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Il nuovo Diabolik
ci ha rubato due ore

  • di Micol Ronchi Micol Ronchi

15 dicembre 2021

Il nuovo Diabolik ci ha rubato due ore
Il nuovo film dei Manetti Bros. non fa centro come il precedente "Ammore e malavita" e si presenta come un incomprensibile alternanza di ritmo lentissimo e momenti che manco Ocean's Eleven. Recitato come un action movie coreano non si salva neppure grazie alla bravura di Valerio Mastandrea e alla bellezza di Miriam Leone

di Micol Ronchi Micol Ronchi

Alla fine, dopo tre anni di attesa, di fan in delirio e di domande che hanno letteralmente fatto perdere il sonno a decine di addetti ai lavori del mondo dello spettacolo, finalmente si è riusciti a vedere l’ultima fatica dei Manetti Bros., che dopo il successo di “Ammore e malavita”, ci ritentano con quello che dovrebbe essere un maliardo Diabolik.

Per chi non lo sapesse Diabolik è una versione nostrana a metà tra un primo nipponico Lupin e un francesissimo Fantomas. Nato negli anni Sessanta dalle immaginifiche menti di Angela e Luciana Giussani, è più intellettualmente onesto di altri personaggi simili, ma anche più violento e non legato a niente e nessuno se non alla donna della sua vita: Eva Kant. Anzi Lady Kant. Non ho mai indagato, ma visto l’amore reciproco e la comune passione  per i soldi secondo me sono entrambi del capricorno. Ed è proprio intorno all’inizio della loro relazione che si sviluppa il film. I Manetti Bros., Miriam Leone, Luca Marinelli e Valerio Mastandrea portano in scena un prodotto estremamente "fan service", nato con uno scopo e uno soltanto: accontentare gli amanti di questa perla del fumetto nero italiano.

Fotografia - Bella. Indiscutibilmente ben fatta, azzeccata. La direttrice della fotografia Francesca Amitrano e la scenografa Noemi Marchica ci hanno preso in pieno: fedeli allo stile delle tavole originali, la pellicola è un grande fumetto colorato, a tratti vagamente cupo e a volte pure troppo fedele all'opera originale. Voto 8 perché, mie inutili perplessità a parte, visivamente è tanta roba.

Costumi - Le costumiste hanno riprodotto un mood anni ‘60 ineccepibile. Alcuni outfit di Eva Kant al momento sono, e giustamente direi, esposti all’Expo di Dubai. A metà dell’opera ho iniziato a desiderare fisicamente le scarpe della protagonista e tutti gli accessori che indossava. Voto 9 e bacio su una guancia alle responsabili del reparto trucco e parrucco.

Effetti visivi - Profonda perplessità, coltelli che volano in assenza di gravità, alta "sgamabilità" degli VFX. Se Baby Yoda avesse fatto un cameo all’interno del film sarebbe stato una specie di Gabibbo verde. Voto 6 ½.

Regia - Ammetto che qui mi perdo. Io, non il film. Perché i fratelli romani hanno dimostrato ampiamente di saper fare cinema, ma a questo giro mi sono persa. Ritmo lento all’inizio, ai limiti del “adesso prendo ed esco dalla sala”, vagamente da film di nicchia per pochi fini intellettuali dal palato allenato, fino ad arrivare ad una specie di “Ocean's Eleven” ambientato sulla riviera ligure (che non sfigura mai), ritmato, con maliziosi cambi di inquadrature, voice over del protagonista che spiega il piano alla banda, qui composta solo da lui e Lady Kant, in perfetto stile Clooney/Pitt. E, come al solito, la gestione dell’acting del cast mi ha lasciata perplessa. Ma questo punto lo approfondirò a brevissimo, nella sezione “cast”. Voto 7.

Cast - Nessuno può mettere in discussione la bellezza di Miriam Leone: assoluta, elegante, magnetica come una calamita. E men che meno si possono sollevare dubbi sugli occhi glaciali di Marinelli, che più va avanti con l’età più il fattore “bonitudine” aumenta. Metto però ampiamente in discussione il modo in cui è stato loro chiesto di portare in scena Lady Kant e Diabolik: a tratti sembrava di vedere il cast di “Squid Game”. Mi spiego: la recitazione esagerata, stereotipata che strizza enormemente l’occhio al mondo del fumetto l’accetto solo se sei una serie coreana sulla quale nessuno avrebbe scommesso un euro. Mastandrea però risolleva sorti, voti e destini collettivi: da solo avrebbe meritato un 8 pieno, ma gli altri non sono chiaramente al suo livello; il modo garbato e misurato di portare in scena Ginko mi ha confortata, ma il lavoro corale mi porta ad assegnare un 6/7, molto polemico e pieno di disappunto.

In definitiva - Bellino, come quei ristoranti osannati dalla critica che non appena metti il sedere sulla sedia ti portano 22 portate di finger food dentro emaciate foglie di ananas, lasciandoti con l’occhio incuriosito e lo stomaco piangente. Voto complessivo: 7.

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