Ammettiamo di avere temuto un’opera deteriore, un caracollare dietro l’estetica delle sorelle maggiori in campo cinematografico, ma Gloria! di Margherita Vicario è un buon debutto che se ricorda Sofia Coppola lo fa nei momenti migliori della filmografia della regista. L’incipit è di per sé interessante per chiunque sia appassionato di musica o affamato di quelle pagine meno conosciute della nostra storia spesso tralasciate dai libri scolastici: l’azione si svolge all’inizio del XIX secolo nell’istituto di Sant’Ignazio (Venezia), dove all’epoca esistevano questi conservatori-conventi dove alle ragazze orfane veniva insegnato a suonare uno strumento e a cantare (istituti aboliti, perché religiosi, pochi anni dopo da Napoleone). Abbiamo la protagonista Teresa (Galatea Bellugi) che è un po’ sfigata ed emarginata, usata da tutti nell’istituto come la servetta e soprannominata “la muta” -perché non parla mai- ammessa in quel luogo dopo una colpa imperdonabile, almeno per i religiosi, e non diciamo altro (è spoiler). Quella di Teresa è una coming of age story fatta, inizialmente, dal bullismo della Queen B (in stile Mean Girls) e primo violino Lucia (Carlotta Gamba) e dal Maestro di musica Perlina (Paolo Rossi). Il turning point di Gloria sta nel momento stesso in cui l’istituto riceve il dono, subito scartato e abbandonato perché ritenuto empio, di questo pianoforte in cui s’imbatte Teresa mentre Perlina, d’altro canto, sembra avere esaurito la vena artistica di compositore proprio prima di una visita di Papa Pio VII per cui dovrà comporre una nuova melodia. Teresa diventa l’antesignana di una musica più vicina al contemporaneo e meno al classico che si studia nel convento; se lei non parla lascia che i sentimenti si esprimano attraverso lo strumento. Così, quando le compagne si accorgono del suo talento inizia una sorta di duello tra il nuovo e il vecchio, tra l’alto e il basso: da una parte la visione progressista di Teresa, dall’altra quella classica di Lucia, ma lasciandosi travolgere dalla musica le due trovano l’unico modo per comunicare e congiungersi in una comunione spirituale.
Vorremmo vedere in Gloria! una pagina di storia sconosciuta ai più e ringraziare Margherita Vicario per averci fatto conoscere una realtà prima ignorata, ma questo film è (o almeno verrà visto così) un film femminista nel significato più costruttivo del termine. Come sarebbe cambiata la storia della musica con la sorella di Mozart? E se le basi della musica moderna fossero state gettate dalle donne? Sono domande interessanti quelle che pone la regista. Certo, sarebbe puerile e controproducente negare che Gloria! come molte opere prime sia privo di difetti: si gioca un po’ coi cliché del genere (Teresa è Cenerentola), alcuni dialoghi sembrano forzati, e Perlina ricorda tanto il Salieri del film Amadeus di Milos Forman, ma qui lo vediamo a una dimensione sola, scritto volontariamente o meno come un nemico molto piatto e stupido. Eppure, nell’aria permane una certa dolcezza nel vedere queste proto-Riot grrrl iniziare una rivoluzione musicale; la scenografia di Luca Servino e Susanna Abenavoli così come la fotografia di Gianluca Palma donano a questa commedia musicale l’eleganza dell’ultima Susanna Nicchiarelli. Lo stile musicale di Teresa è volutamente anacronistico, come risultano sempre le nuove scoperte, e appare agli ascoltatori una fusione tra il pop e il jazz rinnegando il barocco insegnato da Perlina. Fondamentalmente Gloria! al di là dei discorsi tra uomo e donna, di un patriarcato già nato stanco e cretino, parla dell’infinito spirituale, dell’eternità, del linguaggio universale che è la musica e la gioia che queste musiciste, dimenticate dalla storia, hanno donato al nostro mondo con l’unico riconoscimento di fare arte per il puro piacere di farlo, ben lontane dalla logica tossica dei like e dalla fama di TikTok.