Alessandro Baricco si ricorda bello e brutto, tutto insieme. Si ricorda coraggioso e senza difese, orgoglioso e diffidente, estremamente solo. Sentirlo raccontarsi nelle due ore di un'intervista piena, un fiume senza argini, ha il sapore denso delle cose rubate, del privilegio di poter guardare qualcosa da dentro, e allo stesso tempo il sottile disagio di sentirsi di più, di non avere il diritto di restare dentro alla stanza.
Eppure lo ha voluto lui, il silenzioso Alessandro Baricco, il diffidente Alessandro Baricco, lo scrittore 65enne che dopo due anni di lotta contro la leucemia ha deciso di mettersi seduto, su una grande poltrona della sua casa tra le campagne torinesi, e di raccontarsi. Di dire tutto di sé, che poi tutto non è. Di dire ciò che gli va di dire, di farlo a modo suo: una lunga intervista realizzata da Il Post in collaborazione con Feltrinelli e condotta da Matteo Caccia, alla scoperta di un Baricco fuori dai libri, i saggi, i mondi che si è costruito nel tempo.
È una formula strana, un esperimento che rischia di annoiare se a renderlo vivo non sono i giusti protagonisti, storie che valgano la pena di essere ascoltate. Due ore da vivere in un viaggio che però, in Wild Baricco, non trova mai lo spazio per la noia. C'è la rabbia, la rassegnazione, la voglia di cambiamento, la forza e l'indifferenza, ma lo noia non c'è mai. Alessandro negli anni ha imparato a conoscersi, a capire le bruttezze di una giovinezza di lotta e convinzione, di una maturità tra politica e scuola, conoscenza, malattia, corpi e menti.
Tra i temi trattati con maggior intensità sicuramente spicca il passaggio sulla scuola, da sempre uno degli argomenti cardine del pensiero di Baricco: "L'apprendimento è una delle cose più belle del mondo, la scuola è un sacco di roba, una delle tre o quattro cose più forti e più erotiche della vita. Però è vecchia, ci sono tantissimi problemi". Problemi che, secondo Baricco, stanno nella staticità dei problemi che i ragazzi si trovano a risolvere: "Faccio un piccolo esempio: in quarta ginnasio ti chini su una frase, il prototipo del problema da risolvere, immobile in tutte le direzioni. Una frase sull'assedio dei Galli, su cose belliche, e la soluzione è immobile da un numero incredibile di anni". E poi la vita, quella fuori dalla scuola, quella dei ragazzi come quella di tutti gli altri, non ha mai più a che fare con problemi immobili, immutabili: "E così ti addestri a una situazione di lotta e di combattimento che non ti si pone nella vita".
Un mondo, quello dell'apprendimento e della scuola, che Baricco ha conosciuto attraverso quasi 30 di scuola Holden, un progetto inizialmente criticatissimo, complicato ancora oggi da spiegare: "La Holden era avanti di una generazione e mezza. Nel mestiere dei libri parlare di narrazione negli anni 90 era una bestemmia. Non era una categoria virtuosa, era una roba da puttane: una scuola di avviamento al bordello ma con grande divertimento e passione".
Una presa di coscienza importante che passa dalla convinzione di aver fatto un grande lavoro con la fondazione della Holden, qualcosa di mai fatto prima in Italia, sfidando le critiche più feroci di chi per anni ha aspramente contestato il lavoro del più giovane, e sovversivo, Baricco: "Ci sono stati dei periodi duri, fino a quando me n'è importato qualcosa: si soffre. Sono stato molto odiato, e anche molto amato certo, ma quando sei giovane non hai molte difese, ti fai male e basta. Io mi sono fatto male e basta". La gioventù, l'insolenza, la convinzione di avere qualcosa da dire in un ambiente letterario piatto come quello che si è trovato a cavalcare all'inizio della sua carriera, dominato da un gruppo sociale ben definito: "Io nascevo come uno contro: una famiglia senza intellettuali, c'era tutto un establishment della cultura di cui io non facevo parte. Quando ho avuto successo e mi hanno invitato nella giuria dello Strega ho detto no perché per me loro erano l'establishment che dovevo combattere".
