È cominciata con i programmi tv, è finita con i podcast. Tanti podcast. La cronaca nera ha avuto molteplici vite: dalla tv di Carlo Lucarelli, passando per lo sfruttamento intensivo e spietato di telegiornali e trasmissioni del daytime, fino ai canali YouTube. L'ultima incarnazione sono i podcast true crime, talvolta derivazione proprio di quei canali YouTube che hanno aperto la via. La rete pullula di morti misteriose, assassini dal passato torbido, circostanze misteriose che aspettano solo di essere svelate. Un'invasione di morte con un'infausta, sciagurata conseguenza: l'amico che non si lascia abbindolare, tizio non è innocente; e lui lo sa perché ascolta i podcast true crime. Nella versione alternativa, l'amico è convinto che tizio sia stato accusato ingiustamente, ma prima o poi giustizia sarà fatta. Li chiamano “true crime”, a sottolineare l'aspetto di veridicità dei fatti: di “true” c'è che qualcuno ci ha lasciato la pelle, ma la maggior parte delle volte si tratta di una narrazione fine a se stessa, con la morte divenuta contenuto di intrattenimento. Perché se va bene, li conducono dei giornalisti; se va peggio, qualche appassionato del genere che non pratica né deontologia né criteri di notiziabilità, tantomeno selezione delle fonti o semplice discernimento di quelle fonti. Su questa deriva si giocano due serie molto diverse tra loro: Bodkin, da ieri su Netflix, e Based on a true story su RaiPlay. Entrambe disponibili in lingua originale con i sottotitoli, così Elio Germano è contento.
In Bodkin viene messo in evidenza proprio il contrasto tra la giornalista che cerca la verità e i due colleghi podcaster, che invece vogliono solo creare un prodotto da ascoltare in macchina. Siamo in Irlanda: i tre indagano su un vecchio caso di sparizioni nella sperduta cittadina di Bodkin, ma se la giornalista punta a risolvere il caso, gli altri solo a raccontare una storia. Questa differenza di approccio percorre l'intera serie: “A me servono diversivi, piste false, creare suspense: le cose che alla gente interessano davvero”, sbotta a un certo punto uno dei podcaster. Più virato sui toni della commedia, Based on a true story; del resto qui la protagonista è Kaley Cuoco, l'ex Penny di The Big Bang Theory. In questa serie però, la critica al true crime è incentrata sul suo pubblico: Ava, il personaggio interpretato dalla Cuoco, è un'accanita ascoltatrice di podcast. Al punto da convincersi di poter scoprire l'identità di un serial killer che si aggira in città: la sua missione diventa trovare quel nome, basandosi su indizi e ragionamenti che ha ascoltato tante volte nei suoi amati podcast. Senza più distinguere la realtà dal true crime, Ava sgrana gli occhi, si cala nel ruolo di investigatrice e crea il suo podcast. Titolo della puntata, non senza ironia: La vera forma d'arte americana. Soldi, sesso, sangue: secondo il giornalista tedesco Alex Spiegel le tre “s” erano i fondamenti della carta stampata. Vale anche per il true crime, ma sarebbe bello se a fine puntata venisse inserito un disclaimer: “La laurea in criminologia non si prende ascoltando gente che vi parla di crimini mentre correte o siete seduti sulla tazza del cesso”.