Mentre lo intervisti, Giordano Bruno Guerri è cinetico. Crea spazi circolari con la sedia semovente, va avanti e indietro. Più spesso si ferma, ti guarda sottecchi. Risponde deciso. Nel complesso, dà una sensazione di caos calmo. O forse, meglio dire un caos che si è dato una calmata, se si raffronta il Guerri di oggi, presidente e direttore generale della Fondazione Vittoriale degli Italiani oramai dal 2008, al Guerri provocatore degli anni ’80-’90 o folletto a piedi scalzi in quella perla sperimentale che era il talk “Italia mia benché” su Rai 3 (durata infatti appena due anni, ’95-’97). Il filo rosso che lega il tutto è la passione per la Storia, per temi e personaggi discussi – o discutibili, a seconda dei punti di vista – a partire dalla sua opera prima, la biografia dell’intellettuale fascista per antonomasia, Giuseppe Bottai, passando per Malaparte, Italo Balbo, Filippo Tommaso Marinetti ma anche per il brigatista rosso Patrizio Peci o la “povera santa” Maria Goretti, fino alle “antistorie” (degli Italiani, del Risorgimento) e a Fiume dannunziana, arrivando così a lui, Gabriele D’Annunzio, il Vate la cui memoria è custodita in quel Vittoriale di Gardone dove siamo andati a trovarlo. “Il 2002 si chiude con 260 mila visitatori”, esordisce soddisfatto. “Un po’ meno dei 279 mila del 2019, il nostro anno migliore, ma gli effetti del Covid si fanno ancora sentire”. La casa del poeta, bilancio in mano, è in attivo grazie a un flusso di ingressi ragguardevole. C’è anche chi noleggia alcune sue parti per i matrimoni: “9 mila euro più Iva per l’Anfiteatro”, per esempio. Ma il nome, la suggestione, l’ispirazione del poeta-guerriero, simbolo del nazionalismo italiano, quanto vivi e attuali sono nell’anno di grazia 2022, anno primo dell’era di Giorgia Meloni al governo? E chi meglio di Guerri (che era stato dato fra i papabili al posto di nuovo ministro della cultura) può rispondere?
Giordano Bruno Guerri, noi di MOW avevamo supportato il suo nome che circolava fra le ipotesi per il dicastero della cultura. Le cose sono andate diversamente: la Meloni ha scelto Gennaro Sangiuliano, ex direttore del Tg2.
Meglio così, mi avrebbe stravolto la vita.
Il ministro Sangiuliano ha dichiarato di voler lavorare sull’immaginario collettivo degli italiani, per imprimere una svolta culturale di destra. A parte le gaffes iniziali (non si ricordava delle fiction e film già usciti su Pirandello o la Fallaci), secondo lei siamo di fronte a un tentativo di egemonia da destra? Quanto potrebbe tornar utile D’Annunzio, in questo senso?
Nel calendario degli eventi del 2023 di Fratelli d’Italia a marzo D’Annunzio è previsto. A me fa piacere che sia considerato un nume tutelare, e non mi stupisce: già da direttore del Tg2 Sangiuliano ha dedicato numerosi servizi a D’Annunzio e al Vittoriale.
C’è qualcosa di imperdonabile, in D’Annunzio? Un aspetto che proprio non si può mandar giù?
Non si giudicano personaggi e fatti del passato con gli occhi del presente.
Ma neanche il tratto retorico, che poi confluì nella retorica del regime mussoliniano?
Certo, è avvenuta. Ma un conto è un discorso e un atteggiamento da parte di D’Annunzio, un altro è il gerarchetto di provincia e da un popolo in massa, come istituzione. D’Annunzio ha inventato dei riti e dei miti senza immaginare che sarebbero stati usati in quel modo.
Pensa di essere riuscito nella non facile impresa di de-fascistizzare la memoria del poeta della marcia su Fiume?
De-fascistizzazione è una parola che non mi piace. Però sì, certamente questo è stato il principale lavoro culturale a cui mi sono dedicato, attraverso i quaderni, i convegni, gli eventi, i film. Si tratta di cambiare una vulgata che per la verità è stata messa in discussione da tempo, almeno dal 1988, quando Renzo De Felice (storico principe del fascismo, ndr) organizzò un convegno in cui si chiariva che D’Annunzio non era fascista. Direi che questo lavoro sta procedendo bene, lo vedo dall’aumento delle visite studentesche. Significa che il messaggio arriva agli insegnanti.
