Mentre Giorgia Soleri diventa giorno dopo giorno l’equivalente contemporaneo di Giovanna D’Arco, e la gente si fa venire le emorroidi per i danni che comporterebbe - per i contagi da Covid - il prossimo concerto dei Maneskin, il volto rassicurante della musica, il giovanilista per eccellenza, il giullare che non riusciamo a scacciare dalle private stanze della nostrana cultura pop, prosegue imperterrito col suo Beach Party. Di chi parliamo? Ma di Jovanotti.
L’articolo che segue non ha la minima intenzione o voglia di eguagliare quello più esaustivo del collettivo Wu Ming uscito all’epoca del primo Jova Beach Party. Scrissi queste parole mesi fa in attesa che si compiesse il disastro, e come brave Cassandre e sciacalli siamo (io e chi sta sopra di me) rimasti in attesa del sicuro passo falso che questa iniziativa delirante avrebbe fatto.
Il Codacons ha spostato il suo occhio di Sauron da Fedez a Jovanotti scatenando un delirio fuori tempo massimo. Carlo Rienzi, presidente del Codacons, afferma che la situazione è intollerabile e che la colpa è dei comuni troppo permissivi; il WWF se ne lava le mani e abbandona la nave che affonda (?), e la gente scrolla su Google la flora e fauna messi in pericolo da questi eventi estivi.
Per dire, a Marina di Ravenna per fare spazio ai due mega concerti, sono stati abbattuti circa 65 metri di tamerici importanti per l’ambiente dunale.
In una estate che promette di essere peggiore di quella del 2003, i danni ambientali perpetrati da questa iniziativa suonano come l’eco di quest’epoca: pronta a depredare tutto e incapace di ragionare su niente.
Un po’ come quei Fridays for Future dove stormi di ragazzini protestando per il cambiamento climatico lasciavano, al loro passaggio, fiumi di bottigliette di plastica a terra in una immagine da incubo migliore dell’ultimo film di David Cronenberg.
Il giorno della liberazione dal lockdown, il 18 maggio 2020, vidi spuntare come funghi nella mia filter bubble, servizi fotografici su grigliate gargantuesche come manifestazione di gioia per esserci svicolati (forse) dalla pandemia o, almeno, dalla sua manifestazione più psicologicamente restrittiva. Trovai il fenomeno inquietante non solo per il mio laissez-faire nella selezione dei contatti, ma perché se siamo arrivati a dovere temere l’aria che respiriamo, come in un bel film di John Carpenter, è proprio per l’abuso che facciamo della deforestazione e degli allevamenti intensivi. I morti, gli ingenti danni economici in alcuni settori, il disagio psicologico per alcuni (ma sollievo per altri) non significavano niente per alcuni di noi; d’altronde le tragedie finché non ci toccano personalmente sono eventi talmente distanti che è stupido preoccuparsene.
Ora che con l’alleggerimento di alcune regolamentazioni e la messa in discussione (almeno da noi) di una quarta dose di vaccino, la "normalità" sembra a portata di mano, ci si riorganizza per riprendere le fila di quella che era la vita nel 2019. Non so voi ma non sento tutto questo bisogno di spacciare per meravigliosa la mia esistenza pregressa, forse lo era, almeno mio padre era vivo, ma ammetto che il lockdown è stata la sospensione che serviva, un modo per mettere un freno a meno nell’economia della velocità e del realismo capitalista, Se c’è stato un risvolto positivo del lockdown è stato sicuramente in termini ambientali. Secondo L’European Environment Agency in Europa l’emissione di gas serra è diminuito del 7.6 %; la qualità dell’aria in Spagna è migliorata con un crollo delle particelle NO2 (ossido nitrico) e PM10 (biossido di azoto) del 61% e in Italia del 48%. Dal punto di vista marino i risultati sono stati altrettanto positivi, grazie a operazioni come "Il mare al tempo del Coronavirus" è stato appurato non solo un miglioramento generale delle acque, ma anche una riduzione dell’inquinamento acustico. Quell’andrà tutto bene ripetuto in looping sembrava promettere se non una società buona e saggia, almeno migliore, un po’ come quei Fridays for Future che si sono protratti in questi due anni e che sembravano ancora più giusti in relazione a una emergenza mondiale. L’articolo potrebbe finire qui con una bella nota positiva come chiusa squisita dopo un cappello introduttivo non altrettanto allegro. E invece no. Quel freno a mano che c’era stato imposto per il nostro bene è già un lontano ricordo, come se avessimo passato gli ultimi due anni in un rifugio antiaereo coi pidocchi e la nostra urina come sostitutivo del the freddo. Già si pensa all’estate grazie alle compagnie aeree che ci ammiccano con nuove allettanti offerte. Molti spingono per ripartire e tra questi promotori della "rinascita", oltre i no vax, c’è Jovanotti.
