In un mondo in cui il pensiero dura il tempo di uno scroll su Instagram e la memoria si resetta al prossimo trend di TikTok, Brunori Sas si conferma un antidoto. Un artista che si ostina a scrivere canzoni con dentro la vita, i dubbi, le paure e persino la consapevolezza che forse, nel tempo dell'algoritmo, la musica serve ancora a qualcosa. L’ha dimostrato ieri sera al PalaElachem di Vigevano, prima data di un tour che più che un concerto sembrava un rito di purificazione dalla superficialità contemporanea. Per quasi due ore, Brunori ha preso il pubblico per mano e lo ha portato altrove. Lontano dai post indignati, dai dissing, dalle opinioni liofilizzate in 280 caratteri. Un viaggio dentro la musica. E forse dentro un’umanità che sta sparendo. Non ci sono mega Ledwall, effetti speciali o spettacolarizzazioni forzate. Solo una distesa di cavi, strumenti e amplificatori, luci avvolgenti e un palco costruito attorno a una grande pedana semicircolare di legno a richiamare la grafica de L’Albero delle Noci. Lui entra in scena chitarra a tracolla, saluta, ringrazia e attacca quattro pezzi senza sosta iniziando da Il pugile da solo, per ricordare a tutti che questa storia è cominciata così, con uno strumento e una vita normale da raccontare.

Ma Brunori non è rimasto fermo alla nostalgia indie. Lo dimostra subito dopo con Il morso di Tyson, brano senza ritornello e dal groove potente, che dimostra la versatilità imparata in questi anni. Un pezzo feroce e sporco, come il ring su cui Tyson staccò a morsi l’orecchio di Holyfield, perfetta metafora di un amore che si consuma nella disperazione. Una canzone che sembra un film di Scorsese, con la batteria che picchia e le chitarre distorte che urlano nel buio. Poi arriva La ghigliottina e il clima cambia. Il pezzo smonta pezzo dopo pezzo le sicurezze del maschio bianco in crisi: "Ti vedo un po' stanco/Maschio etero bianco/Fra ricatti morali, colpe ancestrali/Monete di scambio". Una critica lucida, che non si ferma al cinismo e all’ironia facile. Non è un pezzo da social, di quelli che si condividono per sentirsi a posto con la coscienza. È una canzone pensata per far male, per mentre ti fa riflettere.

Brunori Sas, però, non si prende mai troppo sul serio, quindi, rotto il ghiaccio, tornano anche i siparietti che il suo pubblico della prima ora conosce bene: "Grazie per avermi sempre sostenuto economicamente, mi emoziona il lucro", dice ridendo. E ancora: "Che bello ritrovarci, anche se io sarei rimasto 4 mesi a riposare dopo l’inferno ligure. In realtà vi odio". Un modo per non rischiare di montarsi troppo la testa, e che trasforma l’esperienza sanremese in un meme. E proprio sul palco, a un certo punto, lascia cadere la battuta più politica della serata: "Meno male che è finita l’epoca dei nazionalismi, che appartengono al passato". Lo dice con il suo solito tono tra il serio e il faceto, ma il senso è chiaro: la storia, a differenza dei social, non si cancella con un click e può tornare in qualsiasi momento. Infatti spiegherà in seguito, nell'incontro dedicato ai giornalisti: "È un momento difficile per chi scrive, perché siamo in una fase di emergenza e urgenza. Mi chiedo se quello che scriviamo può rimanere solo nell'ambito della scrittura creativa, quindi un po' ambiguo, oppure più netto e dritto. Mi sto interrogando". Poi arriva il momento dell’intimità con Pomeriggi catastrofici, un pezzo che sembra uscito da un film di Kusturica, con il racconto familiare tra polpettoni della zia, il padre che li lancia dal finestrino e un crescendo tarantolato che catapulta in una festa paesana.

Il live scorre senza pause, fino al classico siparietto finale per prendere in giro anche i tic da rockstar. Brunori e la band fingono di andarsene: "Tanto sapete che torniamo, quindi fingete entusiasmo e poi lo staff lo monta per fare i reel". E quando riappare, lo fa con tre pezzi come bis che sono ormai diventati degli evergreen: Guardia '82, La verità e L’albero delle noci, chiudendo con l’autocitazione definitiva: "Con il codice 10 canta Brunori Sas". Dietro le quinte, ai giornalisti, spiegherà perché, dopo la rinuncia di Olly, sperasse con il solito sarcasmo di andare all’Eurovision: "Ho scritto a Lucio Corsi: rinuncia! Sarebbe stato un capolavoro. L’ho detto per tutto il Festival che sarei stato perfetto per Eurovision. Purtroppo Lucio l’ha voluto fare. Ingrato, dopo tutto quello che abbiamo fatto". Il tour prosegue con Firenze (stasera), Roma, Torino, Napoli, Bologna e Milano. Ma la vittoria di Brunori è un’altra: dimostrare che in un mondo anestetizzato dal digitale, ci si può ancora emozionare con un microfono, una chitarra e un pugno di canzoni che parlano di vita vera.
