Alessandro Baricco. Non c’è autore più simile a uno scrittore da nord e sud. Quando ti immagini uno scrittore italiano, t’immagini Baricco. Ha la faccia pulita di uno che ha studiato, le virgole di uno che sa usarle sbagliate, pure un po’ sporche, ma come si fa a teatro. E ha un modo di parlare che è il suo. Gli scrittori sono prima di tutto buoni oratori. Erano otto anni che non usciva un suo romanzo. Quindi Abel (Feltrinelli, 2023) è circa il più bel libro italiano degli ultimi otto anni. Forse qualcosa di più. All’incirca è un modo strano di definire i bei libri, soprattutto i bei libri precisi. Anche se Baricco non sapeva che fine avrebbe fatto questo “western metafisico”, almeno fin quando non lo ha fatto leggere alla sua famiglia, Abel è un libro spassionato, di pura letteratura, con una mira unica. Lo ha scritto perché le cose, a volte, vanno così. Ti ci metti, le scrivi, le appunti, le componi, e forse ne vai anche fiero. Il libro inizia con un’avvertenza: “Se […] mi è accaduto di offendere la sensibilità di singoli lettori o di intere comunità me ne dispiaccio. Ma neanche tanto, devo dire, perché la libertà più assoluta è il privilegio, la condizione e il destino di qualsiasi scrivere letterario”. La differenza tra Baricco e gli altri è anche questa. Lui non deve neanche dispiacersi troppo di ciò che scrive, siete voi a dovervi dispiacere di dispiacervi per ciò che scrive. Perché vi perdete una gran bella esperienza. Per cosa, poi?
Alessandro Baricco merita un nome americano, c’è chi lo percula perché Abel sembra un McCarthy smocciolato, un’imitazione dilettantesca. Forse ci fanno caso perché McCarthy è morto. Fosse morto fra un anno, non avrebbero saputo il paragone che ora li fa sentire colti. E intanto, appunto, si perdono l’esperienza. Non di un libro piacevole, quanto di un libro sensibile. Baricco ha sempre avuto i toni dello scrittore americano in carriera, pieno di cose da fare. Ma ora, che non ha più da badare a nessuno, dice, ci ha provato. Ci ha provato a dirvi che è lui lo scrittore che l’Italia non merita e ha finito per meritarsi senza grandi sforzi, per una botta di fortuna. È il caso o il destino. Ma il caso, se leggi Abel lo capisci, esiste, “ma di rado”. La verità è che l’Italia, uno come Baricco, potrebbe anche meritarselo davvero se i cittadini non sprecassero il loro tempo con il resto, gli altri. Ma solo la possibilità di meritarci uno scrittore di questo livello a Baricco basta per scegliere di pubblicare pagine che sono sue, con il suo stile, vere. Baricco ce lo siamo dimenticati, come uno scrittore passato di moda. E invece torna con un romanzo coreografico, per niente dosato, per niente spuntato, per niente italiano. Baricco è tornato e non è poco.
Poi la storia è bella, ma non c’entra. Un ragazzo inizia a scoprire la vita e il Verbo, per via della violenza (ma anche di uno strano senso di giustizia – lui sarà sceriffo da grande), dell’amore, anche di una madre che se ne va, di un padre che se lo perde nel mezzo di una tempesta in una terra di nessuno, che pareva, ad Abel e quindi a Baricco, andare incontro al fondo di un pozzo, più nero di quando dormi e hai la faccia spiaccicata sul cuscino. Perché non c’entra? Perché è un western, sì, ma metafisico. Cioè è fatto andare oltre. Fatto come una pietanza, uno sgabello, un violino. Scritto, sì, ma anche fatto, perché la metafisica la fai, non la scrivi. Che vuol dire metafisica? Che le cose parlano di altro. E allora la storia è bella, sì, ma parla di altro. Baricco lo fa senza dimenticarsela, la storia, ed è un merito raro. Ma ricordiamoci, a ogni pagina, di ciò che la trama nasconde. Questo libro fa scuola. In Italia possiamo scrivere un romanzo che finisci in qualche ora aspettando il treno alla stazione di Milano Centrale, ironico, divertente e intrigante. Ma, pure, un romanzo che riflette tanto, maturo, in cui a parlare è un acculturato esploratore di terre dell’orrore. E Abel scopre la paura, la morte, l’amore, e il significato di uno sparo a pochi centimetri da chi vuoi, in qualche modo, proteggere. E ora chiedetevi questo. Per Abel è il nascere. Per voi, quello sparo, cos’è?