Dal blues delle origini, con allegata tournée estiva in giro per l'Italia, "Io in blues", alle vette del pop, con annessi successi, fino all’inedita opera rock. In trent'anni di carriera Irene Grandi ha dimostrato eccome di saper cambiare pelle, abituando pubblico e critica a continue sperimentazioni, puntando su collaborazioni storiche (da Vasco Rossi a Pino Daniele, per citarne solamente due), e altre più sorprendenti. Come il prossimo progetto firmato da Stewart Copeland, batterista e fondatore dei Police, vera e propria leggenda del rock.
E la nostra chiacchierata comincia proprio dalle genesi di quest'opera, "The Witches Seed" (coi brani di Chrissie Hynde dei Pretenders), in cui la cantautrice toscana riveste il ruolo di protagonista, con un debutto in prima mondiale previsto per il 22 e 23 luglio nel teatro di pietra di Tones Teatro Natura a Crevoladossola, in Val d’Ossola, ai piedi delle Alpi.
Ma alle storie di streghe e Inquisizione si amalgama ben presto la sua esperienza personale. "Ho sempre desiderato la libertà, per questo anch'io mi sento un pò una strega. Però nel lavoro, questo desiderio mi è costata caro...". E parlando d’indipendenza, e rapporti uomo-donna, ci addentriamo anche nel tema del catcalling, esaltato dalla Falchi. "Mi dà fastidio anche la gente che chiama ad alta voce, figuriamoci il resto...", fa sapere. "Ma saranno fatti suoi, la Falchi non è un'educatrice!". E ancora, un commento su talent e discografia attuale. E poi sui Måneskin, amore, passionalità e politica...
A luglio debutta in prima mondiale con The Witches Seed, un’opera rock firmata da Stewart Copeland, batterista e fondatore dei Police. Com’è nato il contatto?
È stata una sorpresa anche per me. E parliamo di un progetto nato in Italia, dall’associazione che cura il Tones Teatro Natura, per intuizione della direttrice artistica, Maddalena Calderoni. Un’idea legata a una realtà storica, ossia l’Inquisizione nel Medioevo. Non a caso, proprio nella località del teatro sono collegati casi di “caccia alle streghe”. E sempre la Calderoni ha coinvolto Copeland, che da anni si occupa di colonne sonore e messinscene teatrali, incassando un sorprendente assenso, in quanto Stewart considera motivo d’orgoglio la realizzazione di un’opera nel nostro Paese. E alla fine dell’estate scorsa ha incluso anche me, nel ruolo di protagonista, in un progetto che quindi mescola il canto lirico col rock.
A proposito di Copeland, ho seguito un’intervista in cui minimizza il paragone Police – Beatles. Paragone che invece Manuel Agnelli osa coi Måneskin: eccessivo?
Un po’ troppo ottimistico? Per carità, non è mia intenzione criticare i Måneskin, hanno il merito di aver regalato una bella ventata d’aria fresca alla musica italiana, portandola pure su palchi internazionali. E in un momento in cui l’elettronica va per la maggiore, è quasi un miracolo. Quindi comprendo l’entusiasmo per una realtà italiana che domina nel mondo, e non col bel canto e l’opera. Ma la musica dei Måneskin non ha portato quell’innovazione, forza e rivoluzione propria dei Beatles.
A lei piacciono?
Non mi dispiacciono, certo, non mi strappo i capelli, ma rispetto alla musica “modaiola” italiana, di sicuro preferisco loro.
Ricollegandomi all’opera, Irene Grandi si sente una strega?
Ai tempi, le streghe erano delle donne indipendenti, affermate, con un mestiere in corso, come allevatrice, proprietaria di negozio, che non necessitava quindi della figura del padre-padrone. E per questo erano considerate “diverse”, e osteggiate dal pensiero comune. Dunque, per questo desiderio di libertà e indipendenza, mi sento una strega eccome. Questo perché, nel corso della mia carriera, ho sempre cercato di rinnovarmi, stupire, e ricercare una libertà, conquistata nel tempo, allontanandomi pure dalle etichette.
Ha pagato salato la sua libertà?
Ovviamente, perché non sei più dentro un filone, e specialmente in Italia, dove la musica è settoriale, diventa una scelta critica. Ma non sono pentita, e ogni volta che mi dedico a un progetto, ci credo fortemente.
Capitolo fan: le è mai capitato, come per Blanco, un eccesso di “entusiasmo” da parte di qualche ammiratore?
No, mai successo come per lui (palpeggiato dalla fan)…
La considera una molestia?
Direi, e di sicuro non avrei reagito bene, magari gli avrei fatto una parte delle mie.
Gli uomini sono cambiati, nei rapporti con le donne che rivendicano i propri diritti?
