Steve Albini, produttore e musicista icona del rock contemporaneo, è morto il 7 maggio 2024 di attacco cardiaco. MOW ne ha dato notizia con un articolo di Michele Monina. Il sottoscritto da qualche tempo aveva nel cassetto un'intervista con Albini in occasione dell'uscita del nuovo disco degli Shellac, prevista per il 17 maggio. Una chiacchierata generale, dalla musica alla politica. È una delle ultime, forse l'ultima intervista al produttore di Chicago. La propongo ora, qui.
bg
Robert Plant dei Led Zeppelin è uno «Talmente incantato dalle scoregge che lui stesso fa che alla fine lo ammiri»
Steve Albini non fa il simpatico. È pacato, analitico, parlare con lui è come guardare video tutorial del suo studio Electrical Audio (Chicago, Illinois) ove si spiega come allineare più fonti sonore mantenendole in fase. Se deve dire una cosa sgradevole non si dispiace e non di compiace. La dice.
Non si considera un produttore, anche se lo è (cos’è il produttore in musica? È come il regista nel cinema e Albini, poche storie, è il più grande dell’ultima stagione creativa del rock, da In Utero dei Nirvana in poi). Si considera un semplice tecnico del suono, anche se in fondo non è solo quello. A proposito del suo lavoro dice: «Dopo tanti anni non mi eccita. Certo lo considero un lavoro molto soddisfacente, e ne sono contento, ma dire che sono eccitato a riguardo, decisamente no».
Sugli Steely Dan, divinità nell’empireo di produttori, discografici e musicisti, ha twittato, facendo incazzare mezzo mondo, che hanno sprecato tanta fatica e tanto snobismo «per suonare come una band-spalla del Saturday Night Live». Considera la voce di Robert Plant dei Led Zeppelin «irritante», anzi, considera Plant uno «Talmente incantato dalle scoregge che lui stesso fa che alla fine lo ammiri». E sì che con Plant e Page ha registrato un disco.
In sintesi Albini è uno che se fotte con umiltà creativa: paga una certa libertà restando fuori dallo starsystem, lavora con gruppi antipop (in Italia è giusto citare i catanesi Uzeda) e rifiuta lavori con grandi star.
Infine Albini è tenace nel delirio. Ha la passione per la cucina, in rete si trovano video in cui insegna come fare il kopi luwak, caffè digerito e defecato da uno zibetto. Delizioso, pare. È un un giocatore di poker professionista. Integra i guadagni di produttore e ingegnere del suono vincendo tornei internazionali.
Quando lavora indossa una tuta da meccanico blu. È iconico anche per questo. Come cantante, autore, chitarrista ha fatto capolavori post punk. Uno dei preferiti di chi scrive è il primigenio e violento Songs about fuc*ing, dei Big Black (1987). E poi ci sono i lavori degli Shellac, potenti e coerenti. Il prossimo, To All Trains, è in uscita il 17 maggio.
Sui Nirvana ha detto che gli sembravano i Rem con un fuzzbox. Severo con i Nirvana. E con i Rem
Hai avuto una carriera lunga, soddisfazioni non solo come produttore o ingegnere del suono, ma anche come autore e come musicista. Dopo tanti anni cose senti di dover dire alla tua audience?
Non penso in questi termini. Se lavoro alla mia musica con gli Shellac non penso affatto all'audience, penso a seguire l'impulso creativo. Mi chiedo: ma come gruppo, stiamo facendo l'esperienza che vogliamo fare?
E la state facendo ancora?
Ogni volta che suono sono contento, ogni volta che scrivo un pezzo sono contento di essere nel gruppo. Ogni volta che salgo sul palco è l'ora migliore della mia settimana. Non lo faccio per voi, lo faccio per me.
Tipo tredicenne?
In tutte le band che cominciano a suonare c’è un atteggiamento tipo: vi fa schifo la nostra musica? Bene, noi ci sentiamo più fichi di voi. Mi pare un atteggiamento onesto, no?
