Una donna nuda a cavallo. La donna nuda non è esattamente nuda, pochissimo tessuto, immagino sintetico, di colore argentato, copre quel che c’è da coprire. Del resto la donna è girata di tre quarti, rivolta verso di noi ci guarda negli occhi, i capelli non potrebbero coprire nulla, né provano a farlo. La donna, quindi, non è nuda, ma potrebbe anche sembrarlo. Anche il cavallo non è esattamente un cavallo, è un gioco di luce ideato per la donna nuda, sono luci ma sembrano un cavallo. La donna nuda è Beyoncé, il cavallo di luce l’ha disagnato per lei il discusso artista Nusi Quero, lo sfondo è nero, quasi un cielo stellato ma senza stelle, lì per mettere in risalto il tutto. Questa la copertina di Renaissance, il nuovo album dell’ex Destiny’s Child. Una donna nuda a cavallo, comunque, questo è il messaggio, il significante, proviamo a indagare sul significato. Quello che va in scena dentro la copertina di Renaissance è il passaggio dal concetto di potenza a quello di rinascita. Sì, da una parte l’anásyrma, la donna che mostrandosi nuda, nello specifico mostrando i propri genitali o anche solo il culo, vedi la Venere Callipigia (anche Lady Godiva, iconograficamente, solo quello fa vedere, il culo, i capelli rossi come quelli delle streghe portati davanti, a coprire il seno, la sella a fare il resto) respingeva il nemico, le tempeste, permetteva al popolo di avere il pane o ai propri uomini di fare ritorno dal mare, al concetto di rinascita, come nella Venere di Botticelli, dove era rappresentata sì una nascita e non una rinascita, ma la nascita di una donna adulta, iconograficamente i genitali erano coperti proprio dai capelli, i capezzoli dalle mani, anche nell’antichità ci sarebbe dovuto essere un movimento tipo Free the Nipple, proprio come la Lady Godiva chiaramente citata. Dettaglio per i feticisti, Beyoncé non è nuda, ma non è neanche scalza, a differenza, per dire, della Lady Godiva dipinta dal preraffaellita di seconda generazione John Collier, indossa scarpe con tacco a stiletto, sempre argentate, come i fili che ne occulatano alla vista le pudenda.
Sul perché Beyoncé, che non è certo una che si muove a caso, abbia scelto Lady Godiva per incarnare la sua idea di rinascita ci sarebbe da interrogarsi, infatti siamo qui a farlo, ovviamente senza ottenere risposta, certo lo women empowerment è anche una rinascita, l’ingresso nell’età adulta, la presa di coscienza dell’essere donna quindi la presa di coscienza di sé, una donna su un cavallo di luce che procede orgogliosa dentro il mondo, sconfiggendo nemici più o meno visibili, mostrandosi e quindi rinascendo. Anche sul perché non abbia usato la medesima immagine come copertina dell’album precedente, Lemonade, che era davvero una sorta di manifesto allo women empowertment, e dello women empowerment declinato appositamente per le donne afroamericane, ci sarebbe da porsi domande che, anche quelle, non avrebbero risposte. Resta che Lady Godiva, personaggio fondamentale per l’iconografia femminile e femminista, campeggia, con le forme curvilinee di Beyoncé, dentro la copertina, copertina credo quasi esclusivamente virtuale, di un album pop di successo planetario, che poi quasi nessuno sarà andato a chiedersi cosa quello stare nuda (o seminuda) a cavallo andasse a rappresentare è altra faccenda, siamo qui anche per ovviare a questo.
