La Malattia dell’Ostrica è una piccola meraviglia del podcasting, verosimilmente il miglior prodotto del genere uscito nell’ultimo anno. Il suo ideatore, Claudio Morici, è un personaggio fiabesco e fantasioso, uno che ogni tanto dice carcola come fanno i romani, apparentemente libero da ogni imposizione. Morici parla del femminismo da social (“mode in cui ovviamente caghi fuori dal vasetto miliardi di volte”), di Tony Effe, di emergenze spirituali, di Philip K. Dick che vede la Madonna e dell’impeto sregolato di ogni scrittore, fatta eccezione per Italo Calvino. La prima cosa che mi dice dopo che ci siamo presentati: “Ma tu che lavoro fai?”, gli rispondo che il giornalista è il mio vero lavoro. Non se lo aspettava.

Partiamo: chi cazzo è Claudio Morici?
Claudio Morici ride, sono le 16:23 di una domenica pomeriggio. Ci siamo dati appuntamento tramite webcam come durante la pandemia. Lui è in camera di suo figlio, di cui si intravede un pupazzo di Iron-Man.
“Ah vabbè, me lo chiedo tutti i giorni”.
Riformulo: com’è che sei spuntato nelle nostre vite in questa maniera inaspettata?
“Io ho una formazione da psicologo, era la mia passione, mi sono addirittura laureato con un anno d’anticipo: uno studente modello. Poi ho fatto un viaggio in Messico, da solo, perché m’ero pure appassionato di stati alterati di coscienza, quindi a 24 anni sono andato dalla figlia di Maria Sabina, la sciamana che mi ha fatto conoscere il fungo allucinogeno. Sono stato nel deserto col peyote, da solo… Me ‘so fatto tutti sti flashoni così, capito? ero uno psicologo con una passione conoscitiva, forse era anche un po’ una moda, avevo pure pubblicato la tesi sui sogni lucidi. A quel punto, tornato in Italia, ho lavorato coi ragazzi psicotici per tre anni, ma ho cambiato attività quando ho capito che non era per me. A quel punto ho cominciato a fare il pubblicitario. Poi oh, c’ho 52 anni, l’ho presa larga”.
Claudio comincia a raccontare dei suoi anni da pubblicitario e dei lavori per Save The Children, Medici Senza Frontiere, Unicredit Banca. Racconta di aver fatto lo sceneggiatore per dei cartoni animati online - qualunque cosa voglia dire - per circa 150 episodi. Confessa di aver surfato sulla new economy lasciando il posto fisso per un secondo, lunghissimo viaggio in Messico e da lì per viaggiare ancora, scrivendo continuamente. Dice di aver passato cinque ore al giorno a scrivere, tutti i giorni, in giro per il mondo, di aver pubblicato tre libri, di cui uno (“La terra vista dalla luna”) con Bompiani. Lascia intendere che il mestiere dello scrittore l’ha fatto soffrire, perché è campare d’aria seduti su di un aereo che non decolla: “A un certo punto decido di tornare in Italia perché avevo esagerato, c’avevo il cervello in pappa. Dalla Malesia ho preso appuntamento per uno psicanalista a Roma: che, c’avete posto tra tre settimane?”.
Tornato in Italia Claudio conosce una donna, si lasciano quasi subito ma fanno un figlio, che oggi ha 11 anni. Lui torna a fare il pubblicitario, cerca dell’altro, comincia a fare spettacoli e finisce a Italia’s Got Talent, poi a Propaganda Live e ancora sui social, tra Tik Tok e Instagram: ritmo micidiale, grande penna, contenuti sublimi per la fruizione veloce a cui siamo abituati. Ora Claudio Morici firma un podcast, prodotto da Fandango e dal Teatro Metastasio, un libro e uno spettacolo in giro per l’Italia, tutto sotto il nome La Malattia dell’Ostrica. È, appunto, il podcast dell’anno.
Come hai fatto a capire che Tik Tok, usato con il tuo linguaggio, ti avrebbe aiutato ad arrivare alla gente?
“Avevo fatto Italia’s Got Talent ed ero arrivato in finale, lì c’hai una visibilità enorme e tra feste aziendali e altre cazzate magari ne sarei pure uscito ricco. A quel punto è arrivato il lockdown, pensa te: ha chiuso l’Italia. Che a dirla tutta manco mi sono depresso più di tanto, alla fine ero uno scrittore che stava facendo Italia’s Got Talent. A quel punto mi sono messo a fare i video sui social, con la pandemia è diventato quasi automatico e un paio di video sono andati virali. Non potevo più fare il teatro, ma alla fine manco quello era proprio il mio. Soltanto i libri potevano esserlo. Che poi teatro, video, Tik-Tok… per me è la stessa cosa, faccio l’artista e del resto non me ne frega niente. Me potrei pure mette a fa’ un quadro”.
