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L’inchiesta Hydra e il “patto” tra Cosa Nostra, Camorra e ‘ndrangheta in Lombardia. Al Pulp Podcast le diramazioni della mafia, tra la ricerca di “appoggi” in politica e nell’imprenditoria

  • di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

  • Foto: Pulp Podcast

3 novembre 2025

L’inchiesta Hydra e il “patto” tra Cosa Nostra, Camorra e ‘ndrangheta in Lombardia. Al Pulp Podcast le diramazioni della mafia, tra la ricerca di “appoggi” in politica e nell’imprenditoria
La mafia in Lombardia si muove di concerto. Questa, almeno l’ipotesi dietro all’inchiesta Hydra: Camorra, Cosa Nostra e ‘ndrangheta, unite per il business. È l’argomento dell’ultima puntata del Pulp Podcast di Fedez e Mr. Marra. Ecco tutto quello che è emerso

Foto: Pulp Podcast

di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

Si parla dell’inchiesta Hydra a Pulp Podcast, una delle più importanti e pesanti degli ultimi tempi, che comprende le tre grandi associazioni mafiose italiane. Un’inchiesta condotta dalla Direzione Distrettuale Antimafia sulla Camorra, su Cosa Nostra e sulla ‘ndrangheta in Lombardia. Tre anni di indagine, 143 imputati. “Non è che le tre mafie si sono messe insieme a livello nazionale”, dice Tommaso Ricciardelli, esperto di crimine organizzato e fondatore della pagina Instagram Parliamo di mafia: “Le tre mafie si sono messe insieme in Lombardia per non farsi la guerra, per non spargere più sangue”. Ricciardelli parla del presunto conflitto tra la Procura e il giudice per le indagini preliminari: “Volevano arrestarli tutti, a un certo punto il gip si è opposto”. Non era provata, quindi, secondo il gip, l’esistenza di un simile sistema mafioso lombardo. Ma il focus della Procura era, appunto, la Lombardia. È su questa regione che si concentrano le oltre mille pagine presentate dai pm. “Ne hanno parlato in Rai una volta. Poi le più grandi testate nazionali hanno evitato l’argomento”, dice ancora Ricciardelli. Quest’estate, però, l’argomento è riemerso. Interviene a Pulp anche Klaus Davi: “La mia sensazione è che abbiano approfittato di alcune fasi di transizione” e abbiano chiuso questo patto. Insomma, una zona grigia in cui un “accordo” tra le tre associazioni è diventato possibile: “Dal punto di vista della ‘ndrangheta che è la più gerarchica e liturgica, non mi è chiaro quale sia la filiera di questa decisione”. Davi, infatti, dice che “non è ancora chiaro se questo è un fatto episodico o sistemico”. Restano delle perplessità, ma la certezza è che ora “si punta al business, a fare cassa senza fare casino, senza ammazzare”. Almeno così pare: “Poi, però, gli attentati a Ranucci vengono fatti”. “È la mafia borghese”, dice Klaus Davi, “che in nome dell’interesse borghese, e quindi l’evoluzione antropologica, che fa affari anche a discapito di quelle che sono certe tradizioni culturali delle mafie. Hydra la sintetizzerei così”. Il primo pentito, in tutto questo, deve ancora parlare. Serve cautela.

L’inchiesta infatti non è finita: altre ordinanze di custodie cautelare, dice Ricciardelli a Pulp, partiranno. Uno scenario inedito, con tutti i dubbi del caso. Davide Marra fa un recap: fine maggio 2025 nell’aula bunker sono iniziate le udienze preliminari; il network ipotizzato si fonda su un patto di non belligeranza. Di nuovo: una pace volta a fare affari. I business li conosciamo: droga, estorsioni, riciclaggio, infiltrazioni nella sanità. Il modo di muovere i soldi, però, è nuovo: l’underground banking (grazie a tecnologie cinesi, dice l’esperto Matteo Flora, entità invisibili che permettono di trasferire enormi somme all’estero. Sistemi usati da imprese, persone facoltose e associazioni criminali. La presunta cosca non avrebbe un unico capo, come dice Daniele Piervincenzi: ci sarebbero i mandamenti siciliani di Castelvetrano, la colonna romano dei Senese, i sanlucoti dell’Aspromonte. Poi aggiunge: “Non c’è stata la mobilitazioni di cronisti che ci aspettavamo”, “va detto che le nuove norme volute dal governo sono estremamente restrittive per chi fa giornalismo investigativo”. Il silenzio generale, quindi, non sarebbe dovuto a un'unica ragione. Nome chiave è Paolo Aurelio Errante Parrino, già condannato per mafia e parente di Messina Denaro, referente della mafia trapanese. Aveva un bar, il Las Vegas, dove si vedevano i presunti boss, tra cui il nipote di Gaetano Fidanzati, già accusato di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. La moglie di Parrino, Antonina Bosco, è cugina di Gaspare Como, marito della sorella di Matteo Messina Denaro. Ciò che preoccupa la procura è l’intreccio tra politica, imprenditoria e criminalità organizzata. Ma da che menti, chiede Marra, arriva l’idea di comporre un tale Hydra?