Una battaglia che Baricco racconta di aver sempre combattuto senza arretrare ma che allo stesso tempo lo ha cambiato, in peggio, come persona nei primi anni del suo successo a cavallo nel pieno degli anni 90: "Sono sempre stato una persona dolce ma quella (dell'inizio della carriera) era una lotta e io nella lotta ho dato il meglio e il peggio di me. Il meglio nel senso che ho combattuto molto duramente e con risultati molto buoni, non mi sono mai tirato indietro, sono stato libero sempre, però non una bella persona. Noi umani quando combattiamo non siamo mai belle persone. Nessuno di noi. Nonostante tutta l'Epica che abbiamo tirato su dall'Iliade in poi la verità è che quando ci mettiamo sul treno del combattimento perdiamo gentilezza, perdiamo dolcezza, perdiamo bellezza, cortesia, eleganza. Perdiamo tutto. Poi sopperiamo con le armi ma proprio perché come umani siamo ridotti a pochissimo. […] Nessuno è mai riuscito a farmi deflettere di un centimetro, però mi hanno reso peggiore, questo sì. E quindi ho avuto dieci, quindici, forse vent'anni di combattimento di cui non vado fiero, e mi dispiace, avrei preferito avere vent'anni di dolcezza".
Un venire a capo del proprio essere che Baricco ha dovuto imparare con il tempo, abbandonando la guerra, scoprendosi più vicino al corpo rispetto a quanto fosse quando aveva vent’anni: "Il corpo quando sei giovane non sai cos’è. Il tuo e forse anche quello degli altri. Il corpo non lo conosci a vent’anni, quando guardo mio figlio so per certo che lui non ha idea di che cosa ha addosso. Seppur nello splendore fisico non hai nessuna possibilità di capire il tuo corpo. Quando hai vent’anni non hai idea della tua bellezza, mentre a sessanta hai un’idea precisa della tua bruttezza, di quello che hai perso, di quello che hai ancora". A un certo punto capisci che quello che ti porti addosso è "il libro mastro della tua vita" e nella malattia, la compagna dello scrittore in questi ultimi anni complessi, il corpo assume un valore nuovo: "È come uno strumento musicale che non ha mai suonato e inizia a suonare. Lui è sempre stato lì, un violoncello appoggiato su un mobile, ogni tanto strimpellava - se ti sei rotto un ginocchio o cose così - ma non ha mai suonato davvero. Ma quando ti ammali seriamente emette suoni che tu non conoscevi, armonie, coincidenze tra cervello e altre parti del corpo. Uno strumento completamente nuovo, paragonabile a quando scopri il sesso a sedici, diciassette anni: anche lì è uno strumento che inizia a suonare. E paradossalmente la malattia ti porta a un’esperienza molto simile e lì capisci il numero di cose che il tuo corpo ha da darti".
Un viaggio che, a conti fatti con il proprio passato, oggi per lo scrittore rappresenta qualcosa di più affascinante anche rispetto all'avventura intellettuale di ognuno di noi: "Se dovessi fare i conti adesso che ho 65 anni direi che la storia dei corpi è più affascinante della storia delle menti". Sta tutto lì, il viaggio di chi siamo, di chi è stato e di chi è oggi Alessandro Baricco in una vita che attraversa la politica, il rapporto con Dio, il femminismo, la cultura patriarcale ("mio padre era maschilista, io sono cresciuto maschilista, ho dovuto fare una fatica porca per raggiungere un livello dignitoso di non maschilismo anche se chiaramente non sono all’altezza della situazione") ma anche il valore della battaglia culturale, l'idealismo e l'amore.
La storia della vita di un presuntuoso che nel tempo "ha diluito la propria arroganza" e che scambierebbe volentieri quei vent'anni di combattimento per vent'anni di dolcezza. Due ore che restano impresse come ombre di un viaggio che è costato tanto, e che ancora può dare e - darci - tantissimo.