Come sei arrivato a La Malattia dell’Ostrica? Voglio dire, di tutte le cose che potevi raccontare hai scelto di parlare al mondo della condanna di ogni grande scrittore.
“Per tre anni ho fatto un programma sugli scrittori per Rai Play, forse settanta puntate, e a un certo punto mi sono accorto che erano tutti matti. Tra gli scrittori c’è una percentuale di ricoveri altissima, oltre ad una grande correlazione tra la bipolarità e il genio letterario. Tra gli artisti, gli scrittori sono quelli più a rischio di suicidio, tralasciando i poeti che so’ pure peggio. La mia idea è stata semplice: ma perché facciamo studiare a scuola, ai bambini, cose scritte da gente che s’è ammazzata? A scuola studi il flusso di coscienza di uno che è stato ricoverato proprio per quei pensieri lì, eppure non lo dice nessuno, viene visto come un tabù. Eppure i fatti ci dicono che l’apice della società è composto da matti: tu per far crescere dei ragazzini svegli offri loro i ragionamenti più alti della storia, che però sono stati concepiti quasi sempre dai matti. Fa quasi ridere no?”.
Pensi che esista un genio sano?
“Nel libro dico che di sano c’è solo Calvino. E lo prendo per il culo dall’inizio alla fine. Solo lui è genio senza malattia mentale, per il resto c’è una significativa percentuale di psichiatrici anche se ovviamente non è una regola. Pensa ai capolavori però, prendine 50: chi li ha scritti? Quasi tutti avevano un disturbo psichiatrico. Nel cinema non è così, c’è un sacco di gente felice”.
Forse perché guadagnano un sacco di soldi mentre gli scrittori fanno più fatica. Senti, la tua Malattia dell’Ostrica qual è stata? Cosa ti ha portato a fare qualcosa di diverso, di sconosciuto, di nuovo in vita tua?
“Sicuramente la depressione. In vita mia ho avuto qualche piccolo episodio, anche se ne sono uscito abbastanza presto. E poi ci sono quelle che alcuni psicologi illuminati chiamano le emergenze spirituali. Esiste un disagio che ha un certo tipo di contenuto e funzione all’interno della tua vita. Ha delle caratteristiche simili alla psicosi, anche se sono più patologiche, ma in realtà è un momento di passaggio verso un’esigenza sana di trascendenza dell’io. Una necessità che può portare a momenti particolari ma difficili da diagnosticare, anche perché da lì è un attimo sfociare nella patologia. Jung è stato pazzo per un anno e mezzo dentro casa, aveva le allucinazioni. Nel podcast è Philip Dick ad aver vissuto una cosa simile”.

Come lo scrivi, il podcast? Che processo segui?
“Me lo sono inventato, perché oltre all’idea e alla voce - che diventa sempre più mia - credo che è il modo in cui fai le cose a renderle tue”.
A questo punto Claudio Morici racconta il processo creativo: un casino impossibile da riportare. Una sintesi: “Io cerco di farlo quasi cantato, con musiche scelte da me. È un processo totalmente sbagliato”.
Oggi siamo tutti dei media, ognuno vuole mantenere l’attenzione su sé stesso, stare al centro del mondo. Perché tutti ci provano e pochi ci riescono? Cosa sbaglia secondo te la gente che vuole emergere sui social?
“Da quando esiste questa roba conta la passione vera per l’argomento. Io non faccio una ricerca universitaria, lo faccio perché mi piace proprio. C’è gente su YouTube che fa lavori pazzeschi parlando, che ne so, di Emily Dickinson. La cosa è che… nun poi più bleffà. Ce devi crede. Devi essere vero, perché viene meglio. Penso sia questo a fare la differenza”.
Il tuo podcast è fortemente femminista, però non cadi mai nella tentazione di impiegare il femminismo come una bandiera o come l’occasione per fare la morale alla gente. È una scelta o t’è venuta così, alla romana?
“Mah, non ho formalizzato un granché la cosa. Ovviamente se studi la storia delle scrittrici donne ti ritrovi in quelle dinamiche lì, talmente evidenti… ma non c’ho un messaggio in questo senso, leggo queste cose tra le righe delle loro vite e le racconto. Poi ogni tanto m’affeziono e mi sento come se parlassi di un’amica mia e finisce che tantissime cose non le dico perché non c’è tempo, perché stonano o non entrano nel ritmo che cerco e a me spiace tantissimo, anche se razionalmente mi rendo conto che sarebbe impossibile dire tutto quello che pensi di una persona. E mi sento in colpa ogni volta. Come se non avessi detto abbastanza e in maniera autentica. Me sento ‘na merda, ‘me sento”.

