C’è un momento in cui l’ascesa di Sean Diddy Combs assume caratteri grotteschi: quando negli uffici della Bad Boy Records, l’etichetta che lo ha reso uno dei re della musica, chiama un suo collega e amico storico solo per fargli vedere che c’è una ragazza che sta compiendo su di lui un rapporto orale. Solo per il gusto di dimostrare che P Diddy può farlo, che ora è seduto su un trono, non una poltrona. Da quel trono cadrà, anni dopo. Cadrà facendosi male e portandosi dietro tante persone che avevano creduto in lui e nel suo talento. La musica è il terreno da cui è nata la pianta marcia del denaro. Il documentario in quattro episodi su Netflix si intitola La resa dei conti. Con la legge, per il momento, un punto in questa storia è stato raggiunto: 50 mesi di reclusione trasporto di persone a fini di prostituzione, assolto da traffico sessuale e associazione a delinquere. Nella vita di tutti coloro che hanno sofferto a causa sua, però, la parola fine è ancora lontana dall’essere scritta. Altra scena che simbolicamente sintetizza la parabola del produttore: nel video clip di Hate me now di Nas, Combs è sulla croce al posto di Gesù. Lui è “Black Jesus”, come dirà in seguito a un suo collaboratore (anche lui vittima di molestie). Solo che poi, fuori dall’estetica del video, su una croce ci finirà davvero: i peccati da espiare sono i suoi, la corona di imperatore della musica trasformata in quella spinosa del rinnegato. Il documentario prende il via dalle immagini originali, e mai proiettate prima, girate da un filmmaker quattro giorni prima dell’arresto del 24 settembre 2024. Poi, classicamente, immagini di repertorio si alternano alle interviste di ex collaboratori e amici, gente che in un modo o un altro si è trovata sulla strada di Diddy. Combs e gli avvocati hanno già attaccato 50 Cent, che è produttore della serie, e Netflix, in quanto quei filmati sarebbero stati “rubati”. Di contro, la regista Alex Stapleton ha rivendicato il pieno possesso dei diritti sul materiale girato.
Cassie Ventura ha vissuto una lunga relazione di undici anni con Diddy. Anni di costrizione al sesso e violenza; nel documentario si vede il produttore che la trascina per i capelli dopo un litigio. Cassie lo accusa, poi accetta un accordo economico. Solo una delle decine di persone che hanno denunciato Puff. Dicono di lui: partito come un ragazzo di Harlem che voleva diventare famoso; comincia come ballerino, non beve, non fuma, non usa droghe; fa carriera velocemente perché è disposto a tutto; prova una fascinazione morbosa per figure temute, gangster e criminali. Tratti di un percorso che culmina nella condanna. Ma si vedeva, fin dall’inizio, ripetono gli intervistati. E lo dice anche Joi Dickerson-Neal, vittima di violenza sessuale mentre era drogata, 30 anni fa. Ci sarebbero anche dei video dell’accaduto, proiettati da Diddy durante una festa. Infine, i tasselli di due omicidi che hanno cambiato la musica contemporanea: il primo, Tupac, odiato, pare, da Diddy, considerato nemico e pericoloso per il rapporto tra Combs e Notorious B.I.G; quest’ultimo viene ucciso, come conseguenza logica – una logica del sangue: quella del rap dell’epoca – del primo assassinio. Sean Combs per alcuni sfruttò la morte di Biggie per diventare egli stesso una star, facendo pagare alla star uccisa persino il suo funerale, un’ottima pubblicità per la Bad Boy Records. Simply business, come per altri miliardari americani, si veda la storia di Vince McMahon. E una vicenda di abusi. Anche qui, copione già usato: dagli Epstein files alla Terrazza Sentimento. Tutto il marcio del sogno americano. Diddy Combs, la resa dei conti e la croce che si è intagliato lui stesso.