canta più di Max Pezzali, Rancore o Enrico Ruggeri, va beh che aveva le zizze di fuori e ha dato modo a noi intellettualoni di storcere il naso sul suo “col prossimo brano vorrei che saltate”, ma Mara Sattei?, o Rkomi una di più di loro (che Coez abbia fatto tre canzoni l’ho scoperto grazie a mia figlia, perché io pensavo fosse una unica canzone, orrenda, mentre con Rkomi è risalita sul palco Ariete, che a ben vedere ha cantato anche lei una canzone più di Max) e Marco Mengoni addirittura il doppio di loro, ma era un modo per distrarmi, per tenere lontana la paura di essere stato seppellito vivo. Perché questo è infatti un film dell’orrore, non una puntata di Station 19, spero almeno che a intonare inni al mio funerale non chiamino mai questa gente qui.
PS. Come in certi film dell’orrore, quando ormai sono partiti i titoli di coda, ecco un’ultima scena de paura. Perché un piccolo discorso a parte meriterebbe un altro passaggio, cioè i main sponsor scelti per il Concertone del Primo Maggio di Roma, quello dei sindacati, mi ripeto. Cioè, seriamente viene ritenuto normale avere come sponsor Banca Intesa San Paolo o Eni? Ma così, senza nessuna vergogna? E perché mai, poi, chiedere a Federica Gasbarro, che si è autodefinita green influencer, pur dimostrando una goffaggine col microfono in mano che neanche un dilettante allo sbaraglio, lì a parlare di ecosostenibilità, di futuro green del pianeta, con Eni come main sponsor? Almeno al Festivalbar si limitavano a usare Malizia Profumo d’intesa, e di tutt’altra Intesa si trattava.
PPS. L’anno prossimo suggerisco a Massimo Bonelli un contest collaterale a quello che porta emergenti sul palco. Un contest ad personam, è vero, ma che potrebbe dare delle belle soddisfazioni: vedere dopo quante canzoni Coez riesce a beccare una nota.