Cosa pensi del femminismo social?
“Sono periodi storici, mode in cui parti da principi importanti ma poi ovviamente caghi fuori dal vasetto miliardi di volte. Ma ci sta pure, è normale fare un sacco di errori. Io penso che anche se hai ammazzato quattro persone i libri tuoi devono uscire. La gente non deve rompe i cojoni. Stessa cosa se fai una serie tv e si scopre che sei pedofilo: ma che stamo a scherzà? Gli artisti so’ pezzi de merda. Una cosa è essere brave persone, un’altra è essere artisti. È incredibile”.
Eppure la gente vuole una guida morale dagli artisti: un enorme malinteso.
“Salgari si è trucidato lasciando per strada cinque bambini con la moglie in ospedale e l’ha fatto perché non c’aveva una lira. Eppure i suoi libri li abbiamo letti”.
Ora è anche un po’ il contrario: pieno di ostriche malate, anche se dentro manca la perla: tutti cercano l’eccesso, la vita spericolata. La gente dice ‘ah, sono un artista’, ma anche questo è un malinteso: non dovresti dirtelo da solo, te lo dovrebbero dire gli altri. Ci sono sempre stati tutti questi poser?
“Sì, penso che questi personaggi ci siano sempre stati. Magari adesso sono di più come quantità, però io immagino proprio il bar a fine ottocento con la gente che urla sono poeeeta! Sono poeta così! (Claudio Morici fa gesti alla Mario Brega, ndr). C’è sempre stata questa roba, non mi preoccupa. Dostoevskij rosicava perché c’erano due più famosi di lui in Russia. Wallace s’è ammazzato perché non si sentiva più all’altezza. E tu dirai: ‘A Wallace, perdonami: ma che te frega, scusa? Hai un libro che ogni anno se lo legge più gente. Il punto è che gli artisti pensano un sacco di stronzate, sia i geni che le pippe. Celine, il mio scrittore preferito… mi sono andato a leggere Brigatelle per un massacro convinto che lo avessero accusato di nazismo e che invece… invece un cazzo, era proprio un nazista!”.
Contestualizziamo questa intervista: Tony Effe non farà il concerto di capodanno a Roma. È censura? È normale?
“Non ho un’idea forte, perché sta un po’ in come organizzi i concerti. Di certo è sbagliato il fatto che prima lo inviti, senza sapere chi è e cosa dice, e poi ci ripensi. Il vero peccato è quello, gli organizzatori non l’avevano considerato”.
D’accordo. Ma questa è censura o un’altra cosa? Lui è un artista o un imprenditore?
“Non sarebbe stata censura, magari lo è diventata. Se loro avessero deciso di non chiamarlo dall’inizio per via dei testi non adatti a quel pubblico lì, il pubblico del Comune di Roma, non sarebbe stata censura, sarebbe stata una scelta sensata di un ente che vuole organizzare una festa per le famiglie in cui vanno tutti. Sarebbe stata una scelta artistica. Così è un po’ diverso”.
Fedez sta spesso male, si esibisce, cerca il pubblico: è un artista?
Claudio Morici abbassa il tono di tre ottave.
“No, Fedez a me non piace per niente. Poi me lo sento perché mio figlio ha 11 anni. Ma proprio no, me sta pure sul ca…”.
E Morgan? Lui forse è l'uomo che più di ogni altro, in Italia, ha la fama da artista tormentato e genio maledetto.
“Morgan lo è stato, ma non lo è più. È stato un bravo musicista che ha fatto bei dischi. Non è un genio, i dischi che ha fatto sono molto belli, io andavo ai concerti. Ma da lì a dire che ha lasciato un segno nella musica italiana… ma dai. Adesso che è un po’ rimasto fuori spara, una sorta di Sgarbi della musica. È stato un musicista bravissimo, molto portato. Ma questo non vuol dire che sia un genio. Magari è uno che può recitare Dante a memoria mentre suona il basso, però il genio è un’altra cosa”.

Cos’è, chi è il genio?
“Ti dirò - ed è tra le definizioni più accreditate - che un genio sia uno che fa qualcosa di utile e che rimane nel tempo. Qualcosa che offre uno sguardo alle persone col passare dei secoli, che permette loro di guardare alla realtà in maniera diversa. Un’idea incredibilmente difficile da avere ma che serve a poco alla gente non è l’idea di un genio”.
Un genio della musica italiana?
“Quello che quando lo ascolto mi dà forza, che a proposito di utilità mi è funzionale alla sopravvivenza e che mi insegna tante cose è Piero Ciampi. Tra De André e Piero Ciampi scelgo lui. De André non lo sopporto. Piero Ciampi è uno che sbaglia nella vita, nelle canzoni. È uno che si prende il rischio dell’errore, che non deve piacere a tutti i costi, che fa un sacco di cazzate, un mezzo barbone. Ma ha dei picchi di scrittura… caaazzo, mi piace proprio tanto. Invece mi fido poco di artisti come De André, che fanno sempre la scelta giusta. De André è tipo Calvino. Ovviamente oh… stiamo parlando dei massimi livelli. Invece Ciampi era sbracato, sapeva solo di essere un poeta”.
E uno scrittore?
“Mi ha colpito Paolo Cognetti, che dice di essere bipolare. Quando ho letto l’articolo è stato come se lui avesse voluto fare la Malattia dell’Ostrica di sé stesso. Si è esposto tanto. E Cognetti è uno di quelli bravi, tra i tanti premi Strega è tra quelli che mi sono piaciuti di più. Per altro non dava nessun segnale di malattia, sembrava una persona veramente equilibrata”.
Senti: un tizio va in carcere a parlare di cultura, di musica e di libri ai detenuti. Loro lo fermano, gli fanno subito una domanda: Professo’, a cosa serve la cultura? E lui: A Rega’… la cultura serve a scopà. È così? Sei d’accordo?
Silenzio. Claudio Morici scoppia a ridere dopo diversi secondi.
“Eh, se la metti come interpretazione Freudiana… magari può starci. Ho sentito dire la stessa cosa da gente di Lotta Continua. Perché uno diventava brigatista? Pe scopà, pe avecce la pistola. In quegli anni se c’avevi la pistola scopavi sicuro”.
A proposito - o forse no - di Lotta Continua: che prospettive hai per la sinistra italiana?
“Mi faccio molte domande. A Christian Raimo e Nicola Lagioia sono successe due cose molto brutte, a me questa cosa ha colpito molto perché ho visto un cambiamento che è diventato un timore. Lo trovo veramente ingiusto e mi pare un’azione intimidatoria dal punto di vista economico. Lagioia c’ha un sacco di soldi perché ha fatto grandi cose, però giustamente ventimila euro non li vuole dare a Valditara. Pensa però se lo facessero a una persona a cui ventimila euro cambiano la vita. Diventa un atto di ritorsione importante”.
Pensi che dai tempi cupi in cui viviamo si arriverà a un nuovo rinascimento?
“Non lo so. Penso che dal punto di vista artistico se tornasse il fascismo per gli scrittori sarebbe meglio: ti vengono più idee. Un’epoca di conflitto sociale è florida per la società, così non mi preoccupo in questo senso, mi preoccupo più per la vita di tutti i giorni, da quel punto di vista diventerebbe un problema. Intanto, senza accorgertene, lecchi il culo a un editore ancora più grande e severo, l’algoritmo. Siamo passati dal mezzo che ognuno poteva usare per dire la qualunque - e vaffanculo agli editori - all’editore più grande di tutti che ti costringe a parlare in un certo modo e a non dire certe cose. Piano piano cambi linguaggio, ti autocensuri”.
A cosa serve il tuo podcast, La Malattia dell’Ostrica?
“Penso che aiuti le persone a sentirsi meno sole nelle loro vite. Scopri che questi geniacci avevano un casino di problemi e quando pensi di essere parte della stessa umanità, della stessa categoria di esseri umani sensibili, capisci che tante cose si presentano come intralci alla vita possono avere un senso nel tuo viaggio. La gente mi ringrazia”.
Perché uno dovrebbe comprare il tuo libro, che si chiama come il podcast, se il podcast l’ha già sentito?
“È un libro corto”.

“No, in realtà riprende un po’ il mio spettacolo a teatro, c’entra molto poco col podcast”.
Ho letto che tuo figlio ti ha chiesto dove si finisce quando si muore. Che gli hai risposto?
“Cazzo, ho sempre temuto questa domanda e un giorno me l’ha fatta. E mi ha messo in difficoltà. O gli dici una cazzata… a noi per esempio dicevano ‘in cielo’. Ma ‘in cielo’ è arbitrario ai massimi livelli, è solo l’opposto di ‘in terra’. Stai a dì na cazzata, perché qualunque cosa tu creda di certo non è in cielo. Quindi ho cominciato a dire dei gran ‘secondo me’. Non si sa, ma secondo me… c’è chi dice… Un giorno lo chiesi al mio commercialista: ‘L’ho mandato dalle suore apposta, pago 600 euro al mese, glielo dicessero loro’”.
Chiudiamo: cosa scriverai sulla tua epigrafe?
“Non saprei… siamo entrati in una dimensione confidenziale in cui non sono così performativo dal punto di vista creativo”.
Beh, è una risposta che funziona.
“Ma sai che è una buona idea? Qui riposa Claudio Morici, siamo entrati in una dimensione confidenziale in cui non sono così performativo dal punto di vista creativo”.
