Zerocalcare colpisce ancora con la sua sottile ironia. Un lucchetto come copertina per una denuncia sociale, una rocambolesca storia di sanità territoriale al tempo del Covid. Il consueto accetto romano a colorare le classiche pagine in bianco e nero. Un fumetto dal titolo “Romanzo Sanitario” ma che potrebbe chiamarsi tranquillamente “Non ci resta che piangere”, visti i risvolti tragicomici di questa pandemia. Il centro nevralgico del racconto è il tema dell’anno, la salute. O meglio, la sanità di quartiere.
Spazi, cibo e malattie. In questo lavoro Zerocalcare racconta la storia di un quartiere di Roma per riaprire il presidio della sanità pubblica di Villa Tiburtina, simbolo di tante storie simili in ogni parte del paese. Il diritto alla sanità sembra poi un’utopia. “La famigerata sanità territoriale con cui c’hanno fatto una capoccia così per tutto l’ultimo anno – si legge nelle pagine – Salvo poi non fare un cazzo per rinforzarla”.
La legge, teoricamente, dice che ogni 30.000 abitanti dovrebbe esserci un presidio sanitario pubblico. Lo era Villa Tiburtina. Attraverso le “nuvole” dei suoi cartoni, Zerocalcare riesce a spiegare perfettamente quale sia il problema: “Pensa che stai a parlà con un cojone che non se capisce come ha fatto a sopravvive fino a 37 anni”. Il centro di Tiburtina era davvero un punto di riferimento nel quadrangolo di Rebibbia-Ponte Mammolo. Centro riabilitativo d’eccellenza per malattie polmonari, reparti di fisiopatologia, neurologia e neuropsichiatria. Il commissariamento della sanità del Lazio e i tagli alle spese, però, hanno smantellato l’intera zona chiudendola. Risultato? Per un semplice controllo era necessario andare a chilometri di distanza dal proprio quartiere.
Al lancio della campagna Riapriamo Villa Tiburtina hanno risposto più di tremila persone nella speranza che qualcosa si muova. Ma il problema raccontato da Zerocalcare in “Romanzo Sanitario” risponde tranquillamente a molti casi del genere in Italia. E le parole con cui si chiude il fumetto riassumono un po’ tutto quello che c’è da dire su questa vicenda alquanto strana: “Lo so che a volte si muovono idee narrative noiose come l’apertura di un’asl che tu pensi vabbè questioni di burocrazia. Finché non devi chiamare di corsa il 118 perché tuo figlio non respira dopo quattro mesi di lista d’attesa, o finché non ti parte una piotta perché devi tamponare tutta la famiglia e campi con 500 al mese, finché non ti dicono che si poteva curare se prima ti facevi i controlli. I controlli in culo al mondo a settant’anni se non guidi li fai quando trovi qualcuno che ti ci porta. Ogni bisogno sanitario ha una componente sociale”.