Greta Gerwig è una di quelle persone che ti fanno quasi incazzare da quanto sono brave a fare tutto. Balla, recita, scrive e dirige: tutto alla grande, tutto con stile. La trentanovenne regista già da qualche anno si è presa la scena come una vera superstar e sembrano lontani quei tempi in cui sul The Independent si parlava di lei come della regina dei low-budget movie. Era il 2011 e Gerwig stava entrando dalla porta di servizio nel cinema mainstream. Adesso non deve neanche chiedere il permesso. Di certo, Greta, paura non ne ha.Ormai al terzo film con un cast a dir poco stellare (dopo Lady Bird e Piccole donne) la nostra affezionatissima è attesa al varco nel luglio di quest’anno, quando uscirà nelle sale Barbie, l’ultima sua fatica in cui reciteranno personaggetti del calibro di Ryan Gosling, Margot Robbie, Will Ferrel, Dua Lipa e persino John Cena (così, per buttarla in caciara). Ah, visto che evidentemente alla produzione avanzava un pugno di dollari, pare che la voce narrante sarà quella di Hellen Mirren.
Nasce a Sacramento, California, un posto di cui pochi conoscono qualcosa. O ci vivi oppure non esiste. In Frances Ha (2012), scritto a quattro mani con il compagno Noah Bumbach, ballava tra le strade della sua città sulle note di David Bowie, perché Modern Love è un gran pezzo, anche se ha 26 milioni di views su YouTube. Non serve mica sempre cercare l’inedito. Lo fa in un bianco e nero che di certo non rappresenta più la sua vita. Ormai questa è diventata a colori. Mi pare che abbia un modo strano di parlare durante le interviste: qualche volta è incerta, spesso sembra sapere prima l’emozione che vuole suscitare. Dà l’impressione di borbottare, ma con sicurezza. La sua stessa anima è mumbling, probabilmente, come lo stile dei film indipendenti a cui ha partecipato. Non si finge più colta di quello che è (e lo è) e tra i suoi preferiti non cita film assurdi girati a cavallo di un daino nella steppa di chissà dove.
Donna che gioca spesso con l’ironia, Gerwig ha dimostrato di saper trattare temi certamente non nuovi ma che sotto le sue mani cambiano aspetto. Lady Bird ad esempio parla di sesso, di scuola e di famiglia: senza eccessi e senza miele. Perché, in fondo, non occorre dare fuoco alle chiese per essere ribelle. Fa sorridere la risposta data a Vogue nel gennaio del 2020 quando alla domanda “Cosa avrebbe voluto essere la piccola Greta da grande?” rispose: “Una suora, perché mi piaceva l’outfit”. Niente diavoli, sangue, oscurità o caos. Basta poco all’irriverenza per essere tale. È stata tra le tante cose una delle sole cinque donne della storia ad essere nominata nella categoria Best director dall’Accademy degli Oscar: probabilmente è anche per questo che, sempre nell’intervista a Vogue, dice che il suo sogno è una rivisitazione della Bibbia, stavolta dal punto di vista di tutte le donne. Ha già collaborato con le “nuove” leve del grande cinema odierno e di quello che verrà: Timothée Chalamet, Florence Pugh, Emma Watson e Saoirse Ronan. Con quest’ultima sembra avere un rapporto speciale. Non ebbe dubbi su chi scegliere quando le affidò il personaggio di Jo in Piccole donne e quello di Lady Bird nell’omonimo film.
Ha avuto bisogno di tempo Greta per girare il suo primo film da sola. A trentaquattro anni. Di base non ci sarebbe niente di male. Ma siamo in un’epoca in cui se non fai qualcosa di grande prima dei trenta sei già in ritardo. E se il tuo compagno è Noah Bumbach, beh, avevi la strada spianata, giusto? Forse, ma poi le critiche non si risparmiano a nessuno. E di critiche ce ne saranno (gli avvoltoi ruotano già attorno alla sua testa). Greta le leggerà e ne soffrirà. Perché non è una che sputa sulle idee degli altri, se queste sono intelligenti. L’appuntamento, dunque, è per quest’estate, quando il mondo della sua Barbie prenderà vita. “Noi” (io e chi?) non vediamo l’ora e, comunque andrà, rimarremo certi di una cosa: Greta Gerwig spacca, si fotta chi dice il contrario.