Ogni sua uscita è un evento (per alcuni un avvento). Amato e odiato in egual misura, ma sembra che non si possa fare a meno di leggerlo o parlarne. Ci riferiamo a James Ellroy, che oggi torna in libreria anche in Italia con “Panico” (Einaudi, 391 pagine a 19 euro e 50 centesimi con traduzione di Alfredo Colitto). E come in ogni opera dell’autore di culto americano, anche in questa dominano il sesso, le bugie, le droghe e i pettegolezzi sullo star system. Soprattutto gli aneddoti, talmente surreali da sembrare paradossalmente veri, sui quali in seguito schiere di esegeti si interrogheranno.
«Puro Ellroy distillato» ha scritto il The Washington Post. «Non c’è mai stato uno scrittore come James Ellroy» ha aggiunto il The Telegraph. «Ellroy fa a pezzi il mito dell’America come una motosega in un mattatoio» ha chiosato il Time. La trama si svolge in una Los Angeles satura di paranoia. L'America è preda della paura. Siamo negli anni Cinquanta, e il popolo americano è avido di notizie, di gossip, di scheletri negli armadi. Quanto più ama qualcuno, tanto più vuole conoscerne i vizi. E Freddy Otash, il protagonista, è deciso a dare al pubblico quello che vuole. Freddy era un poliziotto. Poi ha ucciso un uomo per vendicare un collega e il nuovo capo della polizia l'ha congedato con disonore. Adesso è un investigatore privato specializzato in ricatti, un pappone e, soprattutto, il braccio armato di «Confidential», il famigerato tabloid. Circondato da un alone di benzedrina e di violenza, dovrà risolvere l'omicidio dell'unica donna che ha mai amato, vedersela con un complotto comunista e uscire vivo da una congiura che mira a fermare la corsa di Jack Kennedy alla presidenza. Con “Panico” il maestro del noir è partito da Ricatto (Stile Libero 2013) per comporre un affresco vasto, brutale e ipnotico. Il James Ellroy che più abbiamo amato, quello di American Tabloid e L.A. Confidential, è tornato. Corrosivo come non mai.
Per capire quanto sia influente anche da noi, abbiamo chiesto a una serie di scrittori italiani - Barbara Baraldi, Andrea Carlo Cappi, Seba Pezzani, Piergiorgio Pulixi, Giuseppe Foderaro, Pietro Caliceti e Maurizio Matrone - che cosa rappresenta per loro il “demon dog” e per quale motivo sia considerato così grande. Le foto sono di Ray Banhoff già pubblicate su WNR.
La scrittrice Barbara Baraldi, autrice di thriller e vincitrice di diversi premi legati al noir, ci ha spiegato quanto le sia stato d'ispirazione Ellroy: «Quello che mi ha fatto innamorare di lui è la sua maestria nell’amplificare i conflitti interiori dei personaggi tramite la coralità del racconto. Per quanto mi riguarda, la tetralogia di Los Angeles è stata fonte di ispirazione per la stesura della Stagione dei ragni, con la sua capacità di mantenere la città sempre in primo piano anziché sullo sfondo, e il lucido e disincantato sguardo sul passato che serve a raccontare le stesse ansie che viviamo nel presente. Perché, in fondo, noi siamo (anche) ciò da cui veniamo».
Lo scittore Andrea Carlo Cappi, autore di una cinquantina di titoli tra romanzi, raccolte di racconti e saggi, individua la sua grandezza nell'aver spostato l'attenzione verso la cronaca: «Gli Usa hanno una storia breve, rispetto ad altri paesi, ma James Ellroy ha fatto per il Novecento americano quello che altri hanno fatto per l’epopea del West: la creazione del mito. Anziché alla Frontiera, si è rivolto alla cronaca nera, forse per una vocazione naturale, visti i suoi luoghi oscuri. Non è l’unico o il primo: W. R. Burnett ne scrisse in presa diretta dai tempi di Piccolo Cesare e Stuart M. Kaminsky raccontò la Hollywood anni ‘40 con gli occhi ironici di Toby Peters. Ma l’indagine di Ellroy su una Los Angeles confidenzialmente spietata svela regole che valgono in fondo, ieri come oggi, per il mondo intero».
È invece un rapporto conflittuale quello che lo scrittore, traduttore e musicista Seba Pezzani ha verso Ellroy: «Il mio rapporto con lui è iniziato leggendo Dalia Nera che mi travolse, lo trovai bellissimo. Conteneva qualcosa di molto affascinante e conturbante e il tutto era tenuto insieme dalla grande suspence e arricchito da un inglese molto slang. Lo trovai straordinario. Poi il mio rapporto con lui è diventato conflittuale e ora difficilmente mi entusiasma. L.A. Confidential è bello, anche nella versione cinematografica, a differenza di Dalia Nera, comunque lui resta un grande autore. La sua fama ha a che fare anche con la stranezza del personaggio, con le pose volutamente sopra le righe e spesso inaccettabili, che hanno contribuito a renderlo più intrigante. Ha comunque saputo cambiare il canone del noir. È figlio diretto della tradizione degli autori hard boiled con ambientazione californiana, ma ne ha modernizzato lo stile introducendo una crudezza che prima non esisteva. Lo trovo molto importante, benché a fasi alterne. Però, certo, la sua capacità di scrittura credo sia del tutto fuori discussione».
Per l'avvocato e scrittore di thriller Pietro Caliceti è la scrittura che rende Ellroy inimitabile: «È a mio avviso uno dei punti di riferimento più importanti nella letteratura contemporanea, e non solo nel campo del noir. Essenzialmente per tre motivi. Primo: si è inventato un lessico, e una sintassi, con quelle parole strascicate e quel periodare sincopato, che lo rendono immediatamente riconoscibile e unico. Secondo: con le sue trame contorte, sovrappopolate di personaggi ossessionati da paranoie complottiste, a mio avviso più di ogni altro ha saputo dar voce (e una voce comprensibile a tutti, a differenza di molti altri) al senso di insensatezza che pervade i nostri tempi. Terzo (last, but not least): per la sua immagine. Ingombrante, discutibile, sicuramente a qualcuno antipatica, ma indiscutibilmente iconica, come pochi scrittori contemporanei possono vantare. Un po’ una specie di Hemingway dei nostri tempi».
Mentre quanto sia influente per tutti i giallisti anche di ultima generazione, ce lo lo ha illustrato lo scrittore Piergiorgio Pulixi: «Per me ha rappresentato una cesura. È uno di quegli autori che creano un solco fra il prima e il dopo. È stato in grado di spingersi al di là del genere, spezzando le frontiere del lecito. Non ha avuto alcun probema, per esempio, a parlare esplicitamente della polizia di Los Angeles, che all'epoca era considerata violenta, razzista e corrotta. I suoi libri sono dei capolavori, da questo punto di vista. In più, credo sia un autore in continua evoluzione per cercare di varcare limiti e scenari. Per me, come per tanti altri, è un punto di riferimento. Pensiamo solo a Michael Connelly, thrillerista di fama internazionale, che ha utilizzato la tragica morte della madre di Ellroy per delinare quella ferita esistenziale che presenta il suo personaggio Harry Bosch. Ellroy è un monumento a livello di ispirazione. Se vuoi fare lo scrittore noir, non si possono tralasciare L.A. Confidential, American Tabloid o Sei pezzi da mille, che sono vere pietre miliari del genere».
Dello stesso avviso lo scrittore Giuseppe Foderaro, che ha preso spunto da lui persino nel suo ultimo libro: «È a mio padre che ho dedicato il mio ultimo romanzo, La santità del padre, poiché la vicenda narrata verte sulla rilevanza imprescindibile dei genitori nella definizione della natura umana, e ancora di più dello scrittore. James Ellroy nel suo libro autobiografico li chiama “I miei luoghi oscuri”, delineando quelle ombre che ci si imprimono addosso e che hanno l’odore di casa. Fu proprio l’omicidio mai risolto della madre, quando aveva solo dieci anni, a creare in lui una crepa insaldabile che lo ha portato a una spirale di dipendenze e atti criminali, esorcizzata solo in età adulta quando decise di analizzare ex novo le carte del caso e di guardare nell’abisso per uscirne definitivamente. Un percorso di caduta libera e di risalita che ha segnato con il fuoco tutta la sua produzione letteraria. Ne La santità del padre emerge la medesima metafora, nelle ascese di vette impervie a rischio della vita, nel rifiuto costante di agi e convenzioni sociali, nella continua ricerca di conferme nelle proprie radici, seppur dolorose e laceranti, per mantenersi saldi a quei ricordi e a tutto ciò che ci ha creato, ma anche distrutto».
Per lo scrittore Maurizio Matrone, infine, è l'inversione dei ruoli la vera rivoluzione di Jame Ellroy: «Mi è sempre piaciuto che abbia raccontato di poliziotti dal cuore nero e con passati turbolenti o di ex sbirri (come me) inquieti, battaglieri e disillusi quasi sempre dentro una cornice storica delicata e ambigua come fossero i nostri anni ‘70. Sono convinto che sia così grande perché, in fondo, racconta il male dalla parte di chi dovrebbe invece difendere il bene…».