Nel giro di poche settimane, il caso Elisa Claps rivive in tv con (quasi) tutti i tasselli del puzzle finalmente al loro posto. Va in onda su Rai 1 una fiction che ne racconta la storia e, dal 13 novembre, sarà disponibile su Sky (Tg24, Crime, Documentaries e on demand su Now) una docu-serie tratta dal seguitissimo podcast di Pablo Trincia, "Dove Nessuno Guarda". L'autore, intervistato da MOW, descrive il minuzioso lavoro di ricerca che ha portato alla realizzazione del progetto fino a questo nuovo adattamento televisivo. Mentre su Twitter (pardon, X!) c'è chi lo taccia di essere un filo troppo egocentrico ("credo sia l'ultima cosa che mi si possa dire", risponde) e sospetta una certa competizione con Stefano Nazzi, parimenti voce e anima di un podcast, Indagini, che ha trattato anche la scomparsa della giovane Elisa, uccisa per mano del serial killer Danilo Restivo la mattina del 13 settembre 2023 nella Chiesa della Trinità, Potenza. Trincia e Nazzi sono le Elodie e Annalisa del podcast italiano? "Assolutamente no, c'è stima e rispetto. Lavoriamo in modi completamente diversi, nessun doppione". Il suo "salto nel vuoto" Trincia l'ha fatto "nel 2015 quando rifiutai la conduzione di Nemo, in prima serata su Rai 2, perché volevo fare Veleno. Non ci è voluto coraggio, quando ti innamori del tuo lavoro, non hai scelta se non quella di seguire ciò che ti appassiona". Tornerebbe in tv? "Ti rispondo con l'emoji che strizza l'occhio", dice.
Perché chi ha seguito il podcast "Dove Nessuno Guarda", dovrebbe dare un occhio anche alla docu-serie?
È un lavoro complementare. Ti dà la possibilità di passare da quella che è stata la tua immaginazione alla visione dei luoghi e dei volti reali che fanno parte di questa storia. Va ad aggiungere.
La scomparsa di Elisa Claps è rimasta insabbiata per 17 anni, ora ci sono due progetti tv che ne parlano. Hai visto la fiction di Rai 1? Che ne pensi?
Ho seguito qualche puntata della serie. Credo abbiano rappresentato molto bene la famiglia Claps, restituendo l'idea di questa famiglia dolce, gentile, dignitosa. Hanno subito tante ingiustizie, ma con grandissima dignità. Un lavoro ben fatto.
Domanda banale: non hai intervistato Danilo Restivo. Ti spiace?
Ovviamente. Gli abbiamo mandato tre lettere e dalla sorella sappiamo che le ha lette. Però non ci ha risposto. Peccato, ma ce lo aspettavamo.
In carcere avrà comunque molto tempo per pensarci…
Infatti, mai dire mai.
Che idea ti sei fatto della famiglia Restivo?
Non avendoci potuto parlare molto, non posso espormi. Bisogna però sempre provare a mettersi nei panni di tutti, senza suddividere aprioristicamente tra buoni e cattivi. Ritrovarsi in casa una persona così problematica, uno che fa casini, crea in continuzione imbarazzo e poi, una volta diventato adulto, rendersi conto di non poterlo più controllare… Come si fa ad accettare di avere in casa un serial killer? È qualcosa di troppo grande, pesante. Poi all’inizio degli anni Novanta non è che avessero tutti, come oggi, il terapeuta di fiducia. Anzi, forse non esisteva nemmeno la consapevolezza, il concetto di salute mentale. La madre, in un'intercettazione, dice: "Io so solo che mio figlio non ha fatto niente, che non è un assassino". Esiste la possibilità del rifiuto, che una persona non riesca a concepire un orrore del genere in famiglia. Magari sarà stato più facile pensare a una sorta di caccia alle streghe nei confronti di Danilo. Il che, ovvio, non è comunque una giustificazione.
C’è un tarlo che mi porto dietro dalla fine del podcast e, come me, molte altre persone. Il corpo di Elisa è stato ritrovato dopo anni nella soffitta della chiesa della Trinità di Potenza. Inizialmente, la porta che conduceva lì era chiusa a chiave. Ma poi quel posto, per quanto grottesco suoni anche solo dirlo, veniva usato a mo' di alcova, c’era libero accesso. Perché la famiglia Claps non ha mai varcato quella soglia?
