Ci voleva Baricco per far sì che Fazio potesse condurre una buona intervista a Che tempo che fa. Cioè uno scrittore che si intervistasse da solo. Il conduttore, certo, ha fatto delle domande. Anzi, avrebbe fatto meglio, nella maggior parte dei casi, a evitarle. Chi le ha scritte per lui, o lui stesso, evidentemente ha pensato di poter parlare blandamente dell’opera e del pensiero di uno dei più grandi scrittori italiani viventi, replicando sul fronte opposto lo spirito liquidatorio dei suoi detrattori; cioè parlando dei suoi libri senza averli davvero letti. Il riferimento più grave è ai “barbari” di Baricco, che ora, dice Fazio, sembrano quasi dei “gentleman” in questo periodo conteso. Senza pensare neanche per un attimo che quei barbari non sono solo un popolo, qualcosa che invecchia, che si normalizza, ma un’espressione della novità mal compresa e mal sopportata da chi, come Fazio, inizia a tentennare sulla strada del progressismo colto, finendo per rintanarsi in una nostalgia da cui Baricco ci mette in guardia. Così quelli della sua generazione, sua di Baricco o sua di Fazio, dovrebbero evitare di parlare dei bei vecchi tempi andati, della bolla dei social, di smartphone e di quanto fosse meglio la frugale ignoranza o l’indottrinamento gentile di un mondo acquistato dai genitori per i figli quasi a scatola chiusa (non tutti capivano la metà di ciò che i figli assorbivano da istituzioni e comunità di riferimento). Dicevamo, l’intervista Baricco se l’è fatta da sola. Non perché Fazio non abbia posto delle domande, ma perché Baricco, lui, lo scrittore, rispondeva scrivendo. E scrivendo finiva per riempire gli spazi bianchi tra le righe con domande più serie e importanti di quelle poste dalla macchina televisiva messa in moto per ospitarlo. Lo scrittore è quasi sempre più grande dello schermo. Come grande è quanto ha espresso, cercando di spiegare cosa sia la paura e da dove arrivi e perché la causa, quella sì, faccia ancora più paura. L’assenza di desiderio, non l’assenza di coraggio. Mancare di desiderare e tappare i buchi lasciati dalla nostra imbecillità di soggetti desideranti con volanti autoriscaldanti eccetera è la tragedia. E dà una botta alla cassa di risonanza della falsa virilità, quella che non distingue tra senso di responsabilità (sano) e titanismo da bodybuilder (malato).
È vero, Baricco parla della malattia, ma anche di molto altro. Del corpo che si riprende e del corpo che prima non capiva più niente, in quest’ordine, cioè quello giusto, che non è quello cronologico, è quello del racconto e il racconto parte dalla penna, dalla voce di chi lo racconta, quindi da dopo, quando la storia è finita. L’obiettivo di Baricco era, dice, di andare a Che tempo che fa, va bene, ma senza spaventare gli spettatori con la leucemia. Ci riesce perché è uno scrittore, perché, appunto, sa dare l’idea che quella storia (che poi non finisce mai davvero) sia finita. En passant si dice orgoglioso del suo matrimonio, altra puntualizzazione che risulterà inutile ai più che si aspettano dagli irregolari che siano sempre più irregolari e dai regolari (che si sposano!) che non siano interessanti. Peccato che Baricco si senta, in fondo, rientrato in quella normalità che fino a poco tempo fa lo vedeva come nemico, lui uomo di successo, scrittore unico e incredibile, lui che aveva tutto. Peccato che Baricco renda questa normalità interessante. Non che la normalità non lo sia, in sé. Ma non tutti lo capiscono. Lui lo rende comprensibile senza spiegartelo. Ecco, te lo racconta. La narrazione, domanda difficile costruita per poter parlare di altro. Fazio era così convinto che avrebbero parlato di altro e non di narrazione che poi della risposta di Baricco non capirà niente. La narrazione è parte della realtà insieme ai fatti. I fatti senza narrazione non esistono, dice, la narrazione senza i fatti è arte. Dice. E ricorda un passaggio dell’ultimo libro di Martin Amis, quel capolavoro che è La storia da dentro. Qual è la differenza tra una storia e una trama? Per E. M. Forster questa: “Il re morì, poi morì la regina” è una storia, ma “il re morì, poi la regina morì di dolore” è una trama. Amis aggiunge questo: “Non è cosí Edward, non è cosí Morgan! ‘Il re morí, poi la regina morí di dolore’ continua a essere una storia. […] ‘Il re morí, poi la regina morí, apparentemente di dolore’ è una trama”. E, sempre Amis, spiega: “Trame e ganci narrativi ottengono lo stesso scopo: pongono al lettore una domanda”. Ecco dove si deve arrivare. Baricco, a Che tempo che fa, aveva la trama in testa, quindi anche le giuste domande. Questi scrittori dovrebbero intervistarsi da soli perché in fondo già lo fanno. Nella logica occamista del “meno è più” non servono due persone per intervistare uno scrittore. Basta lo scrittore. Peccato non lo abbiano colto prima.