Dipende anche dalle parti del mondo, in Italia qualche passo avanti è stato fatto, anche se gli episodi recenti dimostrerebbero il contrario, tra violenza domestica e molestie. L’educazione deve cominciare presto, e nell’età scolastica, nel rispetto dell’altro genere e della “diversità” in generale.
Sull’argomento introduco Anna Falchi, che esalta il catcalling. Che ne pensa?
A me dà fastidio anche la gente che chiama da lontano, a voce alta, figuriamoci fischi per strada e “apprezzamenti” simili…
Perché la Falchi li annovera nei complimenti?
Evidentemente è molto legata al concetto di essere una bella donna, e non le fa molto onore, perché dovremmo puntare su altro. Non la giudico, ma immagino non accetti molto serenamente il tempo che passa. E' una sua debolezza, francamente non credo si possa considerare un’educatrice o modello di vita.
Prendo spunto da uno dei suoi celebri brani, “Bruci la città”, e le chiedo: ha vissuto amori così passionali, ma tossici?
Sono una persona indipendente, ma ovviamente ho cercato anche io l’amore. Però ho capito che il vero amore della mia vita è sempre stato la musica. Ed è per questo che non ho avuto il privilegio di una storia lunga e intensa come quella dei miei genitori o di alcune mie amiche. Quindi, se le mie relazioni sono finite, non è per colpa della loro natura, ma per la mia priorità inconscia, legata alla mia vita da musicista, che è molto totalizzante. E poi, viviamo in un momento storico in cui i legami non durano a lungo, per questo avremmo bisogno di maestri che insegnano cos’è l’amore. Perché l’amore non è fare l’amore.
Ah no?
Eh no. Io sono sempre stata passionale, ma l’amore assoluto l’ho direzionato altrove, nella musica, appunto.
Siccome, e proprio di recente, l’abbiamo vista nel ruolo di coach a The Band, condurrebbe un talent, sulla falsariga della Michielin? In fondo ha già presentato il più iconico dei programmi musicali, il Festivalbar (2004).
Cosa mi hai ricordato… Onestamente? Non credo. Diciamo che The Band mi ha appassionato per un motivo: dopo la pandemia, e quindi due anni di fermo, avevo bisogno di sentirmi attiva, e incoraggiare la ripartenza in un programma di musica dal vivo, prerogativa che non appartiene ai talent. E in più a The Band non sussiste una vera e propria competizione, mentre la gara vera e propria, in un programma televisivo, non la trovo educativa.
Quindi XFactor, Amici, proprio non li considera…
Preferivo le gare nei locali, nei concorsi regionali, nei contest. Ora non c’è più niente, è rimasta solo la televisione, ma la musica non appartiene alla televisione, è un’altra cosa. E invece è stata trasformata in una grande vetrina per gli interessi del programma di turno.
Perché è successo?
Perché la televisione ha scoperto le potenzialità della musica, e invece di investire sui giovani, e nei posti in cui i giovani possono crescere, investe sui talent, sui fenomeni da baraccone, in cui si intravede l’Olimpo e poi si sprofonda nella cantina. Questo perché si crede, dopo il programma, di essere arrivati chissà dove, e invece si è solamente, il più delle volte, un “prodotto” usa e getta. I talent, al massimo, dovrebbero essere una delle possibilità, non l’unica possibile.
Manca la cura degli artisti... quindi è anche colpa della discografia?
Non è mai stata di grande aiuto. Ma ora, cos’è la discografia? Non esiste più il talent scout che cerca talenti. Adesso vengono fuori con internet, con la televisione, così le case discografiche se li accaparrano, finché funzionano, e poi via, di corsa al prossimo.
Considerato il suo percorso poliedrico, si farebbe mai tentare dalla politica? Magari come Claudio Cecchetto, candidato a sindaco di Riccione.
Ma lui è perfetto, è un pensatore più che musicista. Io non mi ci vedo, sono un’idealista, litigherei con tutti.
E politicamente, l’appassiona qualcuno?
Onestamente no, sono più attratta da alcune figure di giovani donne, che possiamo definire le “streghe” di cui si parlava all’inizio, ossia con una coscienza molto sviluppata della giustizia, come Greta Thunberg, o la nostra Bebe Vio. Mi piacerebbe fossero loro le nostre governanti.
Se dovesse chiudere quest’intervista con un titolo di un suo brano, quale sceglierebbe?
Un'intervista bella tosta eh (sorride). E allora, mi allaccio all’ultima domanda, e rispondo: “Alle porte del sogno”. Questo perché rimango una sognatrice, e credo che sperando in buone prospettive si trova anche la forza di cambiare le cose, rafforzando così la felicità propria e altrui.