Magari ai ragazzi di oggi, in epoca di gender fluid, potrebbe risultare più interessante per contrasto il D’Annunzio come figura di un maschio che non c’è più, il maschio-maschio, verrebbe da dire. Potrebbe essere questo un modo per farlo conoscer e “venderlo” meglio?
Sulla sessualità di D’Annunzio circolano da sempre molte leggende, a partire dalle costole (che si sarebbe in parte tolte per praticare l’autofellatio, ndr). In realtà nel sesso era la persona più banale del mondo: quando era giovane, gli piacevano le mature, da vecchio invece le più giovani. Oppure andare con due donne. La grande differenza era che lui ci riusciva. Non fu mai omosessuale. Del resto anche lui risentiva della cultura del tempo.
Oggi sarebbe più fluido?
Con le donne faceva sicuramente la lesbica.
Di recente lei si è rivisto in una definizione, “uomo di destra che pensa da sinistra”. Anche D’Annunzio era così? Il suo lascito politico, la Carta del Carnaro ossia la costituzione scritta di Fiume, fu materialmente redatta da Alceste De Ambris, che finì esule antifascista.
D’Annunzio ha stimolato il nazionalismo italiano di inizio Novecento e ha combattuto il socialismo e la democrazia. La Carta del Carnaro, che non fu scritta solo da De Ambris ma anche e in significativa parte da D’Annunzio, era la più avanzata del tempo. Bisogna distinguere fra ciò che faceva per sé, per il “superuomo” superiore alle leggi e alle convenzioni, e fra ciò che decideva per il bene del popolo. Per questo non poteva essere fascista. Accettava il fascismo per quelle espressioni che lui aveva contribuito a creare, e gli si avvicinò realmente solo nel momento di massima affermazione dell’Italia in quegli anni, cioè durante la guerra d’Etiopia. Ma fu contrarissimo alla guerra di Spagna, pensava che Franco fosse troppo reazionario. Ed è nota la sua ostilità verso Hitler.
Venendo all’attualità, non crede che l’ultimo tentativo di andare oltre gli steccati di destra e sinistra, sia pur a conti fatti fallito, lo abbia fatto il Movimento 5 Stelle prima maniera?
Esistono i populismi di sinistra e i populismi di destra. Il M5S è populismo-populismo. Per questo è pericoloso.
Ma anche lei in sostanza si dice né di destra né di sinistra.
Sì, è vero. Ma Destra e Sinistra sono semplificazioni che servono ancora per poter capirsi, per parlarsi.
Sono ancora utili, insomma. E in effetti i riferimenti culturali sono diversi. La destra della Meloni ne ha due, in pratica: Tolkien e la saga del Signore degli Anelli e, per i più colti, il conservatore inglese Roger Scruton (citato dal Presidente del Consiglio nel suo discorso di insediamento). Sono anche suoi riferimenti?
Ho altre letture.
Negli anni ’90 era un convinto anti-europeista, con l’antropologa Ida Magli aveva fondato “Italiani Liberi” conducendo una dura requisitoria contro l’Unione Europea. L’Europa così com’è si è rivelata una camicia di forza, basta vedere la manovra finanziaria del governo. Avevate ragione voi.
Allora parlare dell’Europa in modo critico era come dire che tua mamma è una puttana. C’erano 48 movimenti anti-europeisti nel continente, e neanche uno in Italia. La nostra era una contestazione culturale e antropologica di un’unione fondata esclusivamente sull’economia, e direi che le analisi le abbiamo azzeccate tutte. Oggi però non direi mai di abbandonare l’Europa. Andremmo in rovina. L’Europa ha bisogno di integrazione culturale, ma per quella ci vuole molto più tempo.
Non trova che il dibattito culturale sia avvitato sempre sugli stessi sacri numi, anche a destra? Ogni tot un evento sui futuristi, che forse non avrebbero apprezzato, visto che erano anti-passatisti per eccellenza. Oppure Sgarbi che rispolvera Evola (sia pur con qualche ragione, vista la damnatio memoriae patita). Ma gli emergenti? Il nuovo? Largo ai giovani no? Non sente anche lei di soffocare un po’?
