Jago – all’anagrafe Jacopo Ceccarelli (ciociaro di origini ndr) - è uno degli artisti contemporanei più giovani affermati a livello internazionale. Nonostante operi nel solco di una tradizione antica come la scultura, assai poco frequentata dall'arte contemporanea, è stato infatti capace di ritagliarsi un ruolo da celebrità, alla stregua di un qualunque rocker affermato. Grazie all'uso sapiente del mondo digitale – è soprannominato non a caso "The social artist" - ha raggiunto platee sterminate nonché mondiali, valicando i confini, non solo virtuali, dato che le sue opere sono esposte in vari continenti (e attualmente, tra le altre, anche a Roma, Palazzo Bonaparte).
Così, per provare a fare chiarezza sulla sua essenza, abbiamo intervistato il critico d'arte (di Salerno ndr) Luca Cantore D'Amore, che ci ha guidato nelle fondamenta del giovane scultore, "scoperto" da Vittorio Sgarbi ", “il più democratico dei critici d'arte mai esistiti" - sostiene il salernitano – in sostanza colui che l’ha scelto per la Biennale di Venezia nel 2009 (quando era ancora uno sconosciuto), coadiuvato da una delegazione di pensatori che annoverava finanche Lucio Dalla.
Jago è tra gli artisti contemporanei più affermati a livello internazionale nonché tra i più influenti sui social. Dunque è davvero uno dei più validi in circolazione o piuttosto il migliore a vendere la sua immagine?
Le case naturali delle opere d'arte, nella storia dell'arte, sono sempre state - accademicamente e universitariamente - le chiese. Nel tempo, però, le opere d'arte sono passate da una dimensione di inclusività concreta (dalle chiese ai musei, fino alla street art) a una dimensione eterea, che è quella di internet. Oggi, quindi, artisti come Jago si collocano in questo passaggio di dimensione di rilascio della materia artistica, per cui le loro opere si posizionano sia in luoghi concreti - tant'è che colloca spesso le sue opere in città vere e proprie - ma nella stessa maniera le rilascia anche, nel loro processo produttivo e anche di visibilità, nel mondo di internet, un posto che non può non essere tenuto in considerazione al giorno d'oggi, dimensione fatta di mero business, ma anche di approdo inevitabile.
E' definito il nuovo Michelangelo (il genio del Rinascimento italiano ndr). Un paragone forzato ma sostenuto da Jago in persona. Presunzione o ambizione?
Questa è una questione delicata da affrontare, siamo in un mondo, come intuito dal film American beauty, in cui per avere un'immagine di successo devi rilasciare un'immagine di successo. Insomma, "siamo in un Paese in cui per farsi prendere sul serio bisogna prendersi sul serio", per citare Paolo Sorrentino (La grande bellezza ndr). In fondo anche questa è una modalità comunicativa. Certo, definirlo il nuovo Michelangelo mi sembra esagerato, ma questo potrà sostenerlo solamente il tempo. Il tempo infatti è l'unico giudice di verità, solo il tempo quindi sancirà ciò che è arte e ciò che è truffa, ossia ciò che è dimenticabile e ciò che è irrilevante. Quindi ciò che è Michelangelo e ciò che Michelangelo non è.
È tra i pochi scultori odierni a scolpire il marmo (il suo punto forte), ma gran parte delle sue opere sono essenzialmente delle riproduzioni. Si potrebbero definire plagi?
Assolutamente no, altrimenti tutta la Storia della storia dell'arte potrebbe essere tacciata di tale inquisizione. Nel susseguirsi dei secoli, quante Maddalene penitenti o crocifissioni abbiamo visto? Del resto l'arte parla di tre-quattro temi in tutto: Dio, la mitologia, l'amore. Quindi essendo limitate le tematiche, perché dovrebbero essere limitate le modalità d'espressione? L'arte non è altro che una variante nuova dello stesso tema, si potrebbe quindi paradossalmente quasi sussumere che sia un perenne plagio di sé stessa.
E’ anche un autodidatta: non ha completato, infatti, il percorso all'Accademia di Belle Arti (lasciata nel 2010). Riesumando le sue interviste sembra quasi che quel "pezzo di carta" non serva. Non si rischia di veicolare un messaggio sbagliato?
No, non si corre affatto questo rischio, poiché - per esempio - le più grandi personalità contemporanee non sono laureate in ciò per cui lavorano: Mario Draghi e Carlo Azeglio Ciampi, per dire, sono laureati in filosofia. Non è detto quindi che ciò per cui si studia per tutta la vita debba diventare materia della nostra vita. Tra l'altro il genio è autodidatta, quindi se vieni ricordato per un tuo elaborato artistico non è certo perché hai studiato. La genialità non si coltiva nelle accademie, o è o non è.
Possiamo definirlo una "scoperta" di Vittorio Sgarbi: all'età di 24 anni (2009) è stato infatti ospite della 54a edizione della Biennale di Venezia (esponendo il busto in marmo di Papa Benedetto XVI, scultura poi rielaborata nel 2016): Sgarbi ci ha visto davvero lungo?
Penso che Vittorio Sgarbi, col quale coltivo ottimi rapporti, sia - nonostante la sua apparente anima dittatoriale - il più democratico, inclusivo e meno snob in assoluto dei critici d'arte che siano mai esistiti. Ha sempre dato la possibilità ai piccoli, ed è specializzato nelle tante piccole storie della storia dell'arte che si susseguono dal 1200 ad oggi, e in queste piccole storie si imbatte inevitabilmente in personalità da far emergere. L'intuizione di Vittorio (che non è esclusivamente sua, e vi spiegherò perché) è assolutamente democratica: ha preso Jago - come altri - quando non era ancora Jago, e ha fatto in modo che potesse dimostrare al mondo quello che aveva in sé. Per l'occasione specifica delegò una serie di 50 intellettuali e pensatori, da giornalisti a poeti (incluso Lucio Dalla), nello scegliere un paio di artisti che consideravano significativi, per sottoporli poi all'esame del comunicato di selezione. Non si arrogò quindi il diritto di curatore, ma utilizzò un mezzo altamente democratico, delegando a sua volta la scelta. Ci ha visto lungo sì, ma non semplicemente su Jago, bensì sulla modalità scomposta ma coerente di quella Biennale, che era inclusiva in ogni cosa, pur nelle sue contraddizioni.
Di certo su un punto concorderanno sia i fan che i detrattori. In un colpo solo ha spazzato via quel luogo comune tanto diffuso: "Oggi non si vive d'arte".
Mi viene da commentare con un sorriso sornione, e da "dato di fatto": ma beato lui! Ecco, si parla di fan e detrattori, quindi si evidenzia una scissione, e quando c'è una scissione si capisce che l'artista è divisivo, questo o perché genera emozioni che contraddicono, oppure perché non è un artista. La discussione sull'arte non è meno importante dell'arte stessa - questa è la materia dei critici d'arte – poiché scaturisce ragionamenti, riflessioni, senza le quali l'animo umano non sopravvivrebbe. D'altra parte, a cosa serve l'arte, se non a darci un'opzione alla vita? Anche Pessoa sosteneva: "Se il mondo fosse perfetto, l'arte non esisterebbe".