Un bacio al marito e al bambino, caffè da asporto, il solito traffico di Washington D.C. lungo il tragitto verso la Casa Bianca. Quello di A House of Dynamite, diretto da Kathryn Bigelow (The Hurt Locker e Zero Dark Thirty – quest’ultimo uno dei film più importanti sull’America post 2001), presentato alla Mostra di Venezia 2025 e ora disponibile su Netflix, è il solito inizio del solito giorno in ufficio. Poi qualche battuta con i colleghi, mille documenti da controllare e firmare. I protocolli, nel centro di comando strategico nucleare Usa, sono stringenti. Teoricamente comprendono ogni possibile scenario. “E menomale!”, direbbe Totò. Insomma, in una giornata come un’altra i radar di una base americana in Alaska individuano un missile atomico in volo dal Pacifico. Chi l’ha lanciato ancora non si sa, ma la direzione è il territorio Usa. La negazione degli analisti porta a pensare a una semplice provocazione nell’eterna partita a scacchi della geopolitica. Talvolta può essere una flotta che si muove verso una costa per mettere pressione ai nemici, in altri casi il gioco dei non detti in diplomazia. Questo è il gioco in cui siamo immersi e che, come ha detto la stessa regista, abbiamo “normalizzato”. Fatto sta che Olivia Walker (Rebecca Ferguson) si trova a dover gestire l’emergenza. Perché quei missili stanno andando suborbitali e il sistema di difesa statunitense fa cilecca. Del resto le probabilità di colpire il bersaglio in volo erano solo del 61%, dice il vice consigliere per la sicurezza nazionale Jake Bearington (Gabriel Basso). Praticamente il lancio di una moneta. 18 minuti e sarà impatto. Sia il sottosegretario alla Difesa (Jared Harris) sia il POTUS (Idris Elba – sembra Trump ma non è) chiedono risposte: sono stati i cinesi? Forse le “canaglie” Iran o Corea del Nord? O, come ai vecchi tempi, i russi? L’esperto da interpellare è sempre un altro, la decisione slitta di continuo, mentre il tempo passa e la tragedia si avvicina. Dei milioni di protocolli resta poco e nulla. Solo la decisione dell’inquilino della Casa Bianca.
Inevitabile pensare a Stanley Kubrick e al suo Dr. Stranamore, anche se dal punto di vista registico le differenze sono sostanziali: lì la camera (spesso) fissa incastrava i volti dei protagonisti incapaci di interrompere l’escalation, qui con camera a mano entriamo nelle stanze dei vari centri di comando, di cui perdiamo presto il conto durante la visione, intrecciati tra sigle e funzioni. In particolare nella scena dei due piloti che potrebbero sganciare l’ordigno in risposta all’attacco la commedia kubrickiana è un rimando evidente. Gli stessi eventi, poi, sono narrati (sceneggiatura di Noah Oppenheim) a partire dai diversi punti di vista: scoperta dell’ordigno, tentativo di difesa, accettazione del (quasi) inevitabile (anche questa costruzione usata da Kubrick in Rapina a mano armata). I protocolli in A House of Dynamite si dimostrano insufficienti a gestire la situazione. Anzi, proprio la capillarità delle istruzioni non fa altro che peggiorare le cose - 18 minuti son pochini per seguire l’intera catena di comando. Sottilmente satiriche (di nuovo: Kubrick) alcune scelte di Bigelow, che comincia il film con l’inquadratura di un soldato americano della base in Alaska mentre controlla il territorio circostante: nell’era atomica e dei razzi suborbitali lanciati dal Pacifico, forse, la sua è una funzione piuttosto superflua. Altri paradossi: quella testata potrebbe essere malfunzionante o “finta”, dunque un’eventuale risposta scatenerebbe il conflitto nucleare; ma sacrificare una città e milioni di persone, forse, vale la pena per sventare l’apocalisse; al contrario, propone qualcuno, serve colpire subito, per prendersi tutto, cogliendo l’occasione e sotterrare finalmente gli avversari. La variabile indipendente, suggerita all’orecchio del comandante Brady di STRATCOM: “Magari è l’opera di un generale che è stato lasciato dalla moglie ieri sera”. In un’intervista di qualche anno fa a Rolling Stone, Enrico Ghezzi aveva detto che i leghisti avrebbero dovuto guardare Dr. Strangelove. Bene, il consiglio vale anche per A House of Dynamite (sempre dopo Kubrick), ma la platea da consigliare è decisamente più ampia.