Qualcosa deve essere andato storto. In genere si dice così quando ci si ritrova a vivere una determinata situazione, eccezionale o quotidiana, che mai avremmo pensato di vivere, e questo nostro viverla non ci desta più indignazione, vergogna, imbarazzo, volendo anche dolore. Qualcosa deve essere andato storto. Perché, questo il sottinteso, un tempo, prima, vivere quella determinata situazione avrebbe provocato una reazione decisa, mentre ora viene accettata per buona, e perché anche quel passarla per buona non ci costa alcun sacrificio, ci viene naturale. Quindi confermo, qualcosa deve essere andato storto. Perché succede che un nostro artista, un cantautore, vince il prestigioso premio César, appuntamento di gran lustro della cultura francese, per aver scritto quella che è stata ritenuta la migliore colonna sonora, nello specifico quella del film Le Régne Animal, film che per altro in quel contesto aveva ricevuto ben dodici nomination, contro le undici del già Palma d’Oro a Cannes Anatomia di una caduta, e qui da noi, in buona sostanza, non se l’è cagato nessuno. Intendiamoci, andando a spulciare i principali magazine e quotidiani, specie quelli online, la notizia si trova, ma è spiccia, una notiziola, più che altro, che riprende pari pari il comunicato stampa prontamente e giustamente diramato, ma da qui a dire che c’è stato non dico un moto d’orgoglio per un risultato importante, parlo dell’orgoglio di una nazione per il risultato di un proprio cittadino, ma neanche una sincera felicitazione, una pacca sulla spalla, un “Aò, coso, bravo, eh”. Niente. E dire che il premiato, il cantautore di cui sopra, avrebbe tutte le caratteristiche per occupare quantomeno l’attenzione anche di un pubblico distratto, quello che negli ultimi mesi ha fatto scendere la soglia d’attenzione, quindi i tempi medi di lettura di una notizia, tra la forchetta che va dai diciannove ai nove secondi, provateci voi a leggere una notizia e a incamerarne il contenuto, la sostanza, in così poco tempo, sempre che non siate come il professor Reed di Criminal Minds, chiaro. Ha un nome buffo, volendo, o quantomeno curioso, che richiama alla memoria Sza Sza Gabor, attrice di cui, ai più, sarà rimasto forse nella mente il corrispettivo di una cacatina di mosca, ma che, converrete tutti, aveva un nome quantomeno ricordabile. Di più, ha un aspetto eccentrico, e oggi come oggi, nell’era di Instagram e ancor più di Tik Tok, l’immagine conta decisamente più del resto, la forma che si sostituisce in via definitiva alla sostanza, senza però esserlo realmente, tanti saluti a San Tomaso d’Aquino. I capelli spettinati, lunghetti, scuri. Quel paio di baffi a manubrio lunghi, di quelli che si vedevano decisamente più negli anni Settanta che oggi. Lo sguardo ironico, vagamente zappiano. Ecco, a vederlo potrebbe essere uno della sua anomala ganga di musicisti, parlo di Frank Zappa, o volendo uno di quei pensatori, da noi li avremmo bollati come cattivi maestri, che negli anni Ottanta, forse anche alla fine dei Settanta, proprio in Francia sono andati in esilio, complice la dottrina Mitterand, alcuni, i sopravvissuti agli anni di piombo, parlo di sopravvivenza metaforica e anche anagrafica, sono ancora lì. Ultimo dettaglio in cronaca, Dio quanto mi piace infarcire i miei scritti di citazioni, io che ho iniziato a scrivere proprio a causa di uno di quei cattivi maestri ai tempi a Parigi, Nanni Balestrini, la Francia.
Per lungo tempo, anche a ragione, abbiamo guardato la Francia con ammirazione, almeno noi, dove a quel noi andrebbe sostituito un più didascalico “noi che eravamo colti”, da contrapporre a un altri che sottintenda “gli altri che erano dozzinali, sottomessi a un regime culturale al ribasso, figlio della tv commerciale”, gli altri appunto, ecco, per lungo tempo, anche a ragione, abbiamo guardato la Francia con ammirazione. Anche per la dottrina Mitterand, si metta il cuore in pace Cruciani. Perché lì la cultura ha sempre avuto un peso, reale, perché noi avevamo i Vanzina e loro Godard (è vero, noi abbiamo avuto il neorealismo, Fellini, Antonioni, Germi, Visconti, e tanti altri, ma era roba per cultori del cinema alto, d’essai, nome non a caso francese, lì invece la cultura era rispettata da tutti, questo ci dicevamo). Riempire l’Opera di Parigi, alla Paolo Conte, alla Gianmaria Testa, Dio l’abbia con sé, era qualcosa che ci faceva palpitare il cuore, ci dava una speranza, anche se poi noi non ascoltavamo né l’uno né l’altro, preferendogli la musica leggera, davvero leggera, o altri cantautori. Era un principio, la Francia era la Francia, noi i cugini scemi. Non credo serva dire come, per anni, nonostante un nazionalismo che anche da noi cominciava a sgomitare, abbiamo guardato alla loro cucina come a qualcosa di decisamente più alto della nostra, ai loro vini come a qualcosa di più buono che i nostri vini, ditemi voi chi avrebbe mai preferito lo spumante allo champagne, i loro film d’essai ai nostri. Basta proprio guardare al cinema. Andare a Venezia, in concorso, e andare a Cannes. Dio mio, come scegliere se andare a Sanremo o in Costa Azzurra, a San Marino, e a breve ci andiamo, o a Montecarlo. Anche i loro reali, è vero Montecarlo non è Francia, sono sempre stati qualcosa di diverso dai nostri, Grace Kelly, Dio mio, Grace Kelly. Figuriamoci poi paragonare Cannes con gli Oscar, che per noi sono la chiara ragione di vita, periferia dell’impero quale siamo da sempre. Roba davvero dozzinale, come provare a contrapporre un BigMac con un piatto di nuovelle cousin.
