Brian Eno, dalla timida culla del timido Suffolk, ha ri-immaginato la musica del secondo Novecento. Non è stato il solo, ovviamente, ma lo ha fatto. Ora la Biennale di Venezia lo incorona con il Leone d’oro alla carriera (il Leone d’argento andrà a Miller Puckette, matematico, programmatore, teorico e performer americano). La motivazione è un emblema: “Il lavoro compositivo di Brian Eno è dagli esordi concepito quale processo generativo che evolve secondo una dimensione temporale potenzialmente infinita, anticipando molte delle tendenze compositive attuali legate al suono digitale. Lo studio di registrazione concepito come meta-strumento compositivo, regno di elaborazione, moltiplicazione e montaggio di frammenti sonori registrati, simulacri acustici, oggetti sonori autonomi, ha permesso a Brian Eno di creare spazi elettronici immersivi che si trasformano e permeano la realtà acustica nella quale siamo immersi, modulandola secondo drammaturgie sempre cangianti”. Beh, non possiamo che dire “wow” dopo aver letto queste parole di Lucia Ronchetti, prima donna a dirigere la Biennale internazionale di musica di Venezia (lo farà fino al 2024).
Eno riceverà il Leone d’oro il 22 ottobre, nella Sala delle Colonne di Ca’ Giustinian. La cerimonia sarà seguita da una conversazione con il critico musicale Tom Service, ma il giorno prima, il 21 ottobre, il musicista inglese porterà sul palco del Teatro La Fenice la prima esecuzione assoluta dell’evoluzione del progetto “Ships” insieme alla Baltic Sea Philharmonic diretta da Kristjan Järvi, l’attore Peter Serafinowicz, lo storico collaboratore Leo Abrahams alle chitarre e il software designer Peter Chilvers.
E quindi? Chi è Brian Eno? Dove e come ha seminato in tutti questi anni? Chi è, oggi, lo scultore di atmosfere, umori e dilatazioni che nel 2023 si ritrova a vivere in un mondo in cui la musica viaggia anche a botte di 30 secondi l’una su Tik Tok?
La parola a chi se ne intende.
Morgan lo ritiene “uno dei più importanti intellettuali viventi. Un artista creativo e inventivo. Il confine fra artista, inventore e uomo di cultura, in Brian Eno, svanisce. Il suo modo di vivere la creatività e l’indagine sulle forme di creatività lo rendono una figura vicina a un Leonardo da Vinci. Il suo è un creare “globale”, senza compartimenti. La modernità di Eno, poi, è antichissima, poiché universale. Le sue scoperte sono articolate, complesse, ma semplici da ricevere, accogliere, fruire. Eno mi riporta anche ad alcune intuizioni di quel grande saggista e scienziato cognitivo americano, Douglas Hofstadter, che in “Gödel, Escher, Bach. Un'eterna ghirlanda brillante” parlò di Bach come del genio dietro la cui “semplicità” si nascondeva una grande complessità strutturale. Viceversa, parlando di Cage, osservava come il tocco/gesto minimale di Cage – e quindi la minore complessità di Cage – producesse qualcosa di ostico per l’ascoltatore. Brian Eno ingloba entrambe le concezioni perché lui, da una parte, è il musicista che si è definito “non musicista”, sublimando l’idea dell’arte concettuale, dell’arte pensata. Un bagliore, un’illuminazione della mente che ispira anziché essere. D’altra parte, però, Eno ha fatto anche canzoni, testi, software. Ha innovato il linguaggio della musica e in questa ottica è molto più musicista di altri. Perché è un demiurgo che ha fornito nuove materie prime a chi fa/produce musica. La sua è musica, musica intelligente. Eno ha messo in pratica ciò che pareva impensabile. Lavorando con la dissonanza, il rumore, la pausa. Eno è una presenza, talvolta invisibile, a cui tutti i musicisti, oggi, devono riconoscenza”.
Alessio Miraglia, produttore, compositore e sound engineer con base a Boston e Amsterdam (tanti lavori per il cinema, per Netflix, HBO e National Geographic), su Eno viene come punto sul vivo: “Parlare di lui mi fa venire i brividi. Eno è stata un’ispirazione per gran parte del mio percorso di film-scoring. Sono entusiasta di questo prestigioso riconoscimento veneziano. La sua creazione della musica ambient è stata una pietra miliare nella storia della musica contemporanea. Ha influenzato un’intera generazione e continua, tuttora, a esercitare influenza. Penso a "Music for airports", una delle prime esperienze immersive in grado di trasportare l'ascoltatore in un altro mondo”.
“Ma il contributo di Eno alla cultura musicale mondiale – prosegue Miraglia – va oltre la creazione di musica ambientale. La sua capacità di utilizzare la tecnologia elettronica e generare, creare e costruire suoni è servita a creare paesaggi sonori innovativi e originali ed ha avuto un impatto significativo sulla produzione discografica e nella concezione evolutiva delle musiche per il cinema. Un esempio è la sua collaborazione con il regista Michael Mann per il film “Heat” (1995), dove ha creato una traccia strumentale, “Force marker”, imperniata su un'atmosfera di tensione e mistero che si adatta perfettamente al film. Un’ispirazione anche per artisti come Atticus Ross e Trent Reznor”.
Nitide anche le parole di Paolo Talanca, critico musicale, scrittore e docente di “Storia della popular music" al Conservatorio “Luisa D'Annunzio” di Pescara e "Canzone e nuovi media" all’Università “Gabriele D'Annunzio” di Chieti, che considera Eno all’interno di un contesto “totale”: “Sta emergendo, ancora una volta, l’importanza culturale della popular music. Nei casi più importanti, in virtù di certe opere e carriere (Dylan, Eno), la società è cambiata. La popular music ha plasmato, trasformato, la società. Quindi nulla di sorprendente in un riconoscimento simile. Magari giusto noi italiani, tendenzialmente statici, possiamo ancora stupirci”.
Oberlunar (nome d’arte di Francesco Bardozzo) è il giovane compositore che ha utilizzato in modo estensivo tecniche di composizione generativa basate sull’Intelligenza artificiale per destrutturare Bach. “Brian Eno ha scritto un pezzo di storia del Vecchio Continente, in un continuo dialogo col progredire delle tecnologie di sintesi musicale e di registrazione. Apprezzo particolarmente il suo modo di sperimentare mantenendo una coesione distintiva e ragionata sugli elementi armonico/melodici più come eventi sonori che relazioni. Brian Eno è stato uno dei primi ad introdurre il concetto di musica generativa, aprendo le porte a quella generative A.I. musicale di cui oggi sono uno dei principali programmatori. Nei suoi lavori la tecnica di registrazione e produzione è intesa come filosofia e arte. Come se l'idea musicale di Brian Eno venisse proiettata dal mondo esterno all'interno, nella profondità, così da cambiare i meccanismi interiori tipici dell'artista”.
È sia concetto che materia, Brian Eno, ormai lo abbiamo capito. Elena Cirillo, cantautrice, pianista, violinista ed insegnante di canto moderno e lirico, vede nel musicista inglese qualcosa di soverchiante: “Nella musica di Brian Eno c’è l’Universo. Riesce a trasportarmi in dimensioni spazio-tempo diverse dalla nostra e magnifiche. Le sue sono creazioni, visionarie e innovative, che mi hanno sempre suscitato un senso di pace e mistero. Le collaborazioni con artisti come David Bowie, U2, Talking Heads, Coldplay e altri ancora, hanno prodotto brani indimenticabili. Sono felicissima per il suo Leone d’oro, meritatissimo”.
Eno come ispiratore, sempre. È quanto afferma il grande Antonio Aiazzi, tastierista e co-fondatore dei Litfiba: “Ho sbattuto contro la musica di Brian Eno con “Music for films”. È stato il suo primo album che ho acquistato, poi a ruota “Music for airports”. All’epoca ero attratto da Eno, ma la sua musica mi rimaneva sempre un po’ accanto. Non capivo che ero io che non riuscivo ancora a liberarmi completamente. Evidentemente non era il momento giusto. Passati anni e anni, non mi vergogno a raccontare che, quando qualche tempo fa, ho registrato il mio primo album strumentale (“Linea gialla”), e stavo cercando di trascrivere in musica il pandemonio che concettualmente mi girava in testa, ho riascoltato proprio quei dischi. Mi sono accorto che questa distanza con la sua musica non esisteva più; forse anch’io stavo finalmente pensando alla musica come a uno “stato” e non solo come a un momento di “esecuzione". Grazie, quindi, mister Eno”.
Compositore, direttore d’orchestra e musicista, Angelo Valori, rispolverando i Roxy Music torna agli albori del Nostro: “Eno è sempre stato l’icona rappresentativa della molteplicità dei linguaggi musicali contemporanei e della tecnologia applicata alla musica. Sebbene io lo abbia conosciuto con i Roxy Music, ho seguito la sua produzione legata a Cornelius Cardew e alle influenze di John Cage (ma anche di Satie), che lo hanno portato a essere protagonista con una musica ambient creata sia per non-luoghi quali gli aeroporti, sia per luoghi più identificati come le mostre d’arte (intuizioni che hanno creato una dimensione musicale prima inesistente)”.