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Nessuno ne parla, ma a Caltanissetta si riscrive la storia delle stragi, da Capaci a via Palestro: il presunto depistaggio, le rivelazioni della testimone Marianna Castro e il ruolo dei servizi segreti

  • di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

  • Foto: Ansa

26 novembre 2025

Nessuno ne parla, ma a Caltanissetta si riscrive la storia delle stragi, da Capaci a via Palestro: il presunto depistaggio, le rivelazioni della testimone Marianna Castro e il ruolo dei servizi segreti

Foto: Ansa

di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

La storia è fatta di movimenti lenti. Assomiglia più alla geologia che alla politica. Alcuni passaggi, però, accelerano il cambiamento. I capitoli più oscuri della storia d’Italia sono quelli che hanno contribuito a renderla ciò che è oggi. Sull’attentato di mafia avvenuto a Capaci il 23 maggio 2022 non sappiamo ancora tutto. Una tela di cui ancora non riusciamo a vedere il disegno. Ciò che avvenuto prima di quel giorno, e chi ha fatto in modo di arrivarci, è stato nascosto dietro un muro di finte verità e acque sporche, servizi segreti, piste interne e straniere. I burattinai ancora dietro al velo. A Caltanissetta si sta celebrando il processo sul presunto depistaggio a cui praticamente nessuno sta facendo attenzione. Ne parla Tommaso Ricciardelli sulla sua pagina Parliamo di Mafia: “Dentro quest’aula si stanno raccontando cose che se confermate riscriverebbero interi capitoli della storia delle stragi di mafia”. Gli imputati sono Angiolo Pellegrini e Alberto Tersini, entrambi ex generali; testimone chiave è Marianna Castro, la “libica”, collaboratrice di giustizia ed ex compagna del poliziotto Giovanni Peluso, a sua volta imputato per concorso esterno in associazione mafiosa. La donna ha ricordato alcuni fatti del 1997, quando l’ex compagno la portò a Capaci per farle “visitare” il luogo della strage, raccontando come era stato messo il tritolo e da dove l’esplosivo venne fatto detonare. Chi aveva in mano quel telecomando? “Il telecomando non l’aveva premuto Brusca”, ha proseguito Castro, “ma bensì i servizi segreti, loro”. Di “loro”, appunto, faceva parte anche Peluso: “Ma che hai ammazzato la gente qua? E lui stava zitto, non rispondeva”.

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Già all’inizio della frequentazione Peluso aveva raccontato di “un lavoro particolare” fatto in passato, “che era stato al Sismi, poi negava”. L’esplosivo che Marianna Castro trova nella sua macchina serviva proprio per uno di quei “lavori particolari”? Castro scopre l’ordigno e il venerdì precedente alla strage Peluso parte per Palermo. Torna il lunedì successivo: “Mi sembra strano che tu sei sceso e c’è stata la strage”. Ma l’agente dice che è sceso per un’indagine e per portare dei documenti a Roma. Castro lavora in quel momento al Consiglio Superiore della Magistratura e il sabato dell’attentato riceve una telefonata dall’America: “Mi chiamarono dall’America al Csm spacciandosi per Gotti. Dice: la volevano salutare. Io ho detto: non vi conosco”. Stessa cosa il lunedì seguente: “Mi fecero un’altra telefonata, salutandomi e ringraziandomi”. I motivi del “saluto” li accenna Peluso alla donna, parlando della malavita italo-americana e l’indagine Pizza Connection, fatta per smantellare il traffico di droga tra Usa e Italia e a cui aveva partecipato lo stesso Giovanni Falcone. Peluso viene arrestato nel 1998 e in carcere conosce quattro detenuti, Giuseppe Porto, Barca, De Nicola e Pietro Riggio, a suo dire incaricati della cattura di Bernardo Provenzano. Peluso, che aveva parlato con il collaboratore Antonio Mazzei (ritenuto da Peluso un “agente della Cia”), dice che anche Riggio aveva dei contatti con i servizi. Castro racconta della conoscenza di Giovanni Aiello, “Faccia da mostro”, ex agente segreto morto di infarto nel 2017, mentre era in spiaggia in Calabria. Aiello e Peluso sarebbero partiti, da quanto riferito ancora da Castro, “tre giorni prima” delle stragi di via dei Georgofili e di via Palestro del 1993. Questa la ricostruzione della testimone. Sulle conseguenze delle dichiarazioni ci sonop oche certezze. Troppe domande restano ancora sospese. Ricciardelli, però, conclude il suo articolo sottolineando una cosa: il silenzio. A Caltanissetta si potrebbe riscrivere la storia di quei grovigli ancora irrisolti. Eppure pochissimi ne parlano. “Come se qualcuno volesse ancora nascondere la polvere sotto al tappeto”.

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