Sì. Onestà per onestà: dei Nirvana hai detto che all’inizio ti sembravano i Rem con un fuzzbox. Severo con i Nirvana e con i Rem.
Ammetterò che all’inizio ero sordo al fascino dei Nirvana. Ho modificato la mia posizione col tempo, conoscendo la loro musica e conoscendoli come persone. Ma alla fine è un'esperienza normale, giusto? Più sei coinvolto in qualcosa a livello personale più significa per te. Il mio apprezzamento per la band e la loro musica è cresciuto “on exposure”, ma inizialmente, qualunque cosa fosse che li ha fatti amare immediatamente da tutti, non capivo quella cosa, no.
Già da In Utero dei Nirvana la tua diffidenza nei confronti del mondo della grande industria musicale è nota. Non hai mai abbandonato ambienti e atteggiamento underground, che è un po’ la tua “ursuppe”. Ci sono band e artisti che sono diventati mainstream ma che conservano rispetto per le proprie origini uderground?
Penso che i White Stripes fossero una grande band. Facevano grande musica, venivano dalla scena underground e hanno ricambiato l’underground. Jack White con la Third man records ha cercato di restituire qualcosa alla scena che li ha prodotti, Non si è è limitato a fare il vampiro come molti, a succhiare fama danaro dal sistema. Ecco, penso che la sua sia una carriera rispettabile. Come quella dei Sleaford Mods, che venivano da un ambiente semiclandestino da classe operaia inglese, e una volta raggiunto il successo stanno dando una mano a quello stesso ambiente, aiutando altri gruppi a farsi conoscere, eccetera…
"Penso che Spotify sia un'azienda terribile. La musica della mia band non appare su Spotify e non voglio avere niente a che fare con loro"
Che ne pensi del mercato attuale della musica? Spotify è una specie di nuovo monopolio peggiore delle care vecchie major?
Be’ sappiamo tutti che ha creato un trust con le grandi etichette discografiche e stia sfruttando l'accesso esclusivo ai cataloghi. E che lo fa a beneficio di se stessa, e senza pagare il giusto agli artisti. Penso che questo sia uno sviluppo terribile. Penso che Spotify sia un'azienda terribile. La musica della mia band non appare su Spotify e non voglio avere niente a che fare con loro, sia chiaro.
Ok, c’è altro?
Detto questo, ci sono moltissimi modi arrivare al pubblico senza Spotify. Non serve Spotify per creare un pubblico di molte migliaia di ascoltatori in tutto il mondo, indirizzarlo ad acquistare i biglietti per i tuoi concerti, vendere il merchandising dal tuo shop online. Bisogna darsi da fare, ma ora le cose sono più facili per i musicisti underground e sperimentali, persone senza finanziamenti e senza pubblico. Ora posso trovare un pubblico per quella musica in un modo che era impossibile 25 anni fa.
L'underground non devi cercarlo nel tuo paese, devi cercarlo in tutto il mondo
Parli di underground, capisco, e apprezzo la coerenza. Ma esiste ancora l’underground?
Non devi cercarlo nel tuo paese, devi cercarlo in tutto il mondo. Non hanno più senso le identità geografiche come quando negli anni 70, 80, 90 andavi in giro e nelle varie città trovavi scene diverse. Ora l'identità è più filosofica, la “confraternita” si basa sul tipo di musica, di politica, sul tipo di influenze che hai, e non sulla tua posizione fisica. Io mi sento davvero parte della scena musicale che supporta la musica sperimentale, la musica underground, e in molti casi la musica politicamente allineata con la sinistra, ok? Ma sento che il senso di comunità è internazionale. E se dovessi nominare le persone che io, io, penso facciano parte di questa comunità, sarebbero in molti paesi diversi.