Guardi, la conoscenza del passato è essenziale per progettare il futuro. Oggi siamo schiacciati sulla politica spicciola. La notizia sulla fusione dell’atomo è durata un giorno, quello dopo tutti a parlare del Pos. I grandi cambiamenti si perdono sistematicamente di vista. Il nostro sarà il secolo della Scienza, basti pensare alla genetica. Eppure viene seguita pochissimo. Se facessi un talk show adesso lo farei senza dubbio sulla scienza.
Ma la scienza applicata porta anche alla sorveglianza digitale che è la nuova schiavitù. Come la mettiamo?
Bisogna fare attenzione a porrei dei limiti.
Ma un libertario come lei in che modo vorrebbe vederli fissati, i limiti?
Per un libertario la difficoltà è molta. Come per l’uso del contante: io devo essere libero di usarlo, ma dev’esserci un limite, per ridurre l’evasione. Sono contraddizioni che rendono la vita molto dura, a un libertario. Bisogna valutare caso per caso, spesso sbagliando.
Qual è il pensiero dominante, oggi?
Il politicamente corretto. Non mi riferisco solo a non poter usare certi termini, ma proprio all’impossibilità di poter esprimere certi concetti. È un modo per bloccare il dibattito.
Non è che il politically correct sia una conseguenza del vero pensiero unico da tutti accettato, che è quello del Mercato eretto a sistema di vita, che non ama i conflitti e le differenze?
Ma il capitalismo ha vinto! Ha vinto sul fascismo, ha vinto sul comunismo. La stessa Cina prospera grazie a idee di tipo capitalista.
Ma non è inaccettabile questa acquiescenza trasversale, specialmente per un eventuale eretico?
Sì, l’acquiescenza c’è. Ma la Storia è andata in questa direzione.
Bisognerà aspettare che la ruota della Storia giri, allora. Venendo alla sua personale, si potrebbero distinguere due Giordano Bruno Guerri: quello della prima fase, più provocatorio e scamiciato, e quello della seconda, più istituzionale, pacato, forse riconciliato con il mondo. Lo spartiacque è stato sposarsi con una donna? La “famiglia naturale”, come la chiama la nostra Costituzione, è ancora e sempre l’àncora vitale che resiste al di là di ogni trasformazione?
Si dice che si è rivoluzionari a 20 anni per diventare poi conservatori. Io lo sono rimasto fortemente fino a 55. Lo spartiacque è stato conoscere Paola e aver fatto figli subito. Intendiamoci: non voglio dire che “tengo famiglia”. Avere figli significa pensare di più al futuro, non in senso rivoluzionario, cioè caotico, ma in modo ponderato, con stabilità e solidità.
Nella prima fase lei visse il mondo omosessuale in un periodo in cui era più difficile farlo di adesso. Cosa pensa della diffusione capillare dell’estetica, dei temi e dei soggetti gay, sempre parlando di immaginario mediatico e culturale?
È avvenuta senz’altro una liberazione. Ma come tutti i vincitori, può capitare che anche i gay eccedano. È normale. Oggi penso che quella che invece vada combattuta sia per le donne, che sono ancora discriminate a livello culturale, amministrativo, sociale. I gay oggi sono a posto, devono semmai fare i conti ancora con quelli rimasti mentalmente indietro, che li insultano dicendo “froci”.
Crede anche lei che il patriarcato, il potere maschile e maschilista, affondi ancora le grinfie nella società della libertà sessuale?
Ma certo che c’è ancora! Un potere che esiste da decine di migliaia di anni non si cambia in una generazione, si tratta di una tradizione ultramillenaria.
Cos’è che le fa più schifo dell’Italia odierna?
La visione corta. Faccio due esempi. Il calo demografico: di questo passo ci porterà a scomparire come popolo. E poi i giovani, che scappano all’estero, e non è colpa loro. Non che io sia contrario, tanto è vero che ho istituito il Premio Genio Vagante, giunto al suo quarto anno. L’ultimo premiato è uno studioso di intelligenza artificiale che vive a Singapore. Non sono cervelli in fuga, sono cervelli che corrono in avanti.
Un’ultima domanda. Che differenza c’è fra la casa di D’Annunzio e la casa di Vittorio Sgarbi, sovraccarica di ogni ben di dio artistico?
La casa di Sgarbi in effetti è un piccolo Vittoriale. Diciamo che a lui piacerebbe molto che fosse come quella di D’Annunzio.