Mettiamo un attimo da parte Beyoncé, lì su un cavallo di luce, poche striscioline di materiale sintetico a contenere l’incontenibile. Guardiamo altrove. Ultimamente, sui social, mi capita spesso di incappare in storie o reels di Janelle Monáe, artista stratosferica afroamericana, che a differenza della Lady Godiva incarnata da Beyoncé, si mostra con generosità, riuscendo incredibilmente a aggirare le strette maglie della censura social attraverso accorgimenti anche minimi. Anche Janelle Monáe è una artista che ha provato, coi suoi lavori, non solo discografici, come attrice è stata una delle protagoniste del film Il diritto di contare, di Theodore Melfi, vero e proprio inno allo women empowermente per la comunità afroamericana, lì si parlava di scienziate e non di sesso come in Lemonade, per la cronaca, anche Janelle Monáe è una artista che ha provato a abbattere gli stereotipi patriarcali che vogliono la donna troppo spesso invitata a ricoprire un ruolo puramente ornamentale, l’estetica svuotata di ogni possibilità di volontà, al punto che l’unico rifugio possibile sembrerebbe nel nascondere il corpo, lasciando appunto a altri stereotipi il compito di rappresentarlo. Lei, Janelle Monáe, espone il suo corpo con la naturalezza che esporre un corpo, cosa di più naturale di esso? dovrebbe comportare d’ufficio, del resto è stata l’autrice e interprete, in buona compagnia di Grimes, di quell’inno alla vagina che risponde al nome di Pynk, anno del Signore 2018, una canzone che anche didascalicamente esprimeva quel voler mettere al centro del discorso la vagina, rappresentata nel video da vestiti bizzarri indossati dalla nostra in ottima compagnia delle ballerine, a breve ci torno su.
Altro fattore che accomuna Janelle Monáe e Beyoncé, ovviamente anche Grimes, il suo Miss Anthropocene è una sorta di concept su un futuro ucronico cui saremmo destinati, ma anche FKA twigs, artista britannica in bilico tra musica e danza, è un flirtare con un immaginario futuro, vagamente cyberpunk o quantomeno fantascientifico, album dai titoli quali The ArchAndroid, Electric Lady e Dirty Computer vorranno pur indicarci qualcosa, no? Futuribilità, quindi, come del resto è nelle corde e nel DNA dell’afroismo, si pensi ai Funkadelic e ai Parliament di George Clinton come all’Arkestrah di Sun Ra, per non dire di quel Prince che proprio con Janelle Monáe ha conlcuso la sua carriera, ultima collaborazione prima della prematura morte. Da qualche parte, non troppo distante da loro, per altro, quella Erykah Badu che per prima ha iniziato a portare nel mainstream certe istanze new soul, flirtando a sua volta con il genere che oggi viene chiamato urban, divenuta icona dell’afrofurismo con i due album gemelli New Amerykah vol 1 e vol 2. Erikah e Janelle duettano in Q.U.E.E.N., brano contenuto in Electric Lady, subito dopo in tracklist di Givin’ Em What They Love, in duetto con Prince. Ma è Pynk la sua canzone simbolo, manifesto femminista, manifesto afrofuturista, eccentrico, fluo, surreale.
Pensate a un mondo rosa. Questo il punto di partenza di Janella Monae. Parlare di un mondo rosa come la figa, lungi da me star qui a allestire teatrini ipocriti, pane al pane, figa alla figa. E di un mondo rosa dove è bello muoversi, piacevole ritrovarsi, un paradiso, ci dice. Oggetto del gossip per una sua lieson, non solo sentimentale, certo, ma anche sentimentale oltre che artistica con Prince, Janella ha già affrontato serenamente la propria bisessualità nella precedente hit Make Me Feel, seconda traccia incaricata di lanciare il nuovo lavoro, Dirty Computer. Nuovo lavoro, terzo album di studio, che arriva a distanza di cinque anni dal precedente The Electric Lady, e a otto dall'esordio The ArchAndroid. Era proprio in quell'occasione, cinque anni fa, che Prince e la nostra collaborarono, nel brano Givin' em what they love. Nel mentre anche il suo esordio al cinema, nel 2016, con due film che assai ottimamente si sono mossi, anche in casa Oscar, Moonlight e il già citato Il diritto di contare. Insomma, una artista piuttosto talentuosa e complessa, Janelle Monáe. Un nome che chiunque ami la musica black, ma più in generale la musica, non può che tenere in conto, come dovrebbe fare con nomi quali Kendrick Lamar e Frank Ocean, per citare due colleghi americani.
