Ci voleva l'Accademia della Crusca per ristabilire il buonsenso. Dopo anni di ideologia politicamente corretta che non ha risparmiato nemmeno il linguaggio con schwa, asterischi, parole storpiate in nome dell'inclusività, finalmente la Crusca si esprime in modo netto contro questa deriva rispondendo a un quesito del comitato pari opportunità della Corte di Cassazione sulla scrittura di atti giudiziari nel rispetto la parità di genere. Da qui la bocciatura dell'uso dello Schwa e degli asterischi al posto delle vocali finali delle parole: “è da escludere nella lingua giuridica l'uso di segni grafici che non abbiano una corrispondenza nel parlato, introdotti artificiosamente per decisione minoritaria di singoli gruppi, per quanto ben intenzionati”. Perciò, scrive la Crusca “va escluso tassativamente l'asterisco al posto delle desinenze dotate di valore morfologico ('Car* amic*, tutt* quell* che riceveranno questo messaggio…'). Lo stesso vale per lo scevà o schwa”.
La prestigiosa Accademia ha poi puntato il dito contro il riferimento raddoppiato di genere, maschile e femminile, spiegando come sia errata “la reduplicazione retorica, che implica il riferimento raddoppiato ai due generi”. Oltre alle indicazioni linguistiche pratiche, vale la pena soffermarsi sulle motivazioni che hanno portato la Crusca a esprimere questi pareri: “i principi ispiratori dell'ideologia legata al linguaggio di genere e alle correzioni delle presunte storture della lingua tradizionale non vanno sopravvalutati, perché sono in parte frutto di una radicalizzazione legata a mode culturali”. L'Accademia ha poi aggiunto: “queste mode hanno un'innegabile valenza internazionale, legata a ciò che potremmo definire lo 'spirito del nostro tempo', e questa spinta europea e transoceanica non va sottovalutata”.
Come se ciò non bastasse nei confronti dei paladini dell'inclusività, la Crusca ha spiegato che il maschile si può usare anche quando ci si riferisce “in astratto all’organo o alla funzione, indipendentemente dalla persona che in concreto lo ricopra o la rivesta”. Ciò significa che è corretto dire il Presidente del Consiglio anche se a ricoprire il ruolo è una donna come aveva richiesto il premier Giorgia Meloni. Il parere della Crusca, sebbene si riferisca al linguaggio giuridico, costituisce un duro colpo al politicamente corretto e al tentativo di modificare la lingua italiana con finalità ideologiche. A farne le spese sono non solo politici ma anche intellettuali e commentatori che hanno fatto del “linguaggio inclusivo” un tratto distintivo. Come in altri ambiti, anche nella scrittura di articoli, libri, messaggi o post sui social network, è avvenuta una radicalizzazione da parte di minoranze influenti e rumorose che, accecate dall'ideologia, vorrebbero cambiare la nostra società e accusano chiunque non sia d'accordo con loro di discrimazione. Dopo le parole della Crusca possono però smetterla con ridicolaggini linguistiche come lo schwa e gli asterischi e tornare a scrivere in italiano.