Altro che Londra ‘77! Il punk è germinato nei primi anni ’70 sui palchi e nei cessi del CBGB’s e del Max’s Kansas City, tra musicisti, artistoidi, poeti e tossici della Bowery e di Alphabet City, in quella New York brulicante di selvaggia creatività, ancora incolume dalla Tolleranza Zero di Rudolph Giuliani. È vero che come fenomeno mediatico sia esploso in Uk: lo dice anche Anarchy in U.K. dei grandiosi e irripetibili Sex Pistols. Ma io sono qui per rimettere ordine, soprattutto dopo che la patacca del punk viene appiccicata su qualunque "zio" o "bro" dell’autotune che sfoggi capelli colorati, capezzoli con piercing e tatuaggi in quella bolsa frittoteca che è la kermesse sanremese. La parola dunque a Marky Ramone, ex-batterista dei Ramones, che abbiamo incontrato a Milano prima del concerto (stasera 9 luglio) al Circolo Magnolia con i suoi Blitzkrieg, che ci racconta come sono andate veramente le cose.

Marky, da queste parti sono parecchi i millantatori - snob filo-britannici - che ascrivono il cosiddetto punk a un fenomeno fatto di spille da balia, capelli saponati, tra King’s Cross e il Big Ben, esploso nella famosa estate calda del 1977. Tu cosa gli rispondi?
No! Il punk è nato a New York, anni prima. Quando i Ramones suonarono a Londra nel ’76, erano presenti Joe Strummer dei Clash, Steve Jones dei Sex Pistols, i Damned e tutti gli altri che dichiararono più volte che, senza i Ramones, le loro band non sarebbero nate. Tanti inglesi millantano la paternità del fenomeno: ma sono solo stronzate. Loro hanno avuto le radici nei Dr Feelgood, nel pub-rock e certo glam. Ma anche Bowie ha preso da Iggy e da Lou Reed. Per non parlare dell’influenza di band seminali americane come Stooges, Mc5, Modern Lovers e New York Dolls che successivamente hanno ispirato così tanti musicisti del punk britannico, tra cover e tutto il resto.
E invece per quando riguarda certa estetica? Raccontaci del futuro manager dei Sex Pistols, Malcolm McLaren, e di come abbia scopiazzato dalla tua New York, in cui lui ha vissuto, fino a qualche anno prima.
Sì, Malcolm McLaren cercava inutilmente di rilanciare i Dolls, ormai allo sfascio e in preda alla scimmia del buco. E intanto frequentava il CBGB’s, facendo in tempo a notare Richard Hell coi suoi capelli sparati in aria e gli abiti strappati: look che ispirerà, senza credits, la sua sodale stilista Vivienne Westwood, i loro Sex Pistols e tante altre band inglesi.
A livello di attitudine, possiamo considerare il punk come un sequel destrutturato del vostro rock’n’roll, del folk ribelle, del country dei fuorilegge, del blues dei nipoti degli schiavi e di certo bubble-gum pop?
Sì da Eddie Cochrane, Little Richards, Jerry Lee, Leadbelly, alle Ronettes. Anche la prima ondata della British Invasion, dagli Stones ai Beatles, attinse da Chuck Berry, Buddy Holly, Elvis Presley, dagli Everly Brothers. E al contempo le tante grand band britanniche del periodo ispiravano tanto oscuro garage del Midwest: possiamo dire che da entrambe le sponde dell’Atlantico si sono sempre prese e scambiate idee. Ma il punk è comunque nato negli Usa.
Noto che in ogni foto dal Cbgb’s o dal Max, musicisti celebri come Ramones, Blondie, Talking Heads, Patti Smith o Television posano tranquillamente mischiati al pubblico. Com’era possibile?
Fino al ’76 e inizio del ’77 ci esibivamo spesso lì, erano club minuscoli. Poi tutti noi siamo diventati famosi e sono iniziati i tour e i palazzetti. Ma non siamo mai state rockstar da ville, corna e chitarre a freccia. Tutti noi siamo rimasti dei semplici musicisti, appunto dei punk.
Una domanda stupida, ma necessaria. Quando suonavate in Inghilterra in quel ‘77, che c’era ancora quell’insana mania di sputare alle band: avevate l’ombrello?
No e a loro piaceva bere e donare catarro malato sul palco. Quei ragazzini ci facevano davvero incazzare e venivano presi a chitarrate in faccia. Fecero diventare violento pure l’apparentemente tranquillo Robert Quine dei Voivods.

