La scrittrice Chiara Valerio, figura di riferimento intellettualmente apicale della segreteria dem Elly Schlein (insieme, fra molto altro, condividono l’amore per il cartoon Lady Oscar, quasi in forma di manifesto politico-teoretico) in occasione del cinquantesimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini, consegna a La Repubblica, di cui è non meno apprezzata “firma” di prima evidenza, un testo, diciamo, esemplare, che restituisce plasticamente le varie ed eventuali che accompagnano lo stentato analfabetismo argomentativo, storico e insieme modestamente “civile”, in merito a ogni riflessione sull’autore de Le ceneri di Gramsci e di molto altro ancora. Inutile ricostruire per l’occasione il molteplice e la complessità pasoliniani.
Più che legittimamente, per amore di laicità, le passioni personali sono ora e sempre insindacabili, perfino le più modeste. Chiara Valerio argomenta che Pasolini non è stata per lei una lettura prioritaria, molto di più ha trovato sostanza immaginativa, passione, in altri autori, e in proposito cita, fra gli altri, Woolf, Yourcenar, Morante “o, che ne so, Breat Easton Ellis, Fleur Jaeggy, Bufalino o Baricco” (sic). Il seguito del testo custodisce però la materia più stringente del suo sguardo interessato sull’oggetto narrativo Pasolini. Davvero opportuno in questo senso riportarne il passo decisamente esemplare: “Pier Paolo Pasolini non è uno scrittore che ho amato dalla mia giovinezza, sento dunque con lui – indipendentemente che la abbia o no – una confidenza relativa. Voglio dire che ho letto Pasolini, non per curiosità, l’ho letto perché bisognava. Avere una tensione politica all’inizio degli anni Novanta del Novecento, voleva dire essere coscienti di dover leggere Pasolini. Non so se specificamente a Scauri di Minturno in una casa di comunisti o anche in altri luoghi e altre famiglie d’origine. All’inizio degli anni Novanta, inoltre, oltre ad avere una tensione politica, cominciavo a considerare di essere io stessa omosessuale e, così, oltre a comprare tutti i prodotti – dal dentifricio al cibo agli abiti ai quaderni alle gomme da cancellare – che pensavo mi identificassero come omosessuale agli occhi di altri possibili omosessuali senza che nessuno dovesse dichiararsi ma semplicemente si vedesse – questa era la speranza – oltre a comprare, dicevo, tutti i prodotti in una sorta di aurorale forma di cosplay di sé stessi – intenzione che è diventata prassi con i social – leggevo tutti i libri che riuscivo a raccattare dove venivano raccontate o dichiarate storie d’amore gay”.
L’uso posturale del cosplay è in questa storia illuminante. Impone forse di immaginare un Pasolini che cristologicamente risorge per intonare sul carro del Pride Occhi di gatto abbracciato a Elly Schlein, Elodie e la stessa Chiara Valerio, magari trasfigurato nell’uniforme di Lady Oscar. D’istinto, preso atto di queste parole, si è sfiorati dall'idea di consultare le persone ancora in vita che hanno avuto familiarità con lo scrittore per conoscere dalla loro voce diretta, se ovviamente ne hanno memoria, quali tra questi “prodotti”, dunque innanzitutto le singole “marche” brillassero nel quotidiano domestico dell’“omosessuale” Pier Paolo Pasolini, anzi, detto con lente d’ingrandimento semiologica ancora meglio: quali “dentifrici”, quali “cibi”, quali “abiti”, quali “quaderni”, quali “gomme da cancellare” hanno il potere “magico primario” di connotare una persona, poco importa se in questo nostro caso segnata da una pratica poetica e insieme antagonistica intellettuale riferita all'ideologia del consumo, rispetto al proprio specifico sessuale desiderante?
Chiunque, sia pure in possesso di molta fantasia, faticherebbe a ricostruire con esattezza da carta millimetrata questo genere di ordinario “occorrente”, poco importa se riferito alla prima modesta residenza dello scrittore nella borgata romana di Rebibbia (via Giovanni Tagliere, 3) disposto ordinatamente tra mensola del bagno e scrivania, o magari nelle sue successive abitazioni: via Fonteiana, 86 (Monteverde Nuovo), via Giacinto Carini, 45 (Monteverde Vecchio), via Eufrate, 9 (Eur). Ancora più complesso immaginare le medesime cose nei suoi anni trascorsi tra Casarsa in Friuli o al seguito del padre Carlo, dolente ufficiale di fanteria d’origine aristocratica e prossimo a un sentire fascista, ciononostante orgoglioso del proprio figlio scrittore, tra Bologna, Sacile, Reggio Emilia e altre piazze d'armi ancora.
In realtà, ben oltre ogni impossibile “caccia al tesoro” memoriale, riferita appunto paradigmaticamente ora a un “dentifricio” ora a una “gomma da cancellare”, ciò che giunge allo sguardo, in questo nostro caso critico, insistendo nell’interrogativo semantico che Chiara Valerio offre a sé stessa come dato esemplare, resta unicamente un dubbio: esiste davvero un dentifricio che possa connotare l’omosessualità, in questo caso riferita a un intellettuale marxista che affermava che “si applaudono sempre i luoghi comuni, mentre occorrerebbe praticare l’atrocità del dubbio”, con un riverbero quasi feticistico? Qualcuno, davanti a tale interrogativo capitale, rispondendo sui social, ha immaginato che potesse trattarsi, per chi ha netto ricordo iconico della sua confezione che sa d’amor cortese odontoiatrico “settecentesco”, del Marvis. Si tratta però di semplici ipotesi, suggestioni arbitrarie, paramnesie, letteralismi da manuale dei luoghi comuni cari al Flaubert dei poveri, inermi “imbecilli” Bouvard e Pécuchet.
Si sappia che l’intenzione di chiamare l’amico Ninetto Davoli o magari Dacia Maraini per conoscere da loro quale potessero essere i “prodotti” esatti dell’epifania gay pasoliniana è venuta meno ancor prima di digitare i loro rispettivi numeri sul cellulare. Chissà però se i responsabili della cultura di “Repubblica”, che hanno commissionato e implicitamente controfirmato con la pubblicazione le parole di Chiara Valerio, sanno invece se si trattava proprio del “Marvis” o magari del “Binaca” o piuttosto della nazional-popolare “Pasta del Capitano”? Attendiamo quindi risposta a stretto giro dalla direzione di largo Fochetti.