Americana, classe 1916, giornalista e scrittrice in un mondo di uomini. Vive succube dell’ostilità materna e dell’incuria del marito. Essere donna negli anni ‘50 non è semplice, soprattutto se non ti adatti alle rigide norme della società.
Così Shirley Jackson si detta le regole per sopravvivere alle crisi depressive che di tanto in tanto la colgono. La cura? Scrivere almeno 1000 parole al giorno. E usarle per creare racconti terrificanti.
Shirley è un enfant prodige: inizia a scrivere all’età di 12 anni, e continuò a farlo per tutta la vita. Collabora negli anni quaranta e cinquanta con la prestigiosa rivista New Yorker e proprio tra le sue pagine scoppia la prima scintilla del successo letterario.
Tema ricorrente dei suoi racconti è quello della comunità e della donna – letteralmente – rinchiusa in casa. Dopotutto rispecchia lo stile di vita dell’epoca: Shirley è una donna simbolo della nuova classe media americana – casa, chiesa e aspirapolvere di ultima generazione - ma i suoi racconti sono tutto fuorché rassicuranti.
Partiamo dal più celebre: The Lottery. Quando venne pubblicato nel ‘48 sul New Yorker, emerse la sua vera essenza di regina dell’orrore quotidiano.
The Lottery suggerisce nel giro di una manciata di righe, in modo brutale ed esplicito, l'esistenza di un cupo e sconvolgente mondo sotterraneo nelle profondità rurali degli Stati Uniti. Uomini e donne che sacrificano annualmente la vita di un concittadino, come in un rituale antico e misterico, per poi tornare alla placida quotidianità.
Nella dissacrazione dei rapporti di buon vicinato in The Lottery l’ansia cresce a poco a poco, e il terrore esplode con garbo e senza far troppo rumore. Un orrore talmente realistico, morte per estrazione a sorte, da scatenare reazioni aggressive nei lettori del New Yorker: nelle lettere che ricevette numerose furono le critiche e le etichette che la definirono "una strega", "simpatizzante dei comunisti" e "alleata della cospirazione giudaico-massonica". (Qanon siete voi?)
Shirley non smentì mai nulla, contribuendo alla crescita dell’atmosfera tenebrosa di questo racconto e contemporaneamente della sua figura.
E chi recentemente non ha visto la serie tv Netflix La maledizione di Hill House? È tratto da un racconto della Jackson, datato 1959. Anche qui aleggia un’atmosfera maledetta, ma questa volta ci spostiamo da una comunità contadina a una casa signorile. Una villa che potrebbe essere qualunque ma è infestata da spiriti con una famiglia intera costretta tra le sue mura.
È uno dei racconti di fantasmi più famosi e influenti del XX secolo e questo deriva dal talento di Shirley di muoversi sul filo del rasoio: gli eventi sì, sono soprannaturali ma non visibili, accadono di notte, non sono cruenti o impressionanti. L’inquietudine è sempre sottile: perfino i rumori e gli scricchiolii non vengono percepiti da tutti, o quando vengono colti sembrano suggestioni, collettive o solitarie.
Con un salto temporale, ci ritroviamo nel 1962 con Abbiamo sempre vissuto nel castello, dove Shirley ci accompagna nuovamente in una casa costringendoci con dolcezza ad amare le turbe psichiche della protagonista, la giovane ragazza Blackwood. Il suo sogno di reclusione e solitudine diventa piano piano il nostro sogno. Il vero nemico? Il mondo esterno. E l’unico modo per sopravvivere è distruggere tutto, lasciare la casa cadere, bruciare ogni cosa, vivere nascosti solo con la sorella. Solo con la famiglia.
Forse non il romanzo adatto a farci compagnia nel nostro nuovo periodo di lock down, o forse sì? Può succedere che questo libro offra una grande scossa di felicità per la nostra condizione di reclusi. Ché, effettivamente, almeno non siamo segregati con queste due sorelle protagoniste, affettuose sì ma anche omicide – dettaglio non trascurabile -, decise a proteggersi dal mondo esterno ad ogni costo. Possiamo utilizzare questo orrore proprio come lo utilizzava l’autrice: per esorcizzare i nostri demoni. Dopotutto ci basta chiudere il libro affinché tutto torni rassicurante.
In definitiva, la Jackson è capace di creare un’atmosfera di inquietudine in poche pagine, di trasportare l’inconsapevole lettore in un mondo in bilico tra reale e soprannaturale, dove la follia è nascosta sotto le buone maniere.
Non è questo il vero orrore? Lasciare il lettore in attesa che succeda qualcosa, senza che questo qualcosa arrivi mai. Piccoli indizi inquietanti e dettagli angoscianti che sommandosi l’uno all’altro disorientano e lasciano la sensazione di non sapere più cosa succederà. Questo in racconti brevi e incisivi, che possono essere letti in qualche ora, tra una pausa pranzo e l’altra, sopra la metro che ci riporta a casa, portando nel mezzo della nostra serena quotidianità uno scossa di stupore.
Shirley Jackson amava spaventare e disorientare il lettore, braccandolo nell’incertezza per poi lasciarlo nell’unica consapevolezza che lei – inevitabilmente – è sempre un passo avanti a noi. Ne restiamo disorientati ancora oggi, a 56 anni dalla sua morte, avvenuta proprio mentre si accingeva a cambiare stile, e scrivere un racconto per bambini. Chissà che cosa ci avrebbe lasciato.