Dici Shimano e pensi al ciclismo. Ma non solo a quello. Pensi al Giappone, pensi a una di quelle aziende che sa fare le cose per bene, meglio degli altri, il cui nome, da solo, è come un sigillo, un attestato di qualità. Ve lo ricordate Giorgio Mastrota quando vendeva i materassi? Assieme a un matrimoniale - o forse erano pentole? - vi regalava anche una bici. Una mountain bike (“‘rampichino” si diceva, all’epoca, dalle mie parti) con cambio Shimano a 18 velocità. Mastrota lo sottolineava, mentre lo raccontava, batteva la mano sulla sella della bici: Shimano, caspita, come i cambi dei campioni, roba bella! Poi tu lo sapevi che era uno specchietto per le allodole, o almeno, ti dava quella impressione, sembrava come quelle cose che trovi al mercato, con l’adesivo di una marca famosa sopra, che non ti fanno tanta voglia. Ma in realtà non era così, perché quel cambio lì era davvero fatto con tutti i crismi di questo mondo, c’era davvero, dietro, un’azienda che ci teneva, a che tu avessi, anche con la tua bici in ghisa vinta coi materassi, un sistema che funzionasse a modo, visto che c’era il suo nome sopra.
Perché i giapponesi non sanno dire di no, prendono i biglietti da visita con due mani, ma quando c’è da mettersi a fare una cosa, mollali proprio. È per questo che i cento anni di Shimano, in questo 2021 che sa di rinascita (speriamo), rappresentano proprio una di quelle storie in cui è bello perdersi e che ci rendono tanto simili, italiani e giappi, senza che ce ne rendiamo conto.
Perché Shimano è prima di tutto un’azienda di famiglia. Fondata a Sakai, da Shozaburo Shimano, chiamata Shimano Iron Works, inizialmente produce meccanismi a ruota libera per biciclette. Sembra la storia di un’azienda veneta, della Brembo, di quelle eccellenze lì, che in genere sforniamo noi. Ma qui, oltre al genio, sulle spalle c’è la testa di un giapponese. Ed è così che, nel giro di 20 anni, Shimano arriva a contare oltre 300 impiegati, dando alla luce, nel 1957, il primo mozzo a 3 velocità con cambio integrato 3.3.3. Un’innovazione per quei tempi che lancia l’azienda, dopo anni da leader nel mercato di mozzi e delle ruote libere, in quello della demoltiplicazione della pedalata, dando inizio all’epoca del “cambio”.
Nel 1965 Shozaburo e i suoi uomini sbarcano negli Stati Uniti e nel 1972 conquistano l’Europa, stabilendosi a Düsseldorf, in Germania. Ma è il 1973 a segnare la svolta, sul fronte dell’immagine, con l’ingresso nel settore agonistico. In un mondo dominato, fino a quel momento, da francesi e italiani, Shimano presenta il primo gruppo di componenti per la competizione su strada: il DURA-ACE. Ora, come spiegarvi cosa vuol dire, ancora oggi, DURA-ACE? Premesso che si tratta dello stesso nome con cui, pure nel 2021, Shimano identifica il più pregiato dei suoi “gruppi” (come li chiamano gli appassionati di bici), fate conto che sia come parlare, che ne so, di un Daytona. Cioè, se tu ti compri la bici e sopra ci fai montare il DURA-ACE, beh, tanta roba. Perché la cosa che è successa negli anni a seguire, quello che nessuno, nel 1973, avrebbe potuto immaginare, è che quel nome e il nome degli altri gruppi che da lì in avanti sarebbero stati partoriti dalle fervide menti di Shimano, sarebbe diventato una vera e proprie icona. DURA-ACE, Ultegra, 105 e poi giù giù, fino al Tourney e Claris, passando per il Tiagra e il SORA: esiste un mondo, là fuori, di gente che, con uno sguardo, è in grado di capire quale di questi componenti sia montato sulla vostra bicicletta e, di conseguenza, di classificarvi all’interno di una gerarchia che è fatta di iper competizione, anche davanti al bar. Un cambio di paradigma, insomma, per chi è partito con l’idea di produrre oggetti che avevano il solo scopo di far funzionare meglio una bicicletta e che, a distanza di qualche decennio, si ritrova per le mani un’azienda che da forma a veri e propri status symbol, aggeggi tanto pop da servire a Mastrota a vendervi le pentole (o erano materassi?).
La storia di Shimano e delle sue innovazioni è proseguita, ovviamente, oltre il 1973. Nel 1982 viene lanciato sul mercato lo Shimano Deore XT, il primo gruppo al mondo pensato per la pratica della MTB, disciplina che si andava velocemente affermando su scala mondiale e che aveva bisogno, per la tipologia di utilizzo della bicicletta, di componenti dedicati, robusti e con precise specificità di funzionamento. Nel 1986 viene creato lo SHIMANO 105 e il sistema di freni a risposta lineare (SLR), quelli che chiunque di noi ha usato, se ha avuto una mountain bike priva di freni a disco, negli ultimi tipo 40 anni. Nel 1991 arriva il primo gruppo pensato specificamente per chi pratica attività agonistica con questo tipo di bici - l’XTR - mentre l’azienda continua a crescere, arrivando, all’inizio del nuovo millennio, ad aprire nuove filiali a Shanghai, a Taiwan, in Repubblica Ceca e in Francia. Nel 2010, Shimano dà vita a SHIMANO STEPS, divisione che si occupa della realizzazione di componenti per le biciclette a pedalata assistita. Nel frattempo, sul mercato, nascono e si sviluppano i sistemi di cambiata elettro-attuata, che fanno il loro debutto anche tra i gruppi Shimano. È del 2020, infine, il nuovo sistema eBike Shimano EP8, in grado di portare a un next level i sistemi hardware e software utilizzati in questo particolare segmento di mercato.
Cento anni di storia, insomma, di intuizioni, di vicende umane, ingegneristiche, di piccole grandi rivoluzioni che hanno provocato un impatto su milioni di persone, tra appassionati e semplici utenti. Un capitale di inestimabile valore, che segna la differenza tra una filosofia da abbracciare con entusiasmo e il prodotto senz’anima di qualche fabbrica nata per il mero volere di un qualche fondo di investimento. Pensate a questo, pensate a Shozaburo e anche un po’ a Mastrota, la prossima volta che cambierete marcia, all’inizio di una salita.