I “Diamanti” di Ferzan Ozpetek sono le donne che orbitano in una importante sartoria della Capitale gestita da due sorelle, interpretate da Jasmine Trinca e Luisa Ranieri. Gli anni Settanta, i pizzi, i merletti, le dive complessate (Vanessa Scalera, Kasia Smutniak e Carla Signoris). Seguiamo gli intrecci e i drammi di sarte, costumiste e modelliste. Questa è parte della trama. Parte perché, per la verità, Diamanti è una sorta di film in un film che si sta per girare. Ci mostra anche l'antefatto, il momento in cui Ferzan Özpetek ha chiamato attorno a sé le diciotto attrici con cui ha spesso lavorato (e certo, amato) per chiedere loro di girare un film dedicato alle donne (che sarà poi Diamanti).
Il regista de Il Bagno Turco e Le Fate Ignoranti torna con un bel film che ha la voce di Giorgia (sua la colonna sonora) ed esplora "il lato femminile delle cose": come funziona, come influenza il mondo e come si riflette sugli uomini, relegati a ruoli marginali (nel cast anche Stefano Accorsi, Vinicio Marchioni ed Edoardo Purgatori). Diamanti non è il suo film migliore ma c'è al suo interno, minuto per minuto, la versione migliore del suo cinema. Innamorato delle cose e della vita, delle donne. Con Diamanti, Ferzan Özpetek assomiglia un po' a un giovane Almodóvar, alla sua attenzione per i costumi, alle sue Donne sull'orlo di una crisi di nervi, qui sarte, qui italiane che vengono dal Sessantotto, che provano (e per fortuna qui riescono) a essere le sole protagoniste. Va poi precisata una cosa: orchestrare così tante attrici non era certo un’impresa facile, eppure Ozpetek ce l’ha fatta, raccontando le fragilità, le forze e i desideri di ciascuna di loro. In Diamanti c'è la violenza nascosta e devastante subita da Milena Mancini per mano di suo marito, interpretato da Vinicio Marchioni; lo sconforto di una madre (Paola Minaccioni) che cerca di avvicinarsi al dolore di suo figlio; il bisogno di rinascita di Jasmine Trinca, gli amori mai capiti come quello di Luisa Ranieri e i preziosi consigli di una saggia Milena Vukotic. Özpetek in questa coreografia di donne fatta di luci soffuse e ferite sospese è riuscito per davvero a lasciarsi prendere per mano dalle attrici con cui ha sempre lavorato. Da quel tavolo, dove il regista, in un pomeriggio assolato di una Roma deserta, aveva radunato ognuna di loro, si percepisce che qualcosa è nato, ha preso forma e potrebbe cambiare (forse per sempre) il suo cinema. Anche dopo Diamanti.