Sono 80. Quasi il doppio degli anni del suo autore, quell’aviatore nato nel 1900 e visto per l’ultima volte nell’estate del 1944. 80 anni da quel 6 aprile del 1943, 16 mesi prima che Antoine de Saint-Exupéry sparisse a bordo del suo F-5 ripartito dalla Corsica verso Lione. Il piccolo principe non è solo un capolavoro della letteratura mondiale, ma il Libro dei Libri, saggio, raccolta poetica, foglio di via e lascito di uno scrittore incredibile vinto, probabilmente, dal veleno giallo della guerra. Lui, che aveva ripudiato Dio come vano, insensato, probabilmente deluso e traumatizzato dall’occupazione tedesca della Francia che lo portò alla fine del 1940 a trasferirsi in America, memore di una settimana di naufragio nel deserto arabo nel 1935, sembra aver voluto criticare l’eccessiva astrattezza del pensiero politico ed esistenziale francese del tempo. E quella rosa, che può essere la Francia o Consuelo (il suo amore fragile, che non può che tossire), una meta a cui ritornare, per cui provare nostalgia (Il piccolo principe verrà scritto a Manhattan e Long Island).
Adam Gopnik, che ne scrisse sul New Yorker, almeno, la pensa così: “Ci sono voluti molti anni – e molte riletture – a questo lettore per iniziare a capire che il libro è una storia di guerra”. Ma non basta. È certo il più radicale dei libri di guerra che non parlano di guerra. Ma è anche un libro contabile che critica la contabilità. Un racconto fatto di numeri, che sono i numeri degli adulti (i 53 minuti risparmiati ogni settimana se non si beve, 501.622.731 di stelle “tesaurizzabili”) e i numeri del piccolo principe (i 7 pianeti, la sola rosa, i 3 vulcani) ma che annulla le statistiche, le mortifica. Perché la statistica, a suo tempo, ha mortificato la vita, riducendola a un dato che può fare o non fare media. Ma il valore di una vita non si misura, sarebbe banale dirlo (e so che lo state pensando) se poi lo pensassimo davvero durante le nostre giornate. E sembra ce ne siamo dimenticati. Ci dice questo, oggi, questo brevissimo racconto dedicato ai bambini, ma soprattutto alla fanciullezza, alla gioia di essere bambini, di domandare, di scoprire, alla risolutezza con cui si insiste per ricevere una risposta, alla voglia di trovare amici.
Sarebbe inutile proporre un inventario degli insegnamenti di questo libro, anche perché se ne perderebbe la magia. Parliamo di pochissime pagine di puntuale chiarezza, nonostante qualcosa rimanga nascosto, come in ogni poesia. Certo non ci si può fermare alle parole. “Il linguaggio è l’origine delle incomprensioni” dice la volpe all’ometto biondo disposto ad addomesticarla, a “creare legami”. C’è qualcosa nei gesti che dà valore al silenzio. Qui Antoine de Saint-Exupéry sembra dire ciò che un suo contemporaneo, il teologo luterano Dietrich Bonhoeffer, espresse così:
“L’uomo vive nel rumore,
nella civiltà delle parole:
non sa più cos’è il silenzio.
La vita nasce nel silenzio,
l’uomo muore nel silenzio,
Dio si incontra nel silenzio.”
Nonostante il suo rifiuto di Dio, che non lo porterà mai al rifiuto di una visione universale, le sue letture altissime (André Gide, Henri Bergson), il suo coraggio e spirito pioneristico (tanto da scegliere, all’inizio del secolo aeronautico, di volare), ciò che Antoine de Saint-Exupéry cerca è la tenerezza, il senso profondo dato alla vita dalla scoperta del mondo e di sé attraverso le relazioni e l’amore. Un’educazione sentimentale, la sua, che terrà in vita la fiamma negli occhi del piccolo Tonio fino alla sua scomparsa. Il dolore, l’infedeltà, tante guerre (non solo la Mondiale, ma la guerra civile spagnola, le tensioni trai francesi espatriati in America), l’epoca della crisi dei valori, della morte di Dio. Ma anche l’epoca delle grandi esplorazioni fatte con gli occhi degli uccelli, un’epoca di lettere tenerissime alla madre, scritte con il linguaggio che ritroveremo poi ne Il piccolo principe, un linguaggio che non crea, che comunica e basta. Un linguaggio, diremmo, elementare, nonostante non sia scontato allontanarsi dalle smanie poietiche di molta filosofia del linguaggio. Una concezione che a tratti sembra rispondere all’interrogativo dei pragmatisti americani, i quali credevano che la lingua dovesse essere spurgata dalle ambiguità e dal misticismo un tanto al chilo. E qui torniamo al linguaggio fonte di incomprensioni delle volpi. Sarebbe disonesto da parte di Saint-Exupéry prendersela con lo strumento principale della sua attività artistica. Semplicemente, Tonio odia a ragione il linguaggio oscuro, fonte di fraintendimenti, di liti, di scontri. Il linguaggio deve comunicare, deve essere chiaro, preciso. Lasciamo che i concetti, semmai, siano difficili.
Oggi si torna a parlare molto, forse troppo, de Il piccolo principe e del suo autore. Forse non si è smesso mai. Ma lo si riduce a una raccolta di aforismi buoni per tutte le occasioni: “È il tempo perso per la tua rosa…”. Per fortuna esistono boccate d’aria fresca, come il recente Rubare la notte di Romana Petri (Mondadori, Candidato al Premio Strega 2023), sulla vita di quel Tonio aviatore innamorato della madre, innamorato dell’amore. E varrebbe la pena, sulla scorta di questo compleanno speciale, ricordare che ne Il piccolo principe si parla anche di veleni e falsi bisogni. Di un venditore di pasticche che tolgono la sete per farti guadagnare 53 minuti a settimana. 53 minuti che il piccolo principe userebbe per incamminarsi “piano piano verso una fontana”. E che il piccolo principe è un maestro del dubbio, del pensiero critico, che ti insegna a diffidare di chi inventa scorciatoie, alla fame, alla sete, alla poesia delle stelle (rese monete), alla vita.