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Terrazza Sentimento su Netflix è disgustosa: vuole farci empatizzare col 'povero' stuprat0re Alberto Genovese

  • di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

6 novembre 2025

Terrazza Sentimento su Netflix è disgustosa: vuole farci empatizzare col 'povero' stuprat0re Alberto Genovese
Tre puntate, un'agiografia. 'Terrazza Sentimento' è una sedicente docu-serie imbarazzante e disgustosa proprio per il modo in cui ne è stato impostato il racconto. Le vittime si mostrano di spalle e pentite, il carnefice non c'è ma, nel finale, si dichiara 'cambiato' mentre depone a processo. Assistiamo impotenti a bieco tentativo di redenzione di uno stupratore che, poverino, si sentiva tanto solo fin dall'infanzia. Che schifo.

di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

Non è 'MOW' che scrive qui, sono io, Grazia Sambruna. E me ne prendo ogni responsabilità. Ho appena finito di vedere 'Terrazza Sentimento', la nuova (sedicente) docu-serie Netflix su Alberto Genovese, il ricchissimo imprenditore ma soprattutto stupratore che nel 2020, in piena pandemia, ha segregato nella camera da letto della sua prestigiosa dimora di fronte al Duomo di Milano una ragazza circa maggiorenne. Torturandola e abusandone nei modi più umilianti e degenerati (im)possibili. Per 20 ore di agonia. Lei ne è uscita viva per un pelo, con traumi e danni fisici inimmaginabili. E non è stata l'unica vittima di Genovese, abituato a queste 'feste' piene di eccessi tra fiumi di stupefacenti (cocaina, chetamina e l'immancabile GHB, nota anche come 'droga dello stupro'). Ebbene, le tre puntate aiutano lo spettatore a capire meglio cosa sia successo davvero. Non quella notte, nemeno durante i periodi trascorsi a Ibiza da Genovese con giovani donne che si risvegliavano nella sua villa ricoperte di sangue e senza memoria. No. 'Terrazza Sentimento' è un viaggio nella psiche del carnefice, a ritroso nel tempo, per cercare di sondare le motivazioni delle sue gesta mostruose. Anzi, per trovargli giustificazioni. Chiunque partecipi al racconto, dalla terapista Francesca Andreoli al compagno di classe delle elementari del nostro 'Albi', ne dipinge un ritratto atto a generare in chi guarda empatia e comprensione. Verso di lui, eh. Mica nei confronti delle vittime. Loro, le vittime, compaiono di spalle, in una camera buia, si dichiarano pentite per aver iniziato troppo presto con la droga, per aver dato un dolore ai genitori. Mentre chi le ha prima riempite di bamba e poi abusate con violenza disumana nemmeno si fa vedere (magari non ha voluto o potuto, ma la serie non lo specifica). Vi consiglio la visione di questa robaccia? No. Spero davvero possa bastare quanto state andando a leggere per farvi venire già abbastanza conati di vomito. Dopo la serie parziale e ad personam sul caso Mario Biondo, in seguito all'orrore di quella su Yara, pardon sull'innocentissimo (?) Massimo Bossetti, Netflix raschia l'abisso e riesce a propinare qualcosa di ancora più infimo e rivoltante. I miei più sentiti complimenti, grande N. 

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La prima puntata scivola via quasi indolore, coi classici stereotipi sulla Milano bene: ne emerge un racconto del 'place to be' dove pressoché tutti fatturano compulsivamente ogni giorno e altrettanto compulsivamente pippano ogni notte. Poi via col jet privato a Ibiza, per staccare la spina. Ragazzi, nonostante i cliché che i media tengono tanto a propinare, anche a Milano siamo per lo più poveri come la merda. I ricchi esistono, per carità, i loro festini pure. Ma né il lusso né gli eccessi sono così alla portata di chiunque: la maggior parte delle persone sta con le proverbiali pezze al culo e cerca di arrivare a fine mese, nonostante i folli costi della vita. Dove per 'vita' intendo pagare l'affitto e/o avventurarsi a fare la spesa. 

Dopo questo a mio avviso necessario disclaimer, procedo con tutto quello che mi ha fatto incazzare per davvero di questa nuova puttanata targata Netflix. Per prima cosa, il racconto che viene fatto di Alberto Genovese: nato da famiglia facoltosa (e buon per lui), va a scuola nel Vomero dove, garantisce un amico d'infanzia, viene bullizzato a causa degli occhiali spessi che si trova costretto a portare. "Si sentiva rifiutato, escluso, non è mai riuscito a integrarsi con gli altri. E ne soffriva tanto". Povera stella, verrebbe quasi da abbracciarlo. In ogni puntata, immagino per aumentare l'empatia verso questo stupratore, compare un figurante, un bimbo con gli occhiali spessi, come a ricordare il difficile e traumatico passato di Genovese, sempre pieno di soldi e agi ma incompreso dai compagnucci che lo prendevano in giro. A confronto, il serial killer Ed Gein era proprio un principiante nel campionato dei traumi infantili, tocca riconoscerlo.

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Alberto Genovese compare solo in video d'archivio, con ogni probabilità scaricati da YouTube. Lo vediamo ai gloriosi tempi di Facile.it, di cui è stato giovane founder: ha ancora gli occhiali, è vestito in completo elegante, pare quasi timido mentre biascica un inglese imbarazzante per un milionario del suo livello che, nella vita, si occupa di alta finanza. Pazienza. Poi, il dramma: nel 2014 vende, appunto, Facile.it diventando ancora più ricco. Qui, narra 'Terrazza Sentimento', è come se gli si svuotasse l'esistenza: si ritrova pieno di soldi, ma senza più uno scopo per tirar sera. Confessa a un'amica, è lei a riferirlo nel corso del 'documentario', di sentirsi tanto solo, di spendere soldi in festini per vedersi circondato da gente, per comprare il loro affetto pur consapevole che sia soltanto di convenienza. Di nuovo: non vi viene quasi da entrare dentro allo schermo al solo scopo di abbracciare il nostro stupratore Alberto Genovese? Purtroppo, non si può. Toccherà prendere i fazzoletti per levarci via le lacrime. 