Un’internazionale underground…
C’è sempre stata un’alternanza tra la standardizzazione pop e le identità particolari. Negli anni '50 e '60 il pop è diventato universale. Negli anni '60 e '70 invece le band psichedeliche in Inghilterra e nella West Coast avevano una forte identità locale. Negli anni '70 e '80 c’è stata una normalizzazione planetaria dell’hard rock. Poi il punk ha separato le cose di nuovo: c’era un punk europeo molto diverso a seconda dalle città di provenienza. Oggi non è più questione di località, ma di cultura. Io seduto qui a Chicago posso ascoltare e sentirmi un buon amico per esempio di una band di Cuneo. Facciamo parte della stessa scena.
Porti avanti da sempre quest’idea che la musica non sia una cosa a sé, non sia un’esperienza estetica “separata”, ma una forma sociale. Il che succede nelle tribù urbane ma anche nelle culture popolari, tradizionali…
Ma sì, è un continuo costruire un senso di comunità, cosa che penso sia presente nella cultura tradizionale, come c’è, ad esempio, nella scena punk. In ogni disco, ogni spettacolo, ogni nota della chitarra, era tutto parte di una cultura, di una scena a cui partecipavo. Non vedevo la distinzione tra pubblico ed esecutore. Un po’ come se fossimo tutti allo stesso concerto. Vogliamo tutti che sia fantastico. Sai, stiamo vivendo tutti la stessa esperienza.
"Io non sono contro Autotune"
Per questo dici che quando registri una band non ti ci vuoi mettere di mezzo, dare suggerimenti?
Quando una band viene in studio ha un'idea del proprio sound e della propria musica. E per loro quello stile è tendenzialmente perfetto. Quindi il mio lavoro come ingegnere del suono è riprendere quello che stanno facendo e trasferirlo a tutti coloro che vogliono ascoltare. Cambiare delle cose, aggiustare, migliorare altre cose è tutta una proiezione mentale piuttosto egoista. In realtà se lo fai distruggi qualcosa che prima era puro.
Mmm, ma un suono alla Steve Albini c’è però. Le cose dei Nirvana che hai fatto, gli Shellac, i Jesus Lizard, altri. Le batterie con tanto ambiente, le chitarre “ferrose” e a fuoco, il basso che è il contrario dei bassi pulitissimi e full range degli anni '80.
La presunta "personalità" sembra che emerga perché ho lavorato su alcuni dischi che avevano un suono distintivo, quindi le persone vengono da me e dicono: ci piace questo suono specifico. Così nasce l'impressione che esista un "suono Steve Albini". Ma in realtà non è così. O almeno spero. Spero di fare sempre qualcosa di "organico", coerente con l'artista o il gruppo che registro.
Nelle interviste dici che ti piace un’estetica “naturalistica”. Ma non si parla di flauti o arpe, si parla di chitarre elettriche. È un suono già manipolato in origine. Che naturalismo è?
Intendo che l'esperienza di ascoltare il disco dovrebbe evocare la sensazione di ascoltare la musica dal vivo. Ciò non significa che non ci siano artifici che non sia stata applicata alcuna “magia” in studio. Ma l'idea è: se entrassi nella stanza mentre la band sta suonando, cosa sentiresti? E per rendere uguale l'esperienza dell'ascolto a casa, o per evocare la stessa sensazione come se la band fosse davanti a te in questo momento. È questo che intendo per naturalistico.
Spesso hai detto che non ti ritieni un produttore ma un tecnico del suono. Sei un operaio della musica? Metti la tuta da meccanico per questo?
No, è solo funzionale. Ha abbastanza tasche per contenere tutti gli strumenti che uso: penne, cacciaviti, ecc ecc…
Nelle tue interviste dici che in ogni ambiente e con ogni tipo di attrezzatura si può fare una buona registrazione, che non serve niente di lussuoso…
Bè, quando ho iniziato usavo un registratore a bobina a quattro tracce e quattro microfoni, e sì, è possibile fare un disco in quel modo. La cosa più importante è usare le cose entro le proprie capacità. Quindi, se hai un ambiente di registrazione molto morto, molto secco, privo di atmosfera e senza riverbero, devi usare di quel suono. Puoi aggiungere riverberi ed echi artificiali alle cose dopo il fatto, ma di solito sono abbastanza evidenti. È abbastanza ovvio che si tratta di una cosa fasulla. Quindi meglio sintonizzarsi con quello che si ha.
