Il film parte benissimo, stravolge lo spettatore con una sequenza mozzafiato su un bambino di nome Gustavo che gioca a calcio con il crocifisso di Gesù. Una scena forte e dissacrante che strizza l'occhio al cinema di Marco Bellocchio e pure a quello di Pier Paolo Pasolini. La rabbia con cui il ragazzino sferra una pallonata al crocifisso è sintomatica della sofferenza che prova nei confronti di una figura materna assente che l’ha abbandonato appena nato. La pellicola si basa sull’ennesimo paradosso della normativa italiana, sulla legge 184 del 1983 secondo cui una persona adottata può conoscere il nome della propria madre biologica soltanto al compimento del centesimo anno di vita (a meno che la donna non sia già morta). Gustavo, che impara l’etica attraverso la religione dalle suore a cui è stato affidato, cresce e dopo uno stacco di una decina di minuti ce lo ritroviamo centenario (interpretato da Sergio Castellitto invecchiato benissimo). Mentre Valerio Lundini è Giovanni, un giovane membro attivo della Faegn (Associazione nazionale figli adottivi e genitori naturali), che sta lavorando da tempo affinché questa legge venga cambiata e sceglie proprio Gustavo - l'unico centenario adottato rimasto in Italia - come testimone per la sua battaglia sociale.
La prima parte in bianco e nero è destinata a scomparire dopo pochi minuti perché il film ha un doppio inizio, prosegue con tutt'altro stile, e sembra quasi opera di un autore diverso. Con l’aggiunta del colore “Il più bel secolo della mia vita” mostra qualche criticità, il ritmo del road movie a volte sembra destinato alla lentezza. Probabilmente la colpa risiede anche nei ruoli assegnati ai personaggi. Lundini è molto bravo nella sua prima prova al cinema, però è difficile che sia pienamente credibile nei panni di un ragazzo serio che per una volta si fa prendere in giro dagli altri e non fa più battute no sense, le stesse per cui ha raggiunto la fama sul piccolo schermo. Castellitto è invece uno straordinario personaggio politicamente scorretto (uno dei più politicamente scorretti al cinema degli ultimi tempi) che scherza sulla sessualità (e l'omosessualità presunta) del co-protagonista con battute sessiste e grevi, come una volta erano accettate un po' da tutti e oggi proprio no. Ma in generale i dialoghi tra i due attori a volte risultano un po’ faticosi e non molto dinamici. Soltanto nell'ultima parte del film la narrazione accelera davvero, coinvolge ed emoziona sulle note della canzone perfetta confezionata dal cantautore Brunori Sas per la colonna sonora, "La vita com'è"). Ci si commuove anche, sempre che abbiate un cuore, soprattutto quando Gustavo dice a Giovanni: “I figli non so’ di chi li fa, i figli so’ di chi li ama”. A 100 anni suonati intuisce una verità forse ancora troppo scomoda per la società in cui viviamo, abituata a puntare il dito sulla madre che sceglie di ricorrere all’adozione (figuriamoci cosa può succedere se si parla di aborto) e questo basta a renderlo un film che merita di essere visto al cinema.