Più che una serie Landman sembra un editoriale di Jeremy Clarkson sul The Sun, quelli del sabato, una raccolta di frasi che smontano, pezzo dopo pezzo, il buonismo dei nostri giorni. Vale la pena di usare questo termine, perché in un certo senso questa serie incarna il “cattivismo” dei nostri giorni: il petrolio, il menefreghismo nei confronti dell’eolico, del fotovoltaico e delle auto elettriche (viene menzionata la batteria inquinantissima della Tesla), le donne oggetto. Ma il punto è che i personaggi scavano in cerca di petrolio e perculano l’energia pulita perché vivano lo spazio di ottant’anni su questa terra (e in quel caso “questa” vuol dire il Texas) e non hanno tempo di raccontarsi grandi favole: qual è l’alternativa, per loro, per tutti, al petrolio? Concretamente, domani, fra tre anni? L’eolico? Le batterie costruite con le terre rare?
Poi: le donne sono Barbie? Sì, e sono contente di esserlo. Le protagoniste sono quattro: la figlia e la moglie di Tommy Norris, che gestisce le crisi per il più importante produttore indipendente del settore, l’avvocata della compagnia e la moglie del miliardario. Le prime due sono due bionde sensibili ma decisamente poco woke (e anche poco intelligenti): insomma, le “classiche bionde”. Le altre due invece sono intelligenti, hanno una laurea, sono cattive. Le definiremmo “donne con i pantaloni”. Fine. Senza grandi sofismi di sorta. Senza queerness, senza ruoli più sfumati. Per una stagione e due episodi (quelli nuovi, usciti in questi giorni), le donne, gli uomini, il petrolio, le vicende, sono uno schiaffo al nuovo galateo ideologico che ha conquistato praticamente ogni cosa da Netflix a Disney+.
Come si chiedeva il 26 novembre sul New Yorker Kyle Chayka: “Il dramma dell'industria petrolifera di Taylor Sheridan si basa su stereotipi di genere, politica reazionaria e palese inserimento di prodotti. Perché, allora, è così dannatamente soddisfacente?” E, come si spiega nel pezzo, machismo e petrolio, mascolinità e fonte di energia tossiche, sono tutt’uno. Persino chi tenta di fuggire deve adottare un atteggiamento “maschile”, si dice, da self-made man, da cercatore di petrolio, in modo da arricchirsi e fuggire. Insomma, questa serie neo-western è tutto fuorché conciliante per gli eco-ansiosi e tutti coloro che chiederebbero uno sportello di ascolto persino in un supermercato.
È semplicemente spiazzante, e questo eccita enormemente Jezza: “Oggi, quando accendiamo la televisione, sappiamo cosa aspettarci. In ogni discussione post-partita di calcio ci saranno delle donne e in ogni dramma ci sarà un omosessuale e qualcuno alle prese con la propria identità di genere. E anche nel mezzo di uno scontro a fuoco tra alieni, ci sarà una lezione sul riscaldamento globale e sul perché lo Stato di Israele sia malvagio. Al giorno d'oggi non c'è spazio nei film o in tv per il dibattito. Solo per fatti instagrammabili. Il tuo latte dovrebbe provenire da una noce. La tua auto dovrebbe essere elettrica. Dovresti essere orgoglioso del cambio di genere di tuo figlio e Donald Trump è uno stronzo. Ma poi arriva Landman, dove il personaggio principale ci dice che la birra non rientra tra le bevande alcoliche, e uno degli attori secondari afferma che non c'è niente di male nel bere un po' di alcol durante l’allattamento”.
Siamo a metà tra spirito neo-con (avete presente? Porto d’armi, cappelli da cowboy, macchine costose e inquinanti, donne formose, tette rifatte, case troppo grandi) e il libertarismo à la Clint Eastwood. Le cose sono come sono, la gente è quello che è, non crede di dover essere o di dover fare di più per il mondo o per l’ambiente. Magari deve di più per se stessa, per le persone che ama, per i figli e, espressione che ricorre, “per i loro figli”. J.D. Vance ha portato nel dibattito il concetto, ma è Sant’Agostino ad averne parlato: ordo amoris. Cioè una scala di priorità morali che vanno dalla vita vera alle seghe mentali. Landman è una serie grassa, unta, piena di alcool e fumo, che hai voglia di vedere mentre indossi degli stivali sporchi e appoggi i tacchi pieni di fango secco sul tavolino da tè. E se avessi un tavolo, probabilmente, almeno quei sessanta minuti di episodio, lo farei.