Naike Rivelli ha incontrato Sean Baker a Roma: il regista dell’anno che al Festival del cinema di Cannes ha vinto la Palma d'oro con il film Anora. La favola di una Cenerentola brat che sfida il mondo e che molti avranno visto e amato sul grande schermo. Soltanto per noi, a pochi giorni dal Natale, Naike ci ha fatto un regalo. Condividendo su MOW le parole, la magia dietro la realtà, la grandezza in una regia semplice (e straordinaria) di uno dei più grandi nomi del cinema contemporaneo. Cosa sogna Sean Baker? Cosa ne pensa dello stato di salute della settima arte italiana? Con chi vorrebbe lavorare un domani? E dov'è finita oggi la grande America? Ecco l’intervista esclusiva a Sean Baker.
Sean Baker. Lei ha detto: “Il futuro del cinema è dove è iniziato: in una sala cinematografica”. Con l'ascesa delle piattaforme di streaming e degli smartphone, questa battaglia è già persa?
No, credo che la battaglia continui. Il covid ha fatto dimenticare al pubblico che il modo migliore per vedere un film è la sala cinematografica. Quindi, fondamentalmente, il pubblico ha bisogno di ricordarselo. Ma sono incoraggiato dal nuovo interesse che sto notando, soprattutto da parte della generazione Z, per l'esperienza del cinema in sala. Ma penso che spetti ai cineasti lottare per l'esperienza cinematografica, chiedendo finestre cinematografiche e resistendo alla tentazione di farsi sedurre dalle piattaforme di streaming.
Qual è il più grande “no” che ha detto per evitare di scendere a compromessi nel cinema con queste nuove tecnologie?
Ho semplicemente detto no a fare film per uno studio. Realizzo i film in modo indipendente con finanziamenti privati e poi li concedo in licenza a un distributore. Così facendo, non devo ascoltare le note creative dei dirigenti.
Nel suo film Red Rocket, uscito nel 2021, lei descriveva la politica come uno spettacolo simile ai reality show. Dopo tre anni, siamo ancora nella fase del reality show o l'abbiamo superata? Siamo ormai nel regno dell'horror?
Sicuramente ci siamo ancora. Le elezioni di un mese fa sono sembrate il finale di stagione di un reality show durato 8 anni.
Perché in America le star di Hollywood non hanno avuto un grande impatto sulla campagna elettorale? C'è forse uno scollamento tra lo “star system” e il mondo reale?
Purtroppo non capiscono le esigenze e i desideri di tutti. Il Partito Democratico ha usato la politica dell'identità per cercare di rimanere al potere quando la popolazione statunitense voleva semplicemente una vita a prezzi accessibili, meno criminalità e niente più guerre.
Qui in Italia, abbiamo Giorgia Meloni. A prima vista, se fosse un'attrice, che tipo di attrice sarebbe? Comica o drammatica?
Credo che possa fare entrambe le cose.
A proposito del suo film Anora, Rivista Studio lo ha definito una “Cenerentola brat”. È d'accordo con questa descrizione?
Credo che sia un riferimento a Charli Xcx (ride, ndr). E a Charli piace il nostro film, quindi sì, sono d'accordo.
In un'intervista passata, lei ha parlato del desiderio di portare sul grande schermo la storia di una sex worker. C'è bisogno di un ritorno al Neorealismo? E pensa che sia stato abbandonato?
Il Neorealismo sembra manifestarsi a ondate. Nel primo decennio degli anni 2000, ha vissuto una rinascita perché i giovani registi giravano i loro primi film con telecamere digitali economiche e adottare lo stile neorealista rendeva le cose più economiche e facili. Ma poi, circa dieci anni fa, il cinema ha cominciato a usare colonne sonore pesanti e visivi stilizzati, perché penso che stessimo prendendo il nostro neorealismo da Instagram e YouTube. Ora è TikTok. Se otteniamo la nostra "realtà" dai social media, sembra che ci sia meno richiesta di vederla al cinema. Penso che la prossima forma di Neorealismo arriverà sotto forma di cinema personale, diaristico, ibrido, che mescola documentario e narrativa di finzione.
Tra i film neorealisti, compresi quelli ispirati a Pasolini, l'anno scorso è uscito Vera, in cui Vera Gemma racconta la sua storia personale. So che vi conoscete, ma sa anche che in Italia il film non è stato celebrato come avrebbe dovuto? Nemo propheta in patria (nessuno è profeta nella propria terra)?
Non lo sapevo. Cerchiamo di cambiare le cose!
Come regista uomo, si è mai sentito “poco credibile” per aver raccontato storie di donne?
Assolutamente no, sto solo raccontando storie che spero trattino i miei protagonisti, siano essi uomini o donne, in modo uguale e rispettoso.
Luigi Mangione, il giovane che avrebbe ucciso Brian Thompson, l'amministratore delegato di UnitedHealthcare, è stato considerato da molti un eroe. A prescindere dalle opinioni personali, è una storia che potrebbe diventare un buon film? Sarebbe interessato a raccontarla?
È un terreno molto scivoloso, perché in un certo senso potrebbe essere visto come una celebrazione di un assassino. Invece di dare risalto a una persona del genere, preferirei raccontare la storia di come il sistema di assistenza sanitaria negli Stati Uniti sia "rotto" e di come questo influisca sulle persone.
In Italia, il “sogno americano” equivale ancora ad avere un “lavoro fisso” e ad “aiutare la famiglia e gli amici”. Cosa pensa di questi “vizi italiani”?
È incredibile. Vorrei che gli americani la pensassero così.
Concludiamo con il cinema. Ci può raccontare il suo personale Pantheon di registi che considera i suoi maestri?
Lina Wertmüller, Chang-Dong Lee, George Romero, Lars Von Trier, Elio Petri... la lista continua.
E tra i registi italiani, sia del passato che del presente, ci può fare tre nomi del passato e tre del presente che apprezza?
Antonio Pietrangeli, Fernando Di Leo, Aristide Massaccesi, Alice Rohrwacher, Tizza Covi, Matteo Garrone.
C'è qualche attore o attrice italiano con cui vorreste lavorare nei vostri futuri film?
Adoro Pierfrancesco Favino e Alba Rohrwacher.