La notizia della morte di Ernesto Assante, insieme al compagno di mille avventure Gino Castaldo, firma storica di Repubblica, nonché uno dei critici musicali di punta del nostro paese, è arrivata un po’ prima del dovuto, quando ancora il suo cuore, staccato dalle macchine, stava battendo. A farla circolare Paolo Biamonte, suo amico di una vita, che ha avvisato altri amici comuni, il cuore straziato. A me, personalmente, come a altri, è arrivata su una chat piena di addetti ai lavori, e come per gli altri la prima cosa che ho provato è stata incredulità. Per più di un ottimo motivo. Perché Ernesto Assante se n’è andato, è morto, dire se n’è andato, è mancato, si è spento non rende l’idea, ancora giovane, a 66 anni. E perché Ernesto Assante era una persona vitale, curiosa, attivo fino all’ultimo, fino a che, cioè, ieri, un ictus non l’ha ucciso. Per chi si occupa di musica l’idea di invecchiare non è preventivata. Non si lavora esattamente alla stessa maniera in cui lavorano gli altri, noi scriviamo di qualcosa che è fondamentalmente la nostra passione primaria, una delle nostre passioni, l’altra è indubbiamente la scrittura, e la passione è uno dei motivi per cui ci si sente vivi, anche quando gli anni passano. Per quello anche chi va in pensione, in genere, è successo a tanti di noi, la critica musicale, il giornalismo, sia quello scritto che quello praticato nelle altre forme che la contemporaneità prevede, la radio, la tv, le performance su un palco, i social, continua esattamente come prima, dando un senso a quel Forever Young che di fatto non è possibile, ma che tutti tendiamo a dare per buono.
Io non ero amico di Ernesto Assante. Lo conoscevo da sempre, prima come firma che leggevo avidamente su Repubblica e nei tanti libri che ha scritto, quasi sempre in compagnia di Gino Castaldo, ma anche per essere stata una storica voce di Stereonotte, e per averlo visto in tv, e per averlo saputo dietro le quinte, in tv. Poi, quando ho cominciato a fare il medesimo mestiere, ci siamo incrociati, sempre da lontano, lui a Roma, napoletano di nascita, io a Milano, anconetano di nascita. Ci siamo poi incrociati in maniera più diretta sui social, in alcuni scazzi divenuti anche popolari tra chi di musica si occupa, io a fare il Masaniello, e lui a rappresentare, non poteva che essere così, quel sistema che io in qualche modo andavo smazzolando. Niente di personale, anzi, un gioco, come spesso mi è capitato di fare, che tendeva a sottolineare uno scollamento mio rispetto quella tradizione, tradizione che però tenevo bene in conto, perché il rispetto per i colleghi mi è sempre stato caro. Negli ultimi anni a quegli scazzi sono seguiti diverse chiacchiere dal vivo, a Officina Pasolini, dalla comune amica Tosca, luogo che entrambi amavamo e frequentavamo, e anche a Sanremo, durante la settimana del Festival. È successo anche pochi giorni fa, quando ci siamo incrociati nei pressi del proticciolo turistico, entrambi incuriositi dall’iniziativa di Renga e Nek, che avevano radunato giornalisti e critici per offrire loro un caffè in un bar, loro dietro il bancone. Ci siamo visti e ci siamo detti qualcosa come, “Anche quest’anno lo abbiamo timbrato”, sottintendendo il cartellino dell’incrociarsi, entrambi per il resto ben intenzionati a non frequentare in quella landa i nostri colleghi, ognuno per le ragioni che trovava più opportune. Mai avrei pensato che sarebbe stata l’ultima volta, anche perché lo sapevo impegnato in diversi progetti futuri, uno con un’altra amica comune, la geniale cantautrice Roberta Giallo.
Questa cosa dell’essere irrefrenabile, sempre alla ricerca di nuovi modi di comunicare, gran divulgatore quale era, mi è sempre stata di modello, pur arrivando io alla critica musicale da altra strada. I grandi vecchi del giornalismo musicale, del resto, gli antesignani, penso prima di lui e Gino Castaldo a figure quali Giò Alajmo, Marco Mangiarotti, volendo anche Mario Luzzato Fegiz, Marinella Venegoni, sono stati degli apripista, degli antesignani, gente che ha segnato una strada che fino a quel momento nessuno aveva seriamente percorso, indicando un cammino anche per chi è arrivato dopo di loro, magari, parlo per me, affrontandola con tutt’altra attitudine. Grande appassionato di musica in generale, ma con una certa propensione ai classici, parlo del rock e della musica d’autore, attenzione, Assante negli anni non ha disdegnato di confrontarsi anche con le evoluzioni e involuzioni del genere, i nostri scazzi social erano spesso su questo, specie quando commentava su Repubblica X Factor. Una dimostrazione di freschezza, certo, che gli imputavo come forma di esserci per esserci, come se lo scriverne fosse una moneta che non avrei mai accettato, sulla carta. Nei fatti, lo sapevo, lo scazzo non era mai vero scazzo, quanto piuttosto sfottò tra colleghi, il suo era un modo per curiosare tra luoghi che gli sarebbero, e mi sarebbero, stati estranei per anagrafe, non fosse che il mestiere che abbiamo scelto di fare non prevede, appunto, l’invecchiare, né l’idea di poter morire. Non ho stima di molti dei miei colleghi, rispetto sì, stima non molta. Ma so riconoscere la passione vera, e anche l’essere brave persone. Enresto Assante aveva indubbiamente la prima, chi ha mai letto un suo articolo, o un suo libro non può non saperlo, e era la seconda, chi lo ha conosciuto può confermarlo. Era anche molto simpatico, a farsi perculare da un collega più giovane e anche decisamente meno blasonato di lui. Quando, raramente, mi capita di essere in luoghi frequentati da colleghi, succede appunto in qualche occasione prima o durante il Festival, io mi tengo poi a debita distanza dalla Sala Stampa, è noto, e in qualche altra rara occasione, mi capita di incrociare qualcuno che conosco ormai da un lasso di tempo molto lungo, penso a Gianni Sibilla, che con Ernesto collaborava a Rockol, e pochi altri. L’idea di star invecchiando insieme in un mondo sempre più frequentato da influencer, ce lo siamo detti, un po’ ci fa sentire dei sopravvissuti, un po’, anche dei privilegiati, quelli che hanno conosciuto il mondo della musica prima che iniziasse questa strana forma di decadenza che stiamo vivendo ora. Sapere che non ci sarà più modo di incrociare Enresto Assante mi immalinconisce, tanto quanto sapere che non ci saranno altri articoli o altri suoi libri da leggere, e altri post sui social nei quali mandarsi amichevolemente a cagare. La terra ti sia lieve, Ernesto, e grazie per la tua passione.