Dieci milioni di dollari sono l’unico ostacolo che separa il pubblico dal cinquantesimo film, probabilmente l’ultimo, di Woody Allen. In un’intervista rilasciata alla testata francese «Le Journal de Dimanche», il celebre regista ha annunciato l’inizio delle riprese a settembre, non appena si risolverà il problema dei finanziamenti. Si tratta di un progetto diverso dagli ultimi film del regista, più simile alla pellicola del 2005 Match Point, la più spietata dell’autore statunitense. Un thriller, dunque, che egli definisce “amoroso e velenoso”, ambientato a Parigi, girato con un cast interamente francese.
La decisione di chiudere la sua carriera di regista, sostiene Allen, è arrivata con la mancanza di quel “brivido” che provava quando sapeva che “500 spettatori lo avrebbero visto una volta” al cinema e non sarebbe bastato aspettare qualche mese per poterlo avere a disposizione in pay-per-view. Ma i finanziamenti per quest’ultima impresa tardano ad arrivare. Com’è possibile che uno dei protagonisti della scena hollywoodiana degli ultimi cinquant’anni si trovi a corto di denaro?
Woody Allen è tra i maggiori umoristi e registi statunitensi. Cultore del cinema classico (tra tutti Ingmar Bergman), nella sua biografia uscita in Italia per La Nave di Teseo, A proposito di niente (2020), scrive che in un’altra vita avrebbe voluto essere Bud Powell, il grande pianista newyorkese, oppure Fred Astaire. I suoi film sono sempre stati considerati un modello di comicità intellettualmente suggestiva e fortemente autoironica, dove ogni personaggio rappresentava, parzialmente, Woody Allen stesso. Nel 1977 dirigerà Io e Annie, con cui vincerà l’anno successivo quattro Oscar. Il successo viene riconfermato con Manhattan, un’altra commedia dalla trama esile ma sostenuta da una sceneggiatura sottile e una colonna sonora imponente (si trattava di Gershwin), e a distanza di anni, nel 1987, riuscirà a ottenere la statuetta per la miglior sceneggiatura originale, con il film Hannah e le sue sorelle. La fama subirà una battuta di arresto a partire dal 2000, nonostante alcuni film con una buona accoglienza di critica e pubblico, come il già citato Match Point e soprattutto Vicky Cristina Barcellona.
Come sottolineato dallo studioso Sam B. Girgus nel suo volume su Woody Allen uscito per la casa editrice Cambridge University Press, The Films of Woody Allen (2002), il successo di questo regista è andato di pari passo con le notevoli difficoltà incontrate a causa della forte identità tra vita privata e pubblica. Sicuramente il caso che esplose intorno alle accuse di abusi sessuali perpetrati da Woody Allen sulla figlia adottiva Dylan Farrow, figlia dell’attrice e sua ex-moglie Mia Farrow, è tra i più esemplificativi. Sempre nella sua autobiografia Allen stesso parla del cortocircuito tra etica ed estetica che lo portò ad avere molti problemi nell’attrarre possibili investitori: “Anche in circostanze ideali, fare un film dignitoso significa attraversare un campo minato. Se si aggiungono altri ostacoli, il traguardo si allontana sempre di più. In questo caso, oltre alle solite ristrettezze di budget, c’è la scarsità di attori disponibili a immischiarsi con un appestato come me.” Ma questo non basta.
Seppur il genere maggiormente prodotto negli Stati Uniti sia il drama (anche per via del fatto che i costi per questi film sono bassi e il genere non è mai stato ben definito), una recente indagine prodotta da Statista ha mostrato come i generi più apprezzati tra il 1995 e il 2022 siano i film di avventura e di azione. I gusti sono cambiati e le scelte, fortemente dipendenti dalle dinamiche di mercato, puniscono i film meno attraenti e allontano il rischio, la scommessa verso opere originali. Oltretutto, la pandemia ha sicuramente smosso le acque, mostrando quanto il sistema hollywoodiano fosse inadatto a mantenere un legame tra il pubblico e la produzione cinematografica, legame che un tempo – nell’epoca della popolarizzazione della cultura (l’ormai proverbiale epoca della “riproducibilità tecnica”) – aveva nei cinema e nelle promozioni-evento il tempio e il rito più importanti per l’intrattenimento accanto alla TV. Ma le piattaforme di streaming e due anni di chiusure, lockdown e strategie di prevenzione, hanno portato alla cancellazione di festival e a posticipazioni di uscite, persino di blockbuster il cui successo sarebbe stato garantito. Inoltre, alcune piattaforme di streaming come Netflix hanno raggiunto un successo straordinario anche nell’ambito della produzione dei film, non solo della distribuzione. Già nel 2019 Radhika Seth si chiedeva su «Vogue» quali cambiamenti e quali sfide Netflix et similia avrebbero posto all’industria cinematografica classica.
Da un lato il mercato, il rispetto di una domanda sempre più orientata verso certi generi; dall’altro una società in cui la pressione di un certo attivismo, a partire dal #metoo per arrivare all’antirazzismo, sta spingendo l’industria verso modi di produzione più equi. A dimostrazione di questo, la mancanza di diversità fa perdere a Hollywood ogni anno ben dieci miliardi di dollari. Gli elementi di cui stiamo parlando si sostengono insieme: laddove la società richiede una ghigliottina, il mercato gliela fornisce, spesso arrivando prima dei giudizi in sede penale. Di recente ha fatto discutere il caso Johnny Deep vs Amber Heard, un esempio perfetto di bilanciamento tra bisogni della società e dell’economia hollywoodiana. Prima l’allontanamento di Deep quando la società ne chiedeva la cacciata, e adesso i tentativi per reintegrarlo dopo la sentenza dello scorso giugno trasmessa in diretta e reclamata a furor di popolo durante tutto il periodo del processo (anch’esso pubblico).
La sensazione è che Woody Allen, come altri grandi, sia stato schiacciato da un cambiamento rapido, lontano dai tempi lunghi – e spesso morti – della riflessione estetica di un tempo, costruita intorno a singoli eventi, concentrati, in cui il pubblico pagante poteva almeno immaginare a cosa andasse incontro. Non si trattava sicuramente di gettarsi a occhi chiusi in un contenitore di migliaia di titoli, di cui nessuno selezionato al momento del pagamento di un abbonamento. Forse l’idea di inserire nelle piattaforme come Amazon Prime una categoria di film a noleggio potrà restituire carattere di eccezionalità alla visione del film, seppur rimanendo a casa. Ma il cinema di Woody Allen sembra rappresentare una concezione della settima arte in declino, un insieme di valori di un impero che Verlaine avrebbe definito “alla fine della decadenza”.