Gildo, il fratello di Elisa, ci ha raccontato che dava per scontato che le indagini avessero setacciato tutta la chiesa, compresa la soffitta. Lui ha fatto di tutto, l’ha cercata addirittura facendo fare rilievi nelle scale mobili che, nel 1993, erano in costruzione. Una roba assurda, sarebbe stato impossibile per Restivo o per chiunque altro nasconderla lì dentro in pieno giorno. Ma Gildo non ha lasciato nulla di intentato. Certo, col senno di poi e avendo oggi il quadro completo, è facile vedere cose, ipotizzare che ci saremmo comportati diversamente. Nel mezzo di quella situazione, era ben diverso decidere come agire avendo a disposizione solo informazioni parziali e grande coinvolgimento emotivo. Oggi siamo l’occhio di Dio che tutto sa, ma vediamo la storia per intero e da lontano. Quella porta, comunque, non doveva aprirla Gildo, ma chi stava facendo le indagini. Addirittura la madre aveva portato alla polizia tutte le planimetrie della chiesa...
Anche Stafano Nazzi, col podcast Indagini, si è occupato di Elisa Claps. C'è competizione?
No, assolutamente. Anzi, le sue due puntate sul caso Elisa Claps sono le prime cose che mi sono andato ad ascoltare quando ho scelto di iniziare a lavorare al mio podcast. Stefano fa un altro lavoro rispetto al mio. Ricostruisce storie con due episodi, senza andare a cercare i testimoni. Un po’ più a volo d’uccello, ma lo considero un ottimo prodotto.
Insomma, con buona pace di Twitter (pardon, X!), non siete le Elodie e Annalisa del podcast italiano...
Ma va! (ride, ndr). C’è grande simpatia, rispetto e stima reciproca. Tante persone che hanno ascoltato Indagini sono venute poi a sentire anche "Dove Nessuno Guarda", proprio perché si tratta di due progetti diversi. Non c'è alcun effetto "doppione".
Su Twitter (o X) ogni tanto leggo che ti danno dell’egocentrico, come se la tua personalità rubasse spazio alle storie che racconti…
Credo sia l'ultima cosa che si possa dire di me. Quando ci sono le voci degli altri, io faccio molto volentieri un passo indietro. È che spesso il racconto lo devi fare tu, con la tua voce. E penso di essere uno dei pochi che si mette lì ad andare a cercare tutti i testimoni, anche centinaia di persone, per dar loro spazio e farli conoscere. Non mi prendo mai il centro della scena.
Nella serie Veleno (Prime Video), ti si vede spesso in studio di registrazione mentre racconti la storia tramite le parole del tuo podcast. C'è chi sostiene "anche troppo"...
Veleno è una serie a cui io ho partecipato su richiesta della casa di produzione. Mi è stato chiesto, appunto, di fare da collante tra una scena e l’altra leggendo testi dal mio podcast per spiegare e collegare una storia particolarmente complessa. Però io lì avrei potuto benissimo non comparire, non era un mio progetto. Non ero né il regista né il produttore di quella serie. Non è stata una mia scelta.
Dalla tua bio sul sito di ChoraMedia, si legge: "Ha lavorato in tv ma poi 'mmmmmmh'"... Mi puoi dettagliare questo 'mmmmmmh'"?
La tv era un mezzo che mi piaceva ma spesso non c’erano le risorse e i tempi per poter raccontare tutto quello che volevo. Il podcast Dove Nessuno Guarda, per esempio, dura sei ore. Non esistono servizi televisivi tanto lunghi.
Quindi non hai litigato con nessuno?
No, ci mancherebbe.
Sei passato da Le Iene a Chi L’Ha Visto per dedicarti completamente ai podcast, sicuramente all'epoca - e ancora oggi - non un ambito di pari portata mediatica...
Il vero salto nel vuoto l’ho fatto quando collaboravo freelance con Le Iene e ho rinunciato a diversi lavori pur di fare i podcast. Intendo anche super lavori.
Per esempio?
Il salto nel vuoto più importante è stato nel 2015 quando ho rinunciato alla conduzione di un programma di prima serata che mi avevano proposto perché volevo fare Veleno.
Che programma era?
Nemo, Rai 2.
Ti rivedremo in tv?
Rispondo con l'emoji che strizza l'occhio.
Nel senso che qualcosa già bolle in pentola?
No, intendo dire: "Top". Non ho chiuso a prescindere quella porta.
Comunque, hai avuto coraggio...
Quando hai una vision e ci credi tanto, non c’è paura delle scelte che prendi. Io ero convinto di quello che stavo facendo e sapevo che, rispetto alla tv, coi podcast avrei fatto la differenza.
Con la stessa convinzione, si può finire anche a vivere sotto i ponti…
Da Chi l’ha visto sono venuto via avendo già un contratto con Chora, quindi quello non è stato assolutamente un salto nel vuoto. Però se tu ti innamori di qualcuno o comunque del tuo lavoro e decidi che quello è il tuo futuro, se è la passione che ti guida, non si può parlare di coraggio. Devi seguire il tuo innamoramento, altrimenti vivresti comunque male. Col tarlo di non sapere come sarebbe andata se solo ci avessi provato…
Cosa volevi fare da bambino?
Il giocatore dell’NBA. E ci conto ancora.