Come lui stesso dichiara, in fase di interrogatorio, sarà proprio in questo periodo 'difficile', ossia il 2014 post vendita di Facile.it, che il carnefice comincia a pippare cocaina, sempre di più. In risposta al vuoto, alla profonda solitudine che gli è nata dentro e che lo attanaglia da mane a sera. Probabilmente anche mentre sparpaglia GHB, la famigerata droga dello stupro, su piatti già pieni di cocaina e chetamina che offre poi alle sue ospiti. Ospiti da lui personalmente selezionate: dovevano essere giovani 'perché dopo i 25 anni, una femmina è finita'. Meglio se appena (o circa) maggiorenni. Magrissime e bellissime. Oltre che inclini a fare uso di costanze. In una chat si legge che per rendere contento Genovese bastava 'dargli a fine serata il suo pesce quotidiano, così poi sta tranquillo'. Per 'pesce quotidiano' s'intende ovviamente una ragazzina pressoché priva di sensi con cui passare la notte, strafatto e fuori di sé. E che sarà mai? Livin' la vida coca!

All'epoca, ogni talk televisivo raccontava di Alberto Genovese e, naturalmente, la serie dà spazio anche al battage mediatico che la vicenda, inevitabilmente, generò. La maggior parte degli spezzoni provengono però da 'Porta a Porta' con Bruno Vespa, da sempre schierato in strenua difesa delle donne, che ospita, per esempio, l'avvocato Annamaria Bernardini De Pace e i suoi sfondoni contro le vittime di Genovese: "A 18 anni una persona è perfettamente responsabile di se stessa, cosa si aspettavano di trovare a Terrazza Sentimento? Perché erano lì?". Mentre i commenti social danno ragione a tale tesi, accusando le giovani si essersela andata a cercare e d'aver ben poco di cui lamentarsi ora, l'unica cosa intelligente arriva da Alba Parietti che sbotta: "Come si fa a infierire così su delle bambine?". Personalmente non mi interessa se queste ragazze fossero baby squillo, escort di professione, tossicodipendenti. Non è il punto. Nessuna, neanche chi di mestiere fa la passeggiatrice, 'merita' 20 ore di violenze e abusi mentre versa in uno stato di semi-incoscienza. Non è un rischio d'impresa, è una violenza aberrante e come tale deve essere trattata. Non esistono giustificazioni, non me ne può fregare di meno se Genovese, poverino, si sentiva tanto solo e incompreso nella vita fin da quando era bambino. Cazzi suoi. 

Il finale della serie, sì vi spoilero pure quello perché l'obiettivo è non farvi perdere tre ore del vostro prezioso tempo a imprecare contro uno schermo, rasenta anzi oltrepassa il ridicolo. Vediamo Genovese, dopo tre anni e mezzo dai fatti, in sede di deposizione. Lo invitano a riguardare il filmato dello stupro e lui sgrana gli occhioni per poi dirsi sollevato: "Sono felice di non riconoscermi nella persona che vedo in quel video, oggi sono un uomo completamente diverso grazie anche alla disintossicazione. Credo di aver avuto tutta quella rabbia perché non mi sentivo amato da nessuno". Uno stupratore redento, che bel lieto fine! Infatti, parte una musichetta gloriosa mentre il Duomo fa da sfondo ai titoli di coda che danno notizia della condanna a sette anni e undici mesi di reclusione per il carnefice. Si glissa, però, sul fatto che, dopo i primi nove scontati a San Vittore, Genovese sia stato trasferito in una clinica-SPA nel varesotto, dove ha avuto la chance di ripulirsi dalla cocaina. Per due lunghi anni. Oggi, apprendo da Google, che Genovese faccia il volontario in centri anti-violenza e, sincera, non me la sento nemmeno di scoprire quanto tempo trascorra effettivamente al gabbio. Sto già bestemmiando abbastanza. 

Un'ultima cosa: se questa serie agiografica è stata costruita in modo così disgustoso per renderla divisiva, per fare in modo di creare caciara e quindi hype intorno al titolo spingendo la gente, grazie alla santa indignazione, a pigiare (ancor più) play regalando visualizzazioni a cotanta porcata, mi rendo benissimo conto di essere, involontariamente, ingranaggio di un fetido meccanismo mediatico e mannaro. Di star facendo il 'loro' gioco. Ma ora che vi ho raccontato tutto ciò che (non) c'è da vedere di 'Terrazza Sentimento', spero davvero che non concederete nemmeno una chance alla santificazione di un ricchissimo stupratore che, forse proprio grazie alla sua opulenza, sta pagando assai meno di quanto dovrebbe.

A nessuno interessa la triste storia di un predatore sessuale 'famoso' per essere andato a caccia di ragazzine 'colpevoli' di trovarsi lì, troppo vicine al loro stesso carnefice. E che oggi si dichiarano 'pentite', loro, su Netflix. Mentre colui che le ha abusate e torturate perché, poveretto, pippava a causa della solitudine, nemmeno ha il coraggio di metterci la faccia. Ma è già quasi santo. Io non voglio far parte di tutto questo marcio e, ne sono certa, neanche voi. W Don Matteo!

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