Ci parli delle infinite session per l’album End of the century a Los Angeles? Con quel pazzo perfezionista del Wall of Sound, Phil Spector e suoi strani capelli.
Lui era indubbiamente un folle, oltre che un genio, ma anche un amico. Bevevamo insieme. Ci siamo divertiti a incidere quell’album, io e lui. A differenza di Johnny e Dee Dee che non ci andavano d’accordo. Io e Phil ci rispettavamo, lui era del Bronx, io di Brooklyn. Ci faceva suonare tante volte lo stesso pezzo. Dopo nottate intense sul Sunset Strip, al Troubador e al Roxy, ci toccava alzarci all’alba per continuare le registrazioni. Ma non ci ha mai puntato la pistola, come si dice in giro.
E invece del tuo periodo nei Voivods col mitico Richard Hell? Hai partecipato a quel disco epocale che è Blank Generation.
Sì, registrato negli Electric Lady Studio di Jimi Hendrix, a fine luglio. Prendevo il treno fino a St. Mark Place e suonavamo fino alle 5 del mattino. E quando tornavo a casa, leggevo i giornali, anche il giorno in cui è morto Elvis: il nostro disco stava per uscire ed era così straniante quella notizia, mentre osservavo la gente che andava a lavorare.
In quegli anni, era davvero così rischioso uscire in piena notte dal Cbgb’s?
Ti trovavi circondato dalle peggiori gang, da spacciatori, junkie disperati che davano la caccia a ragazzini, studenti e gente che magari andava lì per divertirsi. Quindi decisamente sì.
Eri amico di Johnny Thunders dei New York Dolls e degli Heartbreaker? Lo sai che era di origini siciliane?
Certo, siamo nati lo stesso giorno e lo stesso anno. Eravamo parecchio amici. Festeggiavamo il compleanno assieme. Una volta c’erano anche Richard Hell e Jerry Nolan e li ho accompagnati fino all’Avenue A, dal loro pusher. A loro piaceva l’eroina. A me no. E, come regalo, mi toccò fare il palo in quell’inferno di via.

A proposito di ex-fattoni, ma di marca: racconta degli allora giovani pazzi Red Hot Chili Peppers, ancora col chitarrista Hilell Slovak, che piombarono nudi sul vostro palco e di Johnny che se la prese parecchio.
E aveva ragione: chiunque di loro poteva spogliarsi e mostrarti il caz*o. Li avevamo avvisati di non farlo e loro come se niente fosse lo hanno fatto. Tutto ciò non ha a che fare con la musica.
Tu vivi in italia?
Ho una casa in Toscana. Ma ora me torno a New York che qui fa troppo caldo.
Hai notato che qui diciamo Ramones e non R’mons. Ti piace questa pronuncia esotica di un nome comunque dal suono ispanico?
Perché no? Ci sta perfettamente. Anche il mio inglese non è perfetto, visto il mio forte accento di Brooklyn.
Voi avete suonato a Sanremo, nel settembre del 1980. Sai qualcosa dell’omonimo Festival della Canzone Italiana?
No.
E cosa ne pensi dell’auto-tune in voga tra giovani trapper nostrani? Tu lo useresti?
No, assolutamente. Escono fuori voci tutte uguali. Già la vita cerca di omologarci. Almeno teniamoci le voci diverse.