Pynk è una canzone sulla figa, quindi. Una sorta di Map of Tasmania di Amanda Palmer in chiave black/r'n'b. Ma forse etichettare un brano come questo, come del resto tutta la produzione della Monae, è operazione sterile, perché a tutto andrebbe anteposto un “alt”, un po' come succede con altre artiste, quasi sempre donne in effetti, internazionali. Penso a FKA Twigs, alla stessa Amanda Palmer, a quella Grimes che in Pynk fa un featuring. Un “Alt” che sta per “alternative”, ma che potrebbe serenamente staro per “altro”. Perché Janella Monae è altro rispetto a un po' tutto. È sicuramente una artista, su questo non corrono dubbi, ma non è pop, almeno stando ai canoni statuinetensi, pur essendolo profondamente nei risultati. Non è R'n'B, anche qui stando ai canoni fissi del genere, la voce troppo variabile, a volte flautata, a volte giocata sui bassi, Prince santo subito, a volte rappata. Sensuale, certo, ma in maniera meno sboccata e esplicita di una Nicki Minaj, anche lei piuttosto votata al fluo, certo, ma senza troppi giri pindarici, o della più recente bomba della classifica Cardi B, e anche meno strana di un Brooke Candy.
La figa che Janella Monae racconta, invece, è proprio lei, la figa, appunto. Nel video lo si capisce anche meglio, per noi italiani, di quanto non succeda solo ascoltandola (visto mai che qualcuno pensi che si parli, appunto, di rosa inteso solo come colore). I pantaloni indossati da Janella e dalle altre ballerine non lasciano dubbi, intendono dar vita proprio a un figa, le grandi labbra lì, belle in evidenza, esplicite. Così come il costumino che Janella indossa, anche questo categoricamente rosa, seppur con una sorta di peluria fucsia a fare da contorno. Tutto molto chiaro. Come è chiaro il riferimento alla hit di Amanda Palmer The Map of Tasmania nel momento in cui la nostra indossa attillatissimi pants con su scritte eplicite e da cui fuoriescono peli in eccesso (la campagna contro la depilazione, invero, è propria della cantautrice di Boston, non della Monae). Un video, questo, che in certi passi richiama alla memoria i tipici video hip-hop, quelli di artisti maschi/macho, con culi in bella vista e tutto il resto del repertorio. Quindi, ricapitolando, corpi esposti con autodeterminazione, quindi women empowertment che si sposa a istanze afrofuturiste, spostando l’estetica legata al corpo in un futuro fluo e vagamente cyborg, accomunando lotte alle discriminazione di genere a lotte alla discriminazione di razza, su tutto un futuro pensato su una lettura più centrata delle proprie radici.
Questo è del resto il terreno su cui da sempre si muove Grimes, che afroamericana non è, ma che sicuramente si è legata a doppio filo a questa modalità (anche lei, per altro, ha collaborato con Nusi Quero, che per lei ha realizzato il tatuaggio bianco, definito non a caso “tatuaggio alieno” che le decora la schiena), questo è il campo di gioco di Magdalene, ultimo lavoro di FKA twigs, tutto incentrato sull’autodeterminazione femminile e spostato in avanti di qualche decennio a livello di suoni e immaginario, una modalità come quella di tante artiste che si sono affacciate al mercato negli ultimi dieci anni, penso alla Doja Cat di Her Planet, album che pone al centro della narrazione una divinità tutta femminile e che, si pensi a come il progetto è stato lanciato sui social, TikTok in testa, guarda a un futuro decisamente donna (Doja Cat ha sempre indicato in Janelle Monáe il proprio modello di ispirazione), come lo è di artiste quali SZA, da poco uscita con un vero e propio gioiello come S.O.S., il brano All The Stars, pubblicato a inizio 2022 in compagnia del Pulitzer Kendrick Lamar e parte della colonna sonora del secondo capitolo di Black Panther, declinato ovviamente al femminile, è un puro concentrato di afrofuturismo, tutto il suo secondo album, più centrato del già ottimo CTRL è un concentrato di femminismo 3.0.