Che ne pensi della “loudness war”? Pensavamo fosse finita e invece è più forte che mai. Il volume medio dei brani che escono ultimamente è mostruoso. Non c'è dinamica. Dopo pochissimi minuti di ascolto ci si stanca.
Anche io penso che sia distruttivo come hai notato. Rende difficilissimo ascoltare la musica, e non suona bene. Ma è il suono popolare oggi: quando ascolti un pedale Wha e una chitarra psichedelica pensi immediatamente a una certa era della musica. Quando senti gli archi e la batteria da discoteca, pensi subito all’epoca della disco. Quando senti una chitarra acustica e Bob Dylan che canta pensi a una certa epoca della musica. Il sound di questo momento rimarrà nelle persone come un ricordo, come una memoria sensoriale. Tra vent’anni anni ascolterai questo tipo di produzione super compressa, densa e penserai, oh, sì, ricordo quando ero a scuola o ricordo quando ero in un taxi.
Autotune è un imbroglio per correggere chi non sa cantare intonato, o un mood della musica di oggi allora?
È certamente un mood. Io non sono contro Autotune. Stiamo entrando nel secondo decennio dall'avvento di Autotune. A questo punto penso che possiamo accettare che sia un altro elemento, significativo come un organo, una chitarra eccetera. Usi questo suono perché ha un significato per te, e allo stesso modo useresti una chitarra slide perché implica il blues. O un organo perché ricorda una chiesa, oppure useresti un pianoforte perché ricorda una sala da concerto. Oppure, magari. E questo è tutto. È perfettamente legittimo usare Autotune.
Trump ha dato energia alla parte socialmente pazza del Gop. Biden non è in grado di mettere in fila i pensieri
Mood del tempo per mood del tempo. Sei sempre stato, anche, attivo politicamente. Qual è, ora, il mood politico negli Usa? Qualcuno parla di un paese potente fuori ma stressato dentro. È così?
Sì, ma è un elemento strutturale in Usa che il governo federale sia molto debole. Ed è altrettanto strutturale che i governi locali siano in contrasto tra di loro e col governo federale. E poi il sistema elettorale, come vengono disegnate le mappe, il sistema dei grandi elettori. C’è molta debolezza politica in Usa.
Ci sono sofferenze sociali?
C'è davvero un po' di sofferenza per le scuole, per gli ospedali, per la guerra. Ma le principali battaglie culturali al momento riguardano l’identità.
Cioè?
I repubblicani sono anti-immigrazione e si oppongono all’autodeterminazione per le persone trans e per le donne incinte. Questi sono tutti sviluppi recenti e sono tutti basati su un Partito Repubblicano che si è radicalizzato dall’avvento dell’era Trump. Donald Trump ha dato energia alla parte socialmente conservatrice e pazza del potere del Partito Repubblicano.
E sì, vedo che c'è qualche problema. D’altra parte ogni volta che vedo Biden mi chiedo quanto sia lucido
Non è molto persuasivo. È vecchio. E a volte non è in grado di mettere in fila i pensieri. Non è una persona lucida. Ma come democratici è tutto quello che abbiamo al momento, you know…
La politica italiana ha dei lati positivi. Sembra caotica, ma ha più rappresentatività di quella Usa
Tocca tapparsi il naso e votare il meno peggio come nella grande tradizione italiana?
Già, ma sai la politica italiana ha dei lati positivi. Viene spesso descritta come un sistema caotico, con tanti partiti governi di coalizione casuali. Ed è senz’altro così. Ma c’è qualcosa che mi piace in questa identità pluralistica.
La rappresentatività?
Se hai un numero sufficiente di persone puoi far avanzare un’idea, se pur nel disordine puoi fare un partito. Certo, in questo momento è un problema, con questi fascisti moderni che sono al potere, e bisogna prenderli sul serio. Ma nel sistema italiano non ci sono le chiusure di quello americano.