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Come si muove la mafia in Lombardia e a Milano? Ansa

I nomi non li conosciamo, ma “le mafie di giù, sia i Senese di Roma, sia gli uomini di Cosa Nostra trapanese e palermitana, sia la ‘ndrangheta, sono riusciti ad avallare questa cosa”. È una mafia, però, che uccide molto meno, senza rinunciare alle botte: è una mafia che picchia ma non ammazza. Perché le morti portano attenzione della stampa e dell’opinione pubblica. Al podcast si ricorda che, per sottolineare come queste associazioni si stiano interfacciando con il potere, il sindaco di Abbiategrasso (non indagato) si sia incontrato con Parrino. E ci sono anche delle intercettazioni a dimostrare che i due si conoscevano. Nella puntata si ricorda della capacità di infiltrarsi grazie al Superbonus, costituendo aziende, prendendo i soldi dell’appalto e vincendo la gara per poi lasciare non finiti i lavori: “Prendi i soldi e scappa”. “Durante il Covid loro pagavano diversi commercialisti e diversi impiegati di banca per farsi dire chi erano gli imprenditori che avevano chiesto liquidità immediata”, sottolinea ancora Ricciardelli. Ed è lì che si inserivano le associazioni, che proponevano affari e investimenti. “Si sono comprate progressivamente la maggioranza delle aziende”, partendo da semplici prestiti per poi prendersi il grosso delle quote delle società. Ma cos’è “la bacinella”? Un fondo comune delle mafie, per mettere soldi da parte. E fare qualcosa che non facevano più: “Dare i soldi ai carcerati”. Tanti infatti sono finiti in galera. Anche loro in qualche modo vanno mantenuti. Inoltre, dice sempre Ricciardelli, la criminalità ha necessità di bassa manovalanza, basti pensare a Palermo, dove Cosa Nostra ha “appaltato” lo spaccio alla mafia nigeriana. Seguono alcune considerazioni di carattere più generale: il fatto che “il Dio denaro” abbia sostituito, nella ritualità mafiosa, certe tradizioni; che in un contesto in cui la gente non va a votare le preferenze che le associazioni spostano sul territorio contano più che mai a livello politico (e infatti Ricciardelli sottolinea che i reati di voto di scambio sono molti di più di quelli per corruzione). Alla fine si ritorna allo stesso punto: il gancio con la politica. “I clan hanno provato ad interloquire direttamente con Fratelli d’Italia, perché le mafie si mettono sempre con il vincitore”. “Il presunto consorzio milanese avesse scelto Fdi per portare un suo uomo in Parlamento”. Si tratterebbe di un medico, non indagato, direttore generale della clinica di Bollate Anni Azzurri di gruppo Kos, parte della galassia di De Benedetti. I clan volevano candidarlo a Desio. Un presunto sodale di Gioacchino Amico, Giancarlo Vestiti, pare vicino al clan senese, il più importante contatto del clan in Lombardia, aveva spinto per la candidatura di Ceraulo: “Volevano che prendesse pacchetti di voti”. La pm Alessandra Cerreti, notizia recente, è stata minacciata da un presunto componente del clan Senese: “In tre momenti del processo gli avrebbe fatto tre segni della croce con la mano sinistra”. Il mondo di mezzo si allarga: la Lombardia è il fulcro di tutto.

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