D’altra parte, se un po’ tutte le artiste che si muovono in ambito urban, leggi l’evoluzione della matrice hip-hop, sono figlie di Missy Elliot, una che con l’afrofuturismo ha giocato per tutta la sua carriera, le radici africane e il futuro femminicentrico, come potrebbero non rifarsi a questa corrente di pensiero anche le varie Megan Thee Stallion, Cardi B, la stessa Nicki Minaj, tutte fortemente sessualizzate, a loro modo erotiche, del resto il colonialismo bianco ha discriminato a lungo sia gli africani e gli afroamericani che le donne, una comunione di intenti era pur prevedibile se non auspicabile. L’orgoglio fiero e sicuro che tutte queste artiste incarnano e esternano è un forte contributo culturale, seppur in ambito pop, a uno smantellamento di certi stereotipi che vorrebbero la donna e ancor più la donna nera, assuefatta e schiava. Per la cronaca, sempre perchè è curioso incontrare quello che evidentemente è un comune sentire, dando per assodato che visto il sovrapporsi dei due eventi un qualche scopiazzamento sarebbe del tutto impossibile, il look di Megan Thee Stallion nel video di Pressurelicious, brano sicuramente hot con un feat di Future, è praticamente identico a quello di Beyoncé in sella al cavallo di luce sulla cover di Renaissance, il primo uscito il 21 luglio 2022, il secondo una settimana dopo.
L’autodeterminazione di genere, di razza e sessuale, evidentemente, passa anche di lì. Da un futuro prossimo fatto di corpi e macchine, certo, ma anche di femminismo e consapevolezza razziale. E se in qualche maniera si rifanno all’afrofuturismo anche artiste bianchissime quali Lady Gaga o Tove Lo, per non dire del duo sudafricano Die Antwoord, un immaginario assolutamente fururibile e cyborg, che si muove in contesti cupi e comunque ipersessualizzati, assolutamente femministi, pensate alla Lady Gaga di video quali Bad Romance e Paparazzi, alla Tove Lo che recentemente si mostrava come una valchiria in un deserto alla Mad Max, una armatura singolare, con una coda da scorpione sul culo e un fallo in erezione sul davanti, Yo-Landi e Ninja sempre a muoversi in una sorta di favela del futuro con i loro look estremi, la violenza sempre evocata, un linguaggio spurio, da mondo iperglobalizzato, tutti corpi sovraesposti, quelli di Lady Gaga, le sue presunte imperfezioni santificate fino a diventare nuovi stereotipi autodeterminati, Little Monsters il nomignolo scelti per riconoscersi dai suoi fan, di Tove Lo, solita a esibire il topless nei suoi live, quando a un certo punto si solleva la canotta o la t-shirt, lei che addirittura ha elevato una vagina stilizzata a proprio logo, e Yo-Landi Visser, lei a giocare anche su un aspetto vagamente infantile, nell’anatomia come nella voce, quasi sempre alieno, vedi le copertine di tutti I loro album, Donker Mag che la mostra sospesa in aria, nuda ma senza sesso, su tutte, Yo-Landi che per altro, come a rievocare proprio una versione cyberpunk della Venere Callipigia nei concerti è solita voltarsi dal pubblico, abbassarsi i pantaloni e mostrare il culo, non da meno è la nostra Yoniro the Moongirl, a suo tempo al lavoro con l’ormai solito, e sempre discusso, Nusi Quero, sue le visual 3D per Bambina bambolina, oggi fuori con un nuovo singolo, rilasciato dall’etichetta che lei stessa ha contribuito a fondare, la Oopart Records, Alien How il titolo. Un brano che parla di femminile citando la Bibbia, su una base electropop che non sfigurerebbe nei lavori delle artiste su citate, e che prova a indicarci una alienità di fondo, in passato confusa con angelicità. Non sarà mica un caso che proprio la Yoniro del periodo Bambina Bambolina sia finita per interpretare una sua versione futuristica di Lady Godiva nella copertina del mio Cantami Godiva, no?