Un tempo, è tristemente vero, per una onereficenza in terra francese ci saremmo sperticati di lodi, tutti, a partire da chi si fa grancassa di quel che succede, i telegiornali, in primis, i quotidiani e i magazine, a seguire. Sarebbe successo in tempi pre-social, ovvio, le notizie passavano solo da lì, da lì abbiamo appreso appunto le gesta d’oltralpe di Paolo Conte e compagnia bella, e sarebbe potuto ancor più dovuto succedere in tempi social, dove a veicolare le notizie siamo un po’ tutti, alla velocità della luce, per di più. Invece, e non certo per quell’antipatia, un po’ figlia di una invidia intellettuale più che sociale, che ci vede guardare con ostilità ai cugini francesi, la testata di Zidane, popopopopopò e via discorrendo, proprio per disinteresse, oggi preferiamo tutti, ovviamente mi ci metto anche io, non è che star qui a fare mea culpa tardivo cambi qualcosa, oggi preferiamo tutti, dicevo, occuparci della separazione tra Fedez e la Ferragni, Tomaso Trussardi l’ha blastata sui social, evvai, o di come Andrea Scanzi sia stato sommerso di fischi a Berlino, l’ho fatto anche io, ripeto, mea culpa mea culpa mia maxima culpa, o, peggio, di come i Magara abbiano sfilato di mano a Loredana Bertè il diritto di andare a Stoccolma a rappresentare San Marino a Eurovision, e parlando di Francia via a sorridere ancora pensando ai francesi che, come nella Bartali di Paolo Conte, ancora si incazzano per la vittoria dei Maneskin, le accuse di aver pippato in mondovisione a Damiano, gli sbrocchi che ancora fanno clamore. Preferiamo occuparci del basso, del bassissimo, invece che gioire dell’alto. Nonostante anche l’alto, ripeto, avrebbe tutte le caratteristiche per essere notiziabile, che brutta parola, volendo anche memabile, idem. Certo, non essendo finita in trend topic, c’erano quelle altre notiziole lì, mon Dieu, non ha attirato quelli che si basano sulle logiche Seo, rimanendo fuori dai giochi. Non se ne parla perché non se ne parla, e siccome non se ne parla non se ne deve parlare. E dire che già solo a pronunciarlo, César, suona così maledettamente affascinante, la erre arrotata, la e appena pronunciata, quell’esotismo pret-a-porter che ci faceva sorridere in bocca a John Cleese e Jamie Lee Curtis (sì, da noi era spagnolo, e per il resto del mondo era italiano, ma sarebbe potuto serenamente essere francese, il francese è sexy, pensate alla Vanessa Paradis che canta Joe le taxi, a Guesh Patty che canta Etienne, ma pensate anche solo a Monica Bellucci che stempera in un finto francese il suo assai poco affascinante accento umbro, lo dico da marchigiano, a beneficio di chi volesse tacciarmi di una qualche forma di localismo. Ha vinto un César, tutti in piedi, quasi eccitati. Invece niente. Giusto due righe in cronaca, neanche da parte di tutti, perché le notizie importanti sembrano sempre altre. Spiace, perché è la fotografia plastica di un imbarbarimento, e dire che spesso guardiamo proprio alla Francia, che per salvaguardare la propria musica ha imposto un tetto massimo di passaggi concesso alla musica straniera, parlo delle radio, un nazionalismo, il medesimo che fa loro esibire le bandiere biancorosse e blu fin dentro le chiese, la rivoluzione francese, un orgoglio patrio che qualcosa di buono ha portato. Comunque, gioiamone almeno noi, qui, fanculo chi si occupa di Seo, fanculo la vicenda dei Ferragnez e i Magara che vincono immeritatamente, Geolier spagnoli, Una voce per San Marino e tutto il resto di sciocchezze vacue. Un italiano ha vinto il prestigioso premio César per la colonna sonora del film Le régne animal, evviva. Nessuno prima di lui, neanche Morricone, che ebbe tre candidature, ma nessun premio. Un italiano ha vinto per la prima volta il prestigioso premio César per la colonna sonora di un film, Le régne animal. Ah, si chiama Andrea Laszlo De Simone, dimenticavo. Bravo, anzi, bravò.