Sono alla quinta ora consecutiva di guida, pioviggina, mi chiedo in quale momento si sia pensato di istituire una ZTL a Foligno. Costeggio l’ospedale, prendo una stradina sulla destra, parcheggio la macchina di fronte a un edificio con su scritto “ISTITUTO MENTALE”. A Milano parlano di salute mentale e consigliano la terapia ma non sono più avanti, non sono più emancipati: sono solo bravi a vendere. A Foligno l’istituto è aperto a tutti, è cosa pubblica, è cosa pratica. Eleonora mi telefona chiedendo a che punto sono, dove ho parcheggiato: “Ho messo la macchina davanti al manicomio”. Lei è soddisfatta, abita lì vicino e quello è un buon punto d'incontro. Ci presentiamo, salgo nella sua piccola Volkswagen e andiamo verso il locale, un locale per cui devi arrivare per forza a Foligno.
Questa è la storia di un viaggio che parte dal centro Italia e arriva a New York. È la storia di una famiglia che inventa e vive di musica, la storia di un vecchio cinema porno, di una radio aperta in un garage negli anni Settanta. È la storia del Supersonic Record Store, un negozio di dischi che porta i suoi clienti negli Stati Uniti.

Foligno è una cittadina di cinquantamila abitanti nel centro Italia, vero crocevia per santi, poeti e trafficanti. In Piazza della Repubblica, di fianco al municipio, c’è la tipografia in cui venne stampata la prima copia della Divina Commedia, mentre di fronte trova posto un piccolo monumento a San Francesco che proprio lì, nel 1206, si spogliò dei suoi beni per iniziare il lungo percorso che lo rese un’icona della Chiesa. Camminando tra antichi palazzi in pietra rosa e vecchie osterie si arriva a una piazzetta bombardata dagli americani negli anni Quaranta, quando la città ospitava alcune tra le più grandi officine delle FS, divenute obiettivo strategico durante la guerra. Di fronte, in Via Giuseppe Mazzini, il vecchio Cinema Astra. Anzi, lo Spazio Astra.

La storia di questo locale è un romanzo. Ci cammini dentro e ti sembra di avere il tempo davanti, di poterti muovere tra epoche diverse. Un mese prima, quando ci siamo sentiti per la prima volta, Eleonora mi era sembrata confusa: abbiamo parlato del locale, di viaggi e di concerti, ma pure del Supersonic Record Store, il negozio di dischi che porta i suoi frequentatori a New York con dei tour improntati sulla musica.
È un luogo che devi vedere, lo Spazio Astra. Una grossa selezione di vinili all’ingresso, cocktail bar di fronte, una saletta con tavoli, sedie e CD in vendita. E poi il ristorante di sushi in platea, il Moonrise, dove ancora vengono proiettati vecchi film in bianco e nero. Sopra, in galleria, le seggioline da cinema sono ancora lì, anticipate da una saletta in cui vengono organizzati piccoli eventi. I bagni sembrano la stanza in cui balla il nano di Twin Peaks. Nel retro, assieme a qualche fusto di birra e una pila di casse d’acqua minerale, ci sono un vecchio affresco seicentesco e un pozzo medievale, giusto a ricordare che, prima ancora di diventare un cinema per adulti, lo Spazio Astra è stato un convento di suore. È il sacro e il profano, è il tempo che scorre: il proprietario, Flaviano Possanzini, è la stessa cosa. È il padre di Eleonora, ma anche di Ilaria che sta dietro al bancone e di Lorenzo, il figlio che oggi lavora a Roma coi discografici. Flaviano è un omone alto, robusto, gli occhi vispi. Divide questa vita con la moglie Paola e i tre figli. Mi racconta subito di quando lavorava all’aeroporto di Ciampino e vide Papa Giovanni Paolo II. E poi Maradona, Bjorn Borg, McEnroe, Pertini e Bush padre con l’Air Force One. “Soprattutto”, aggiunge dopo una pausa, “A Ciampino ci ho visto i Duran-Duran, i Genesis, Sting e gli U2”.
Stiamo mangiando dell’ottimo sushi dentro un cinema, alle nostre spalle un film di Buster Keaton mentre in sottofondo suonano gli Oasis, attorno una grande collezione di dischi. A Foligno non hanno solo l’istituto mentale che servirebbe a Milano, hanno addirittura un locale che a Milano non esiste.

