Chi era Yara Gambirasio? No è vedendo la docuserie su Netflix che lo scopriremo. Le stesse immagini e clip di lei trasmesse in loop in tutti e cinque gli episodi, che a quanto pare avrebbero un obbiettivo soltanto. Proclamare l’innocenza di Massimo Bossetti, condannato in via definitiva all’ergastolo per l’omicidio della tredicenne. Ce lo aspettavamo? Sì, ce lo aspettavamo. Una serie che quasi sembra una crociata contro la pm Letizia Ruggeri, che sembrerebbe più colpevole di Bossetti. Netflix non si piega alla scienza, non c’è test del Dna che tenga, e mentre ci immergiamo in quella che poi è diventata una soap opera fatta di figli illegittimi, chi scrive si rende conto di aver sprecato soltanto tempo. Perché, ammettiamolo, se non si conosce già il caso di Yara guardando la serie forse non si capirebbe un caz*o.
I fatti non vengono raccontati in ordine cronologico, ma si va avanti e indietro nel tempo di continuo. Troppo. Se lo scopo era quello di stordire lo spettatore ben fatto. Si può dare in pasto una storia simile senza garantire a chi guarda un filo conduttore?Anche perché, come ci si può costruire una propria opinione in questo modo? Difficile poi riuscire a distaccarsi da quello che virrebbero farti credere. Più che una docuserie sembra un servizio innocentista in stile Iene. Chissà perché ormai ci risulta così difficile accettare che per una volta la giustizia italiana sia riuscita a trovare un colpevole. Forse ci piacciono di più le storie come quella di Elisa Claps? Dove chi uccide continua a girare indisturbato e libero di uccidere ancora. Sembrerebbe proprio così. Yara aveva appena iniziato ad affacciarsi alla vita, e i suoi sogni le sono stati strappati via nel modo più brutale. Il focus dovrebbe essere su questo, e non su una trama giudiziaria che potrebbe fare invidia perfino a Beautiful. Oltre ogni ragionevole dubbio si era già andati anche prima che arrivasse Netflix. E ora, quale altra crociata innocentista dobbiamo aspettarci?