Non pago delle polemiche, dei danni ambientali (WWF si è premurata di verificare gli eventuali danni post tour?), delle riserve di esperti, opinione pubblica e media, Jovanotti ha annunciato il ritorno del Jova Beach Party lanciandosi nell’ennesimo negazionismo ambientale ma giocando "d’astuzia". "Quest’anno il Jova Beach Party, con la collaborazione di WWF e Intesa Sanpaolo - citiamo testualmente - assume una nuova dimensione per l'ambiente: durante le tappe del tour saranno promosse azioni per difendere e tutelare fiumi, laghi, spiagge e coste del territorio italiano. Per un anno interno, a partire dalla fine del tour, sarà possibile partecipare (chi partecipa, Jovanotti stesso?) a giornate di pulizia in giro per tutto lo Stivale".
Nemico numero uno la plastica: il desiderio è quello di ripristinare oltre 20 milioni di metri quadri tra spiagge litorali, ma anche sponde dei fiumi, laghi e aree naturali nelle zone distanti dal mare. Il calendario prevede interventi (da parte dei volontari WWF? Dello spirito santo?) in almeno 12 macro aree sparse dal nord al sud del Paese (…) è attiva For Funding, piattaforma di crowdfounding di Intesa, una raccolta fondi dedicata con target finale di 5 milioni di euro. Questa "colletta" verrà alimentata sia da donazioni dirette (del pubblico? Che già paga il costo del biglietto!) che dalla prevendita online dei biglietti (Ma quali sono le percentuali?) per le date di quest'estate. Le date sono 21, si è partiti il 2 luglio dalla Spiaggia Bell’Italia a Lignano Sabbiadoro per arrivare al 10 settembre a Bresso.
Ri(party)amo, è questo il concetto ‘divertente’ dietro a quello che sarà a tutti gli effetti l’ennesimo scempio non solo musicale ma, in particolar modo, ambientale. D’altronde a malapena si sa com’è o cos’è un fratino, perciò perché evitare quello che sarà a tutti gli effetti un evento contro l’Italia dei No? Questa Italia fatta anche da volontari che Jovanotti ripagò con l’equivalente di un giochetto che trovi dentro l’happy meal. Mi pare ci siano troppi paradossi: le grigliate post lockdown, la scia di plastica lasciata dai ragazzi nelle città dopo le sfilate per i Fridays for Future, il consumo di tonnellate di CO2 e il dispendio energetico per l’uso dei server che ci permette di pubblicare selfie, post che usiamo per indignarci per la pericolosità della plastica o per testimoniare l’evento post-Covid rappresentato dal Jova beach. Ma il cortocircuito più grande, almeno per me, è rappresentato dalla giustificazione di una idea simile: come può un evento con migliaia di persone in un ecosistema delicato come le spiagge, gli ambienti dunali e sabbiosi rappresentare un modo di tutelare l’ambiente, sensibilizzare il pubblico e difendere la biodiversità? E il tutto con la benedizione di WWF Italia.
Qual è il problema del Jova beach party? Perché non dovrebbe essere fatto e neanche contemplato? La nidificazione del fratino? La musica pessima e fuori tempo massimo fatta da un cinquantenne esaltato? L’ecocidio perpetrato prima e dopo il concerto in quelle operazioni necessarie per la messa in scena e la seguente pulizia? Non ci sono risposte giuste o sbagliate, in misura minore (la musica di quest’uomo) o maggiore (ecocidio), vanno tutte bene. Se neanche il tenero fratino vi smuove qualcosa, dubito che lo faranno gli insetti, crostacei e piante che ‘non vediamo’ e non conosciamo, e tutto quel microcosmo che si nasconde sotto i nostri piedi mentre teniamo il ritmo di ‘Boom’, ebbri della conquistata libertà. “L'ecologia è una scienza, se si trasforma in terreno di scontro di tifoserie è un danno per tutti”, così il cantante aveva concluso un post nel 2019 dopo essersi difeso dalle critiche sostanzialmente con l’equivalente, neanche tanto elaborato, di un “state zitti rosiconi, invidiosi”. E’ interessante, a distanza di tre anni e una pandemia di mezzo, cogliere il cortocircuito nelle sue parole: viviamo un presente dove la scienza è stata totalmente screditata (a danno di tutti), ma viene usata (male) per difendere un evento che qualunque esperto condannerebbe. L’arginare i danni come alternativa a danni maggiori secondo il WWF (della serie: con o senza di noi l’evento si farà) è una soluzione necessaria e sufficiente, eppure le disastrose conseguenze potrebbero essere del tutto evitate spostando i concerti in luoghi più consoni.D’altronde Jovanotti è la solita persona che si rivolse a Matteo Salvini con un “Che le idee danzino è bene”, e il tutto mentre quest’ultimo, con la bava alla bocca, si lanciava nell’ennesima crociata xenofoba (anno 2015). Ma quando abbandoniamo il razzismo, la logica dei profitti, i prezzi dei concerti sempre più alti (in tutta Europa), la qualità musicale, la coscienza ambientalista, cosa rimane? Cosa continua a danzare tra di noi se non una deprecabile stupidità che spacciamo, a noi stessi e agli altri, col nome di ripartenza?