Lo Stato italiano investe il 3,8 del PIL nell’istruzione. La metà circa degli altri paesi europei. La Francia caccia 124,1 miliardi (5,5%), il Regno Unito 107,6 (4,9%). Parliamo del doppio dei nostri 66 miliardi che vi sembrano tanti magari, ma non lo sono.
Scrivo questo pezzo pieno di incertezze, in attesa assieme a decine di migliaia di colleghi di sapere se quest’anno lavorerò o no. Sono giorni duri per gli insegnanti e non per le mascherine, quelle sono davvero l’ultimo dei problemi. Le sciocchezze come i banchi rotanti (orrendi, scomodi, inutili) sono all’ordine del giorno per chi lavora nella scuola. Trovate che fanno parte di quella cosmogonia di regole partorite dall’animo burocratico di uno stato che è un’entità kafkiana, capace solo di chiedere e imporsi per decreti e (de)cretini.
Sono decenni che non viene fatta una vera riforma e la scuola è ormai lasciata a se stessa. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Siamo meno competitivi, abbiamo più disagio sociale, analfabeti funzionali ovunque, non sappiamo formare professionisti. Insomma, un caos.
In tutto questo caos ci sono gli insegnanti, categoria retta in piedi da precari di cui faccio parte.
Lo sapete come si diventa insegnanti in Italia? Per le elementari hanno creato una facoltà apposta, Scienze della formazione primaria (ottima), per le medie e le superiori basta avere dei titoli.
Che vuol dire?
Vuol dire che con una laurea in tasca e un tot di esami stabiliti da qualche burocrate, una persona viene ritenuta idonea a prestare servizio. Non esiste un percorso formativo specifico come per diventare avvocato o medico. Ci sono i concorsi pubblici si, ma non sono necessari per insegnare. Gli esami che ti servono per essere idoneo li paghi e li puoi sostenere. Stop. L’insegnante di lettere ad esempio, studierà tutta la produzione letteraria italiana dalle origini a oggi, conoscerà la linguistica e la grammatica, ma non avrà mai sostenuto un esame di psicologia o pedagogia. I ragazzi, che sono il vero oggetto del suo lavoro, dovrà imparare a conoscerli sul campo.
Visualizzatelo, il “campo”. Mi viene da usare questa definizione perché rende bene l’immagine di emergenza continua che si vive in una scuola. Un esempio: ad oggi in italia ci sono 14000 insegnanti di sostegno formati (che hanno realmente studiato come gestire dei bambini con bisogni speciali) contro una richiesta di circa 70000 casi. Il che vuol dire che un bambino con handicap, con qualsiasi tipo di disagio psicologico o cognitivo, verrà affidato a normali insegnanti pescati da altre graduatorie che non hanno idea di come affrontarlo, che impareranno sul “campo”, affidandosi al buon consiglio dei colleghi esperti o alla propria volontà, oppure potranno parcheggiarlo al cellulare su YouTube e passare l’anno così, cercando di limitare i danni. È clamoroso vero?
Ma è così che funziona.
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Parlando con alcune persone sono stato accusato di essere “lamentoso” perché denunciavo lo stipendio troppo basso degli insegnanti (anzi, il più basso d’Europa). Alla fine, mi hanno detto, si guadagna come in un normale lavoro d’ufficio. Vero, peccato che l’insegnante non svolga un lavoro d’ufficio.
Un’insegnante ha una formazione che costa migliaia di euro, ha fatto un master, ha la laurea magistrale, si deve aggiornare, affronta gli esami di lingue straniere per ottenere certificati. Il tutto per stipendi ridicoli che oscillano dai 1300 ai 1500 euro di solito.
Gestire da soli classi di venticinque bambini dalla mattina alle otto al pomeriggio alle 17 non è un lavoro d’ufficio. Gli insegnanti sono la dentro soli in di classi con bambini appena immigrati che non sanno l’italiano ma non hanno nessuna figura che si occupa di una loro formazione particolare. Oppure in classi con bambini e ragazzi affetti dal disturbo dell’attenzione o iperattività ma che non godono dell’insegnante di sostegno perché la famiglia lo vede come uno smacco e non permette che il piccolo inizi il percorso di certificazione con l’ASL che lo porterebbe ad essere aiutato.
Gli insegnanti sono soli a pulire pianti, vomito a terra, casini, tempere dalle dita e poi costretti a sorbirsi pomeriggi in estenuanti collegi dei docenti, momenti molto anni 70 in cui tutto il plesso è costretto a riunirsi per decidere ogni singola cosa: dalle gite di fine anno ai progetti speciali a come imbiancare la palestra. Sempre gli stessi insegnanti, per il solito stipendio, devono mediare con le famiglie, tranquillizzarle su eventuali disagi di un loro figlio, gestire i ricevimenti dei genitori, gli incontri col neuropsichiatra per un caso particolare, le riunioni con i team etc. Però ecco, se dici a qualcuno che fai il maestro o la maestra elementare, lo sentirai dire cose tipo: ti fai tre mesi di vacanza, buon per te.
I tre mesi di vacanza di noi precari consistono in una disoccupazione tetra. Siamo tutti in attesa di essere chiamati dal provveditorato per farci assegnare una supplenza annuale. Potrebbe toccarti, come no. Possono chiamarti per qualsiasi scuola della provincia che hai scelto. Sappi che se ti sei laureato e formato in questi anni, verrai scavalcato da chi ha più anzianità anche se magari non ha più voglia di fare questo lavoro ed esce di casa controvoglia la mattina.
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Il fatto è questo: credete che la politica si occuperà di queste faccende? No, non ci credete nemmeno voi. La politica si occupa dei banchi, dei tamponi, della Azzolina. Fino a una settimana fa la scuola era l’unico argomento del dibattito italiano, adesso che è iniziata già se ne sono scordati tutti. Tra qualche mese la scuola non sarà nemmeno più un argomento mediatico e ci saremo abituati come sempre a far si che il sistema venga tenuto in piedi da presidi, docenti, bidelli. Sono queste figure che fanno la differenza.
Insegnare è una vocazione. Non si tratta di inculcare qualcosa in testa agli studenti, ma di tirar fuori una scintilla da ognuno di loro e per farlo servono persone preparate e motivate. Preferibilmente gente valida e ben pagata, che magari invece di considerare l’insegnamento come ultima spiaggia prima della disoccupazione, ne fa lo scopo della sua carriera umana.
Se la scuola non funziona non è solo colpa dell’economia, della crisi, di quanto è scassata.
Il vero problema di fondo è che nessuno se ne occupa per quello che è: un’istituzione fondamentale, non il parcheggio dei figli che non si sanno gestire o di vite professionali saltate.