Sta facendo piuttosto discutere, nella piccola comunità degli addetti ai lavori del mondo della musica leggera italiana, un video pubblicato sui social da Valerio Carboni, cantautore, produttore e autore con alle spalle parecchie collaborazioni di rilievo nel panorama pop. Nel video in questione, lo trovate qui, in maniera divertita ma al tempo stesso allarmata, Carboni mostra se stesso che intona il cenno di una canzone suppongo da sé medesimo scritta, in inglese, così, voce e pianoforte. Suonato e cantato per qualche secondo Carboni ci mostra il passaggio successivo, l’apertura di una app che, utilizzando l’AI, ci dice, è in grado di prendere quel brano e farlo cantare da una voce a scelta in un catalogo che ci fa intravedere sullo schermo, scorrendoci su velocemente. Carboni seleziona una voce maschile, carica il file del suo brano, e tempo pochi secondi, senza neanche dover fare chissà cosa a livello di mix, ci fa sentire la sua canzone cantata da un’altra voce. La qualità della voce, parliamo di ingegneria del suono, non di interpretazione, è palesemente migliore, per dirla con parole sue, come se la voce dell’AI avesse intonato la medesima melodia usando un microfono di più alta qualità. Non basta, Carboni torna nella home della app e sceglie a questo punto una voce femminile. Stessa operazione di prima e tempo qualche secondo ecco la canzone cantata da una donna. Tanto per far capire di cosa sta parlando, Carboni intona a questo punto, sulla medesima base di piano, la medesima melodia ma cantata in italiano. La dà in pasto alla stessa voce femminile e il risultato è quasi impeccabile, avendo lui fatto delle svisate con la voce, anche la voce femminile ne fa, sembrando però vagamente una straniera che canta in italiano, tipo Heather Parisi che cantava Cicale. Le conclusioni di Valerio Carboni, che però lancia il sasso a beneficio dei suoi follower, chiedendo il loro parere, è che siamo arrivati alla frutta. Come dire, tutti coloro che operano nel pop farebbero bene a cambiare mestiere. Ho visto il video, e mi sembra evidente, non essendo io dotato di poteri divinatori o telepatici. E onestamente non ci ho trovato nulla di particolarmente sconvolgente. Nel senso, è sconvolgente, per certi versi, vedere come una semplice app, che prevede suppongo un abbonamento neanche troppo alto, possa fare questo tipo di trucchi, trucchi, per intendersi, che potrebbero essere usati da produttori non troppo facoltosi per permettersi dei cori, da un coro di bambini alla Mr Rain su una nuova Supereroe, a un coro gospel in coda a un brano di un sedicente Irama, o un coro femminile su una qualsiasi canzone pop, ma che potrebbero in effetti produrre effetti devastati su un preciso segmento di mercato, segmento neanche troppo piccolo. È sconvolgente ma è roba già vista e già sentita, ci sono altre app, sempre con piccoli abbonamenti, che dando indicazioni specifiche possono scriverti le canzoni che richiedi, facendole cantare a voci che scegli. Per esempio, puoi chiedere una canzone che parli di “arrosticini e ventricina”, piatti tipici della tradizione abruzzese, su una base reggaeton cantati da una voce femminile e quella otterrai, mi è capitato di sentire una cosa del genere, sempre su Facebook e sempre postata da chi, tra il divertito e lo spaventato, parlava di futuro apocalittico. Del resto abbiamo tutti sentito e poi letto e poi di nuovo sentito la querelle di Ghostwriter, che ha scritto in compagnia dell’AI Heart on my Sleeve, come se a scriverla fossero stati due giganti come Drake e The Weeknd, stesso stile, stesso flow, e poi le ha anche interpretate, sempre grazie all’AI, usando le loro voci, andando sul mercato con una superhit, presto bloccata un po’ ovunque, tranne che su Youtube, per ovvie ragioni di copyright. Un esperimento, certo, che era però un po’ più di un esperimento, e che mostrava il re nudo, e anche con svariati centimetri di cazzo, a dirla tutta. Perché se si può usare una macchina per suonare, e coi plugin lo fanno tutti da tempo, questo il non detto da Ghostwriter, che del resto è, si dice, artista ben noto ma che si tiene nascosto dietro un nick name e sotto un velo da fantasma, perché non possiamo usare le macchine anche per filtrare le voci e farle suonare come le voci di altri? Per capirsi, possiamo usare la voce di Albertino, uno dei primi, ma anche di Pannofino, per farci dare indicazioni stradali dal navigatore della macchina e non possiamo farci cantare le nostre canzoncine da una app che usa l’AI? Oppure, possiamo fare deepfake, citofonate Gerry Scotti o Striscia la Notizia, per fare satira e divertirci, o più semplicemente per intrattenere, ma l’AI fa paura solo se rischia di fotterci il lavoro?
La questione, a mio avviso, è altra. L’AI, che per la cronaca, nella figura virtuale di ChatGPT ha da poco superato il test di Turing, andando a presentare una personalità sovrapponibile a quella umana, parola di scienziato, è indubbiamente qualcosa/qualcuno, fatemi fare il fratello minore di Donna Haraway, con cui dovremo fare i conti. Evitare di farlo, o fingere che sia semplicemente una diavoleria, non fa certo di noi persone intelligenti, altro che AI. Anche pensare che l’AI non ha l’anima, quindi non potrà da una parte mai creare nulla di artistico, dall’altra, confondendo anima e ragione, prendere proprie iniziative come dotata di libero arbitrio non fa di noi persone intelligenti, perché il test di Turing sta lì proprio a sancire il discrimine tra macchina e uomo, e perché non abbiamo evidenza, mai era capitato prima, che una macchina non sia in grado di provare sentimenti, come se i sentimenti fossero categoricamente slegati dalla ragione. Quello, forse, parliamo almeno del futuro prossimo, che l’AI riuscirà a fare a fatica, o forse non riuscirà a fare, sarà filosofeggiare, scartando cioè di lato rispetto ai binari che la razionalità ci pone di fronte, e, in arte, andare a creare qualcosa che sia frutto di una visione più che di un ragionamento, quegli scarti improvvisi a lato che ci sorprendono proprio perché talmente improvvisi da essere imprevedibili, e in quanto imprevedibili fin qui imprevisti. Che l’AI, invece, possa scrivere, produrre e cantare, magari anche senza andare a “rubare” esplicitamente stile e voce a qualcuno, canzoni nell’alveo del pop, beh, lo darei per scontato. Lo stiamo facendo noi umani da anni, forse da sempre, facendo quei plagi di intenzione che nessun tribunale sarà mai in grado di certificare come furti, ma che di fatto sono furbatine facilmente sgamabili. Il pop è pieno di canzoni che si somigliano perché tende di suo a seguire le mode, che si tratti di generi, di suoni, anche di voci, perché dovremmo scandalizzarci se a fare queste ipotetiche hit è una AI invece che un team di autori, produttori e interpreti che praticano lo stesso sport? Perché l’uomo dovrebbe avere di suo una sorta di primato sul mondo? Beh, è l’uomo che ha generato l’AI, quindi è come se ora ci andassimo a lamentare, che so, che con l’invenzione dei sintetizzatori si è potuto sfruttare il mestiere di un solo musicista per creare suoni che un tempo avrebbero richiesto l’impiego di un buon numero di turnisti, o come se, guardando alle piattaforme con cui, da tempo, si registra negli studi, ci si inalberasse perché c’è chi si fa le sezioni archi finte invece di usare le orchestre. Non voglio fare l’appassionato di nuove tecnologie, ho sì prima citato Donna Haraway, ma l’ho fatto più che altro perché tanto, tifo o non tifo, il futuro è lì che si sta mangiando il presente, non è che opporsi porti a qualcosa di rilevante, solo che fare i luddisti, specie quando si tratta di qualcosa che, quando ci è stato e ci è utile, abbiamo usato non solo senza opporre resistenza, ma anzi, ben felici di aver trovato una scorciatoia, specie se una scorciatoia a buon mercato, mi sembra bizzarro. Non penso, non l’ho mai pensato, che l’AI monopolizzerà il mercato musicale, non più di quanto non lo stanno facendo le hit tutte uguali che da anni hanno invaso il mainstream. Quelle se le papperà sì l’AI, buon per lei e per chi ci lavora, la discografia immagino a breve, la musica che passa dal sudore e dalle vene e anche dal buco del culo degli artisti, invece, immagino resterà lì, da qualche parte, a sgomitare per fare qualche numero che non induca i suddetti artisti a cercarsi definitivamente un altro lavoro, o più semplicemente a provare a toccare i cuori, veri o artificiali, di altri appassionati di quel tipo di musica lì, irreplicabile perché troppo irrilevante per meritare che una AI ci perda sopra i pochi secondi di tempo che utilizza per elaborare, produrre e incidere una canzone.