Flaviano parla, racconta, mostra. Eleonora lo interrompe, a volte corregge, altre ancora si mette a discutere. Ilaria, dietro al bancone, sembra coglierne il lato ironico. Mi spiega che avere tutta questa musica tra gli scaffali è più un piacere per lo spirito che per il bilancio a fine mese. Oggi i CD non vendono un cazzo. I vinili funzionano e qualcosa si riesce ancora a mandarlo in giro, anche se le case discografiche hanno sfruttato questa nuova ondata di appassionati per gonfiare i listini, con aumenti che arrivano anche al trenta percento. “Ce stanno a speculà”, mi dice Ilaria mentre prepara un paio di gin tonic. “Un disco dei Led Zeppelin è passato da costarci 13 Euro ai 23 di adesso. E per camparci tu devi venderlo a qualcosa come 40 Euro. Anche i Pink Floyd hanno cambiato etichetta ed è aumentato tutto. Fijo mio… come si fa?”. In quasi cinque ore di auto te lo chiedi almeno un paio di volte che stai andando a fare a Foligno. Stando lì capisci che l’atmosfera è meglio del locale e il locale è meglio di qualsiasi altro luogo in cui vi sia mai capitato di mangiare sushi, oppure di guardare un film, o di acquistare un vinile autografato da Giorgio Poi. È un posto potente, perfetta meta di pellegrinaggio per hipster ma pure per artisti veri, per giovani e vecchi poeti, un rifugio per irregolari e cultori dello stupore.

Come si costruisce un locale così
Quando chiedo a Flaviano come gli sia venuto in mente un locale così lui fa un lungo respiro, sorride e inizia a parlare: “Ero in terza media quando, con un amico, costruimmo una piccola radio, era talmente piccola che il segnale arrivava solo in casa nostra”, comincia. Sono gli anni Settanta in Italia, trasmettere dalla camera da letto al salotto con attrezzi costruiti a mano non dev’essere stato meno impressionante dell’allunaggio visto in televisione. “Col tempo prendemmo attrezzature migliori e spostammo le antenne più volte. Quando arrivammo anche in centro a Foligno, che eravamo alle superiori, fu una cosa incredibile. Ci potevano sentire anche gli amici, i professori. E magari chiamavi quella ragazza per dirle di mettere sulla tua frequenza, che le avresti fatto sentire una canzone”.
Flaviano dice che la radio all’inizio era libertà, un discorso che sembra almeno in parte familiare. Gli chiedo se la radio è stata un po’ come l’internet degli inizi, un ambiente in cui la gente si esprimeva per il gusto di farlo con lo stesso potenziale minuscolo e al contempo gigantesco di chi lancia una bottiglia con un messaggio in mare. Lui che internet l’ha vissuto da adulto sorride ancora una volta, alza le spalle e continua a raccontare: “A me piaceva la musica. Pensa che all’epoca avevo una fidanzata e andavo a casa sua perché suo fratello più grande mi faceva ascoltare i dischi. Quattro in particolare me lì prestò, li ricordo ancora: Some Girls degli Stones, un disco della PFM, Genesis Live e Wind and Wuthering, sempre dei Genesis, del ’76”.

Così c’è la radio e c’è la musica, metterle insieme è fin troppo facile. A metà anni Ottanta, Flaviano Possanzini fonda Radio Delta: “Il genio della lampada era il mio amico, tutta la parte tecnica la faceva lui. Io invece ero il vero appassionato di musica e andavo a trovare gli sponsor. Facevo anche gli spot, li registravo io. All’inizio rompevamo le scatole ai genitori dei nostri amici per farci dare quelle ventimila lire al mese, il minimo indispensabile per coprire le spese per l’attrezzatura e l’affitto”.
Avanti veloce ai primi anni Duemila, quando i Possanzini vendono la radio e, nel 2010, Lorenzo esce con il suo primo disco: “Aveva questo gruppo, i Ground Wave, con cui fece un album di rock italiano, Le cose cambiano. Molto bello, se chiedi a me. Però loro passarono molto presto a fare musica elettronica”. È più o meno in quel momento che i Possanzini si rendono conto che in città non c’è più un locale in cui ascoltare musica dal vivo. “Un mio vecchio cliente aveva questo locale un po’ in crisi, il Budokan, in cui organizzammo qualche serata, sarà stato il 2013. Budokan come il live di Bob Dylan, c’hai presente? All’epoca funzionava molto Facebook e cento persone venivano sempre. Fatto sta che affittammo il locale, ricordo che passammo dei mesi solo a pensare il nome: se sbagli quello sei fottuto in partenza. A un certo punto mi venne in mente la canzone degli Oasis, Supersonic. E appena lo dissi bum, i miei figli impazzirono. Dopo il primo anno, in cui testammo tutta una serie di idee, cominciò ad andare fortissimo. Era il 2014”.
Interviene Eleonora: “Io avevo 17 anni e mi ci sono giocata tutta l’adolescenza. All’epoca l’indie andava fortissimo: Motta, Ex-Otago, Gazzelle. Abbiamo fatto Cosmo a trecento euro, Gazzelle a mille e duecento. C’era Nada che girava con gli A Toys Orchestra, è venuto Piotta. E poi i Marlene Kunz, seicento paganti. A Foligno, capito?”. E suo padre, a ruota: “Considera che in tutto questo io lavoravo in banca. Il sabato mattina andavo a letto alle cinque, poi alla domenica dormivo tutto il giorno e il lunedì ero in ufficio”.

Passano i gruppi, passano gli anni. I Possanzini decidono di comprare questo locale fuori città per spingere ancora più forte. “Ma ci sono stati dei problemi burocratici”, dice Flaviano. “Sono stati la nostra grande fortuna, perché mentre eravamo in trattativa è arrivato il Covid e pagare tremila, quattromila euro al mese di mutuo col locale chiuso sarebbe stato una tragedia. Però il negozio in cui ho comprato dischi per quarant’anni stava chiudendo, il proprietario era molto anziano e non lavorava più: ‘Chiudi? ma che chiudi, e io i dischi dove li compro?’. Lo comprammo noi e nacque il Supersonic Record Store. Poco dopo prendemmo in affitto questo Cinema Astra”.
Così apre, infine, lo Spazio Astra di oggi. È la storia di un quattordicenne che fa la radio in camera coi genitori musicisti. E poi i concerti dei Genesis, degli U2 e di chissà chi altri mentre la famiglia cresce e ognuno ci mette del suo. Il luogo ora è in costante mutamento, sempre un po’ meglio del giorno prima. Dentro c’è anche una piccola collezione di vestiti. Difficile raccontarlo tutto, facile appassionarsi: “Ma non ti svegli la mattina che hai il bar, il negozio di dischi, lo spazio di sopra per fare gli eventi, il cinema e il ristorante. Ci siamo arrivati dopo dieci, dodici anni. Ora la gente dice che è un’idea geniale, ma c’è voluta una vita”.
Eleonora, in tutto questo, ha lasciato l’Italia per passare il suo tempo a New York, conoscere la sua gente e le sue strade. E quando è tornata a Foligno ha pensato, con questa passione che si porta dentro, di trasformare il Supersonic Record Store in qualcosa di più grande: “Vogliamo portare le persone a New York e raccontare loro la musica di questa città, un viaggio tra i luoghi di Dylan e quelli di Sid e Nancy, le strade di Notorious e quelle di Nas, i locali Jazz, Soul, Rock. Andremo a sentire una messa gospel, a Broadway”. Se lo Spazio Astra non fosse così tante cose assieme, tutte gestite dalla famiglia, verrebbe da pensare a una follia. Invece la cosa ha funzionato, la gente si è presentata al Supersonic Record Store e ha comprato non un disco ma un biglietto per ascoltare la musica tra le strade di New York. Partiremo in una dozzina di persone, tutte diverse, tutte unite da questo locale. Penso che il potenziale della musica è anche questo, un negozio di dischi come il Supersonic Record Store che riesce a organizzare viaggi intercontinentali.
Parlando di questa storia, di dischi e di concerti facciamo tardi. Lascio l’Umbria pensando che un luogo come lo Spazio Astra non esiste. Non esiste a Milano e probabilmente neanche a New York. Che poi, se anche esistesse, non sarebbe a Foligno che, per Flaviano Possanzini, è “